Poker Generation

Poker Generation

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Girato in maniera raffazzonata da Gianluca Mingotto, scritto senza alcuna cognizione di causa da Noa Palotto, Poker Generation è un pastrocchio che funge anche come squallida operazione di marketing a favore delle piattaforme per giocare a poker online. Un vero e proprio bluff.

Mi sono cadute le carte, e si sono rotte

In una famiglia povera residente in un paesino siciliano, vivono due fratelli, l’uno l’opposto dell’altro.Il più grande, Tony è un fanatico dei film sulla mala americana e sogna di diventare un giocatore di poker professionista, l’altro, Filo è un genio introverso e scontroso, la sua sindrome semi-autistica lo porta ad analizzare l’ambiente che lo circonda in modo ossessivo e meccanico. I due ragazzi si ritroveranno uniti nella missione di trovare i soldi necessari per pagare le cure della sorellina Maria. Portando alla mente l’incontro con il professionista di poker Joyce decidono di andare a Milano per cercarlo con la speranza di essere in seguito introdotti nel “giro” che porterebbe a loro i soldi necessari per curare la sorella. Col tempo gli ingenti guadagni e le gelosie contribuiranno a spezzare l’equilibrio fra i due fratelli che litigheranno e si separeranno. Le loro strade si incroceranno nuovamente al Malta Poker Dream. [sinossi]

Spesso parlando di un film si utilizzano termini come scommessa o posta in gioco. Quanto si è ambiziosi nel portare avanti un’idea cinematografica, quanto si mette in gioco di se stessi, di budget e di verità? In qualche modo sono terminologie che ricordano il gioco del poker e risultano utili per capire fin dove vuole e può arrivare un film come Poker Generation, esordio in un lungometraggio per Gianluca Mingotto. Poker Generation è un film particolare perché nasce non molto velatamente come operazione di marketing. Chi infatti sottende il progetto, ovvero Fabrizio Crimi, oltre a esserne il produttore è anche uno dei maggiori proprietari di siti online di poker in Italia. Chiaro dunque l’interesse economico di Crimi, non per questo tuttavia dovremmo leggere con pregiudizi di sorta il film che ne consegue. L’ambizione che si collega a questo discorso è in qualche modo raccontare e celebrare un gioco e una diffusione che in Italia è esponenziale, quella del Texas Holdem, una variante del poker classico; perciò l’appellativo di “Generation”, che tuttavia già appesantisce il film della strana voglia di esser sociologi, di descrivere un fenomeno di massa prima ancora di voler raccontare una storia.

Persi nell’idea celebrativa del gioco, Crimi e Mingotto hanno finito inevitabilmente, come capita talvolta nei film sportivi, per mettere all’ultimo posto l’importanza della storia. Ecco dunque che un’iniziale puntata ambiziosa si scopre in realtà piuttosto fallace. Poker Generation si avvicina alla fisionomia, senza però davvero mai assumere le sembianze di un vero e proprio film. In un dolceamaro pout pourri di immagini e cliché vecchi più del cinema stesso, sembrano condensarsi in una miscela impossibile il melodramma napoletano con la consueta sfilza di sventure famigliari, il genere mafioso nella caratterizzazione del giocatore di poker e del suo stile di vita senza remore, mentre vi è un chiaro riferimento al Dustin Hoffman di Rain Man nella figura del protagonista malato di autismo, ma genio della matematica. Le macchiette che si moltiplicano nel film, oltreché l’improbabile libertà dell’intreccio che fa incontrare i personaggi come per miracolo statistico, dovrebbero tuttavia equilibrarsi, come capita appunto nei film sportivi, con la spettacolarizzazione dell’agonismo, della sfida, dello specifico tecnico in questo caso del poker. Anche qui però la confusione la fa da padrona e Mingotto non riesce a rendere davvero avvincente il momento chiave, ovvero la partita finale che decide le sorti dei due protagonisti, perdendosi in movimenti di macchina superflui che danno la sensazione di essere fuori ritmo rispetto all’invadente colonna sonora. Non è da dimenticare, in questo senso, che spesso e volentieri la fortuna di alcuni film di poker rimasti nella memoria collettiva, è data sovente dal carisma e dall’emotività dei personaggi, o talvolta da risvolti comici, più che da capacità visionarie. Per intenderci il poker non è il calcio, o neanche la boxe per citare uno degli sport più fortunate cinematograficamente, e ciò lo dovrebbe peraltro avere ben chiaro Mingotto quando inverosimilmente mostra partite di poker in diretta tv che fanno riunire tutti in paese davanti al piccolo schermo. Sotto questo punto di vista l’idea del fenomeno di massa, della nuova tendenza che conquista le ultime generazioni, è raccontata talmente fuori della nostra realtà che finisce per cadere completamente nel vuoto.

L’ambiziosa idea di Poker Generation, scoperte alla fine le carte in mano – dalla regia poco esperta e non di mestiere, alla scrittura che difficilmente può definirsi tale, fino a un cast non di peso né di clamore, che sacrifica in particine Pannofino e la Sastri (e in cui si salva solo un buon Claudio Castrogiovanni) – si rivela dunque un totale bluff. A questo proposito la polemica che si porta dietro il film da giorni: il dilemma se vietarlo o meno ai minori di diciotto anni per via della sua fin troppo ottimistica immagine sul gioco d’azzardo e le relative possibilità di vincita, non ha troppa ragione di esistere in quanto il pasticcio che risponde a Poker Generation difficilmente parrebbe avere delle capacità di persuasione.

Info
Il trailer di Poker Generation.

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