Tron: Legacy

Tron: Legacy

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Chi ha deciso di andare a vedere Tron: Legacy, ha prima controllato in quale cinema trovare una proiezione a un orario comodo grazie all’App sul proprio i-Phone, ha scaricato le immagini del trailer sul proprio palmare e magari ha pure acquistato in un impeto di fanatismo il videogioco per la propria console, collegata a un meraviglioso schermo ultrapiatto in HD. Basta questo per comprendere quanto inattuale sia l’operazione Tron: Legacy e perché l’originale anche stavolta non verrà superato dal sequel.

Nostalgia canaglia

Sam Flynn, esperto di tecnologia e figlio ventisettenne di Kevin Flynn, mentre indaga sulla scomparsa del padre si trova sospinto nello stesso mondo di programmi killer e potenti videogame in cui il genitore è vissuto per 25 anni. Insieme a una fedele confidente, padre e figlio s’imbarcano in un viaggio ai limiti della vita e della morte in un cyber universo estremamente avanzato e pericoloso… [sinossi]

Anno 1982. Lo spettatore medio sapeva a malapena ciò che volesse dire la parola rete, internet era un sogno per pochi addetti ai lavori, l’attuale Play Station si chiamava Commodore 64 e gli unici colori che lo schermo di un computer riusciva a riprodurre erano un verdino bluastro e un grigio anonimo. Uscendo dal cinema dopo aver visto Tron quell’anno, il pubblico si ritrovò nel mondo reale dopo aver vissuto circa due ore di avventure in un universo parallelo, un insieme di impulsi elettrici che avevano improvvisamente preso vita. C’era qualcosa oltre quel monitor, c’era qualcosa di affascinante che non si conosceva e che quindi poteva essere immaginato. Proprio l’immaginazione del regista Steven Lisberger e dei suoi collaboratori nel 1982 era ciò che aveva funzionato perfettamente. Come Alice nel Paese delle meraviglie, come Dorothy nel mondo di OZ, Kevin Flynn si era ritrovato in un equivalente telematico dove i problemi sociali e le lotte politiche del mondo analogico si ripetevano in low definition. Il creativo, messia (dis)incarnatosi ed entrato nella rete, era la guida, e la sua fantasia (caratteristica tutta umana ovviamente ignota ai programmi) rompendo gli schemi (caratteristica tutta tecnologica) condusse alla vittoria.

Anno 2010. Chi ha deciso di andare a vedere Tron: Legacy di Joseph Kosimski (Oblivion, Fire Squad – Incubo di fuoco), ha prima controllato in quale cinema trovare una proiezione a un orario comodo grazie all’App sul proprio i-Phone, ha scaricato le immagini del trailer sul proprio palmare e magari ha pure già acquistato in un impeto di fanatismo il videogioco per la propria console, collegata a un meraviglioso schermo ultrapiatto in HD. Basta questo per comprendere quanto inattuale sia l’operazione Tron: Legacy e perché l’originale anche stavolta non verrà superato dal sequel. Non si tratta di grafica, né di regia o recitazione o effetti speciali. Anzi, quelli moderni, come giusto che sia, sono molto più sofisticati e godibili di quelli di vent’anni fa. Stiamo parlando di percezione. La percezione di una novità che non è più tale dopo tanto tempo e tanti progressi tecnici. Stiamo parlando dell’innocenza di un pubblico dei primi anni ’80, digitalmente vergine, ora totalmente immerso in un ambiente quotidianamente computerizzato, rivoluzionatosi nelle ultime due decadi. Ma oltre questa riflessione sociologica c’è comunque un film, un prodotto di intrattenimento che la Disney ha deciso di lanciare sul mercato con coraggio nel bel mezzo delle feste e che non sembra avere la forza di contrastare i mostri sacri del botteghino natalizio. Questo perché, anche se c’è chi è rimasto a bocca aperta durante gli inseguimenti ad altissima velocità e i voli dai grattacieli e chi si è appassionato ai duelli all’ultimo disco (un bellissimo frisbie con led incorporato), è capitato di vedere in sala qualcuno che dormiva e qualcun altro che si chiedeva invece dove poter comprare quel fantastico modello di motocicletta che si richiude in un bastoncino, soluzione che cancellerebbe il problema parcheggi in un attimo. Sia chiaro, ben venga l’intrattenimento, è uno degli obiettivi principali del cinema, e ben venga chi apprezza questo tipo di intrattenimento, vuol dire che i film d’azione non moriranno mai. Sottolineiamo solo come molte sequenze di Tron: Legacy non si differenzino in alcun modo da tantissime altre già viste in altri film.

Parlando invece di estetica, gli ambienti digitali ricreati al computer hanno di sicuro un altro fascino confrontati con quelli del primo Tron. Si è cercato di ricalcare quello stile con un buon successo, portando un gusto molto più contemporaneo. Un certo minimalismo ricorrente sia nei costumi che nelle linee si unisce a tratti di design totalmente moderno: pareti in trasparenza (l’arena dei combattimenti), luminosità estrema (come il bianco accecante della casa di Flynn), insistenza sulla velocità e sull’ipercinesi. Tutto sommato gradevole all’occhio di chi apprezza questo stile.

Infine i contenuti. Le note più dolenti. Jeff Bridges, padre-messia intrappolato nel mondo che aveva salvato, si è trasformato in un creatore inerte che sceglie di non agire in alcun modo nel mondo perfetto che gli è sfuggito di mano per proteggere il mondo reale e suo figlio Garrett Hedlund. Confuso mix di zen e cristianesimo, il personaggio di Flynn padre si sacrifica come un Cristo per il futuro della terra e si unisce al suo doppio fuori controllo dissolvendosi praticamente nel suo passato, purificandosi dall’errore commesso nel ricercare ossessivamente la perfezione. Pessimo risultato. Ne vien fuori una poltiglia teo-filosofica da scuola serale, il tentativo di far riflettere sui mali del mondo (genocidio, tirannia, egoismo, affarismo senza controllo) liofilizzati in poche scene con sottofondo dei Daft Punk, artisti molto bravi nel loro lavoro e sicuramente autori di uno score adatto all’estetica del film, ma la cui musica non è esattamente l’ideale colonna sonora per alcun tipo di meditazione.

Info
Il trailer originale di Tron: Legacy.
La pagina facebook di Tron: Legacy.
Tron: Legacy sul canale YouTube Movies.

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