388 Arletta Avenue

388 Arletta Avenue

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Il regista canadese prova una commistione tra Niente da nascondere e Funny Games, ma quello che ne viene fuori è un giochetto cinematografico che ha la capacità di irretire anche lo spettatore più paziente. 388 Arletta Avenue è stato presentato al Torino Film Festival 2011 nella sezione Festa Mobile.

Avevo un gatto nero

James e Amy stanno vivendo un momento difficile; qualcuno decide di accrescere la loro tensione facendo accadere fenomeni bizzarri. Episodi insignificanti – la sveglia che squilla troppo presto, un cd musicale che suona misteriosamente – il cui susseguirsi trasforma la tensione in rabbia. Così, quando Amy sparisce all’improvviso, James pensa sia il suo modo di vendicarsi. Intanto gli strani incidenti continuano a ripetersi, sempre più macabri, e l’uomo intuisce che qualcosa di inquietante si nasconde dietro la scomparsa della moglie… [sinossi – Torino Film Festival]

La terza esperienza dietro la macchina da presa di Randall Cole, dopo le buone prove offerte con 19 Months e Real Time, si trasforma in un vero e proprio incubo ad occhi aperti per lui, gli attori che l’hanno interpretata e soprattutto per gli spettatori di turno che hanno avuto la sfortuna di incrociarla. L’occasione è stata la presentazione dell’ultima fatica del regista canadese al Torino Film Festival 2011, dove 388 Arletta Avenue è stato proiettato nella sezione Festa Mobile. Lo psico thriller di Cole si candida, infatti, ad un posto sul podio delle poche cose da dimenticare di questa ventinovesima edizione della kermesse piemontese, dove il regista ritorna a tre anni di distanza dalla proiezione della pellicola precedente.

A pesare come un macigno sugli esiti finali di un film che parte male e finisce ancora peggio è senza ombra di dubbio l’inconsistenza narrativa di uno script che fa acqua da tutte le parti, innescando una reazione a catena che trascina sul fondo tutto ciò che ruota e dipende da esso, a cominciare dalla messa in scena per finire con le performance dei suoi interpreti. La credibilità di quello che viene raccontato – e di come viene raccontato – prende sin dai primi fotogramma una piega che suona come un campanello di allarme, che ben presto si trasformerà in una tremenda certezza. L’asticella si abbassa di fatti ben al di sotto della decenza, consegnando alla platea una successione di eventi e situazioni discutibili tanto dal punto di vista della qualità della scrittura – dialogica e drammaturgica – quanto da quello della resa visiva. 388 Arletta Avenue crolla su tutti i fronti, in primis su quello dell’originalità che scarseggia come l’acqua in un deserto. Sul maniaco che spia e tortura psicologicamente (e non solo) le proprie vittime, il cinema di mezzo globo ha costruito intere filmografie, oltre a dare origine a filoni e sottogeneri: vedi ad esempio il serial-thriller. Se poi restringiamo la cerchia a chi ha utilizzato le moderne tecnologie di ripresa video per attuare i propri diabolici piani di vendetta o dare libero sfogo alle ossessioni voyeuristische, violando la privacy altrui, allora la situazione si aggrava ancora di più e il film perde le ultime speranze rimaste di raggiungere almeno la sufficienza. Little Eye di Marc Evans, che con la pellicola del collega canadese condivide non poche cose, in tal senso forse ha saputo fare di peggio. Entrambi, però, assomigliano ad una sorta di The Truman Show malato e malandato, con un sadico seduto al tavolo di controllo al posto di Ed Harris. A dare il colpo di grazia per quanto riguarda l’originalità ci pensa poi il meccanismo di fruizione scelto per portare sul grande schermo storia e personaggi: raccordare lo sguardo dello spettatore con l’apparato di ripresa in soggettiva (in questo caso le telecamere piazzate ovunque nella casa e nei luoghi frequentati dal protagonista) è una soluzione visiva e narrativa che, in effetti, negli ultimi anni è diventata piuttosto frequente e monotona (vedi [Rec], Paranormal Activity ecc).

Il risultato è, dunque, un thriller di pessima fattura, che punta nel mirino il cinema di Haneke, ma fallisce miserabilmente il bersaglio. Il regista canadese prova una commistione tra Niente da nascondere e Funny Games, ma quello che ne viene fuori è un giochetto cinematografico che ha la capacità di irretire anche lo spettatore più paziente, che viene privato per demeriti dello script anche di un elemento chiave del suddetto genere come la suspence. La fruizione si fa nevrotica e prolissa, logorroica e piena di intoppi, alla pari di una visione che si fa anch’essa sempre più faticosa. Nemmeno lo stile e la tecnica collaudata di Cole riesce, infatti, a sopperire alle voragine presenti nella sceneggiatura, autentico tallone di Achille di un’operazione da dimenticare al più presto.

Info
Il trailer di 388 Arletta Avenue.
La scheda di 388 Arletta Avenue sul sito del Torino Film Festival.

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