127 ore

127 ore

di

Le distese rocciose e desertiche, i canyon, i giochi di luce e il cielo lindo si fondono con i ricordi, le allucinazioni e la presa di coscienza di Aron: “127 ore” può quindi svilupparsi verso l’esterno e verso l’interno, dal canyon Blue John e dal corpo di Aron, nel Canyon e nel corpo, fino ai meandri della mente. Boyle mette in scena gli stati d’animo e le sofferenze fisiche, giocando con lo scorrere del tempo, con i piani narrativi, con le possibilità offerte dalla videocamera di Aron.

Aron Ralston e la pietra filosofale

L’alpinista Aron Ralston deve cercare di salvarsi dopo che la caduta di un gigantesco masso gli ha intrappolato il braccio e lo tiene bloccato in un canyon dello Utah. Nel corso dei successivi cinque giorni in balia delle intemperie, Ralston troverà il coraggio di compiere un gesto estremo pur di uscire da una situazione sempre più critica. Durante il difficile percorso che lo porterà alla salvezza, l’uomo avrà però il tempo di ripensare ai propri amici, alle amanti, alla famiglia e alle due escursioniste incontrate poco prima dell’incidente… [sinossi]

Reduce dai fasti del pluripremiato e assai sopravvalutato The Millionaire (2008) [1], il cineasta inglese Danny Boyle torna alla regia con 127 ore, una pellicola ben più convincente e, nei limiti del possibile, onesta. Bisogna innanzitutto riconoscere a Boyle, spesso messo in discussione per la sua mise en scène compiaciuta e sovrabbondante, di sapersi confrontare con i generi più disparati, dall’horror alla commedia, passando per la fantascienza: pur piegando il materiale a disposizione al proprio stile, piuttosto che l’auspicabile contrario, poter vantare una filmografia con titoli come Piccoli omicidi tra amici (1994), Trainspotting (1996), 28 Days Later (2003) e Sunshine (2007) è indice quantomeno di un’apprezzabile vitalità artistica.
Altalenante e spesso più attento ai fronzoli estetici che al contenuto, il cinema di Boyle trova terreno fertile nella storia ai limiti dell’impossibile dell’alpinista Aron Ralston [2]. La lotta per la sopravvivenza del giovane e spericolato Aron, uomo evidentemente ricco di coraggio e forza di volontà, offre a Boyle la possibilità di ricorrere a split screen, ralenti, accelerazioni, colori saturi e via discorrendo senza apparire troppo gratuito e narciso nelle scelte estetiche e registiche.

Le distese rocciose e desertiche, i canyon, i giochi di luce e il cielo lindo si fondono con i ricordi, le allucinazioni e la presa di coscienza di Aron: 127 ore può quindi svilupparsi verso l’esterno e verso l’interno, dal canyon Blue John e dal corpo di Aron, nel Canyon e nel corpo, fino ai meandri della mente. Boyle mette in scena gli stati d’animo e le sofferenze fisiche, giocando con lo scorrere del tempo, con i piani narrativi, con le possibilità offerte dalla videocamera di Aron (oggetto oramai quasi irrinunciabile per una buona parte del cinema contemporaneo). Tra dolly di ampia portata, primi e primissimi piani, angolazioni esasperate, flashback, punti di vista insoliti e tutto quel che segue, Boyle riesce a raccontare l’avventura e il flusso di coscienza. 127 ore funziona infatti sia dal punto di vista spettacolare – dai ripetuti tuffi sotterranei all’incidente annunciato, fino al gesto estremo di Aron, che metterà a dura prova qualche animo candido – che narrativo, alternando il resoconto della disavventura e la rappresentazione degli stati d’animo del protagonista.

Di ottimo livello la performance attoriale di James Franco, che deve reggere praticamente da solo tutto il peso della pellicola. L’attore californiano, che abbiamo recentemente apprezzato nel poco visto Howl, conferma non solo il cristallino talento, ma la capacità e soprattutto la volontà di confrontarsi con ruoli non scontati, coraggiosi, insoliti, lontani dalle logiche dello star system hollywoodiano.

Note
1. Dopo essersi aggiudicato il premio del pubblico al prestigioso Festival di Toronto, The Millionaire ha sbancato la Notte degli Oscar, portandosi a casa otto statuette (miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e via discorrendo). Elevati anche gli incassi. Il tempo porterà consiglio…
2. Una vita esagerata (1997) e The Beach (2000) rappresentano probabilmente i punti più bassi della filmografia di Boyle. Oltre al già citato The Millionaire.
Info
Il trailer italiano di 127 ore.
127 ore sul sito del Torino Film Festival.
  • 127-ore-2010-Danny-Boyle-01.jpg
  • 127-ore-2010-Danny-Boyle-02.jpg
  • 127-ore-2010-Danny-Boyle-03.jpg
  • 127-ore-2010-Danny-Boyle-04.jpg
  • 127-ore-2010-Danny-Boyle-05.jpg
  • 127-ore-2010-Danny-Boyle-06.jpg
  • 127-ore-2010-Danny-Boyle-07.jpg
  • 127-ore-2010-Danny-Boyle-08.jpg
  • 127-ore-2010-Danny-Boyle-09.jpg
  • 127-ore-2010-Danny-Boyle-10.jpg
  • 127-ore-2010-Danny-Boyle-11.jpg
  • 127-ore-2010-Danny-Boyle-12.jpg
  • 127-ore-2010-Danny-Boyle-13.jpg
  • 127-ore-2010-Danny-Boyle-14.jpg

Articoli correlati

  • In Sala

    T2 Trainspotting

    di Decadentismo lisergico. Sembra una contraddizione in termini eppure è questo lo spirito che anima T2 Trainspotting di Danny Boyle, rilettura, prima che sequel, del cult movie del 1996.
  • Archivio

    Steve Jobs

    di Doveva dirigerlo David Fincher, l'ha realizzato Danny Boyle. Ma Steve Jobs è soprattutto un film di Aaron Sorkin, già sceneggiatore di The Social Network. Cast maiuscolo per una tragedia brillante in tre atti su tempo, mutamento, perdita dell'innocenza e accelerazioni digitali. Potente e gioiosamente doloroso.
  • Archivio

    All Is Lost RecensioneAll Is Lost – Tutto è perduto

    di Un'avventura intensa, realistica, senza sbavature narrative o parentesi melodrammatiche: solo una barca, il mare infuriato e Redford.
  • Archivio

    The Millionaire RecensioneThe Millionaire

    di Danny Boyle con The Millionaire ha costruito un candido melodramma in perfetto stile hollywoodiano, condendolo con le ossessioni tipiche del cinema di Bollywood.