Il passato è una terra straniera

Il passato è una terra straniera

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Il passato è una terra straniera non conferma le lecite aspettative lasciate dai precedenti film di Daniele Vicari, ma riesce in ogni caso a trovare una propria strada all’interno del cinema contemporaneo italiano soprattutto grazie alle ottime interpretazioni di Elio Germano e Michele Riondino.

I bari a Bari

Studente modello, figlio di intellettuali borghesi, Giorgio conduce la vita normale e ordinaria di un ragazzo di ventidue anni. Una vita senza crepe, almeno in apparenza, fino a quando una sera incontra Francesco. Bello ed elegante, Francesco esercita su uomini e donne un fascino misterioso e oscuro. Per vivere gioca a carte, sa vincere, ma più che fortunato è un abile baro e sembra avere in mano le chiavi per il successo… [sinossi]

Il passato è una terra straniera enuncia da subito una verità a questo punto impossibile da confutare: Daniele Vicari sta portando avanti, nella sua carriera divisa tra racconti di finzione e ripresa del reale, un discorso senza dubbio coerente sull’Italia dei nostri giorni. Se in Velocità massima ci si incuneava nella periferia romana dedita alle corse clandestine, ne L’orizzonte degli eventi si studiava con la lente d’ingrandimento la progressiva perdita dei pur minimi contatti umani e ne Il mio paese si riprendevano le fila del discorso intrapreso nel 1960 (con ben altri risultati, c’è da aggiungere) da Joris Ivens con L’Italia non è un paese povero, Il passato è una terra straniera ci immerge nel sottobosco criminale di Bari. Altrettanto indubbio è come sia inusuale la scelta di affidare lo sguardo su questo microcosmo notturno e laido a un personaggio dall’estrazione sociale completamente avulsa alla prassi: il giovane Giorgio, laureando in giurisprudenza, con il sogno di diventare magistrato, è un vero e proprio pesce fuor d’acqua rispetto agli squali che agitano il fondale nel quale si trova a sprofondare.

Detto ciò, non è certo possibile sottacere i grandi difetti che inficiano buona parte dell’intero script, rendendo il terzo lungometraggio di finzione di Vicari un’opera piatta, vagamente inutile, decisamente non calibrata a dovere. La caduta agli inferi del protagonista, interpretato da un Elio Germano convincente come sempre (magistrale nella sequenza in cui scopre di aver giocato a poker con un baro di professione: il suo sguardo stupefatto, iroso e impaurito allo stesso tempo è con ogni probabilità la cosa migliore dell’intero film), pur procedendo con una certa logica appare veramente schematica, e viene dilatata in maniera davvero ingiustificabile. L’incapacità di gestire i giusti tempi  e di donare un ritmo adeguato al film è forse il crimine più grande da imputare a Vicari, colpa che il regista dovrebbe dividere con il suo team di sceneggiatori (Gianrico e Francesco Carofiglio e Massimo Gaudioso); il film si trascina via senza che se ne senta alcuna reale necessità. Determinate parti appaiono francamente appiccicate con forza alla pellicola, arti a sé stanti che si trovano a dover cozzare tra loro, impossibilitati a trovare la compattezza necessaria a tener desta l’attenzione del pubblico: è così per l’incontro (che si vorrebbe risolutore, anche se non se ne conoscono i motivi) tra Giorgio e sua sorella, impacciato, goffo, addirittura irritabile. Peggio ancora va alla lunga digressione ambientata a Barcellona: ci verrà obiettato che è proprio grazie al viaggio in un altro paese che riescono a deflagrare definitivamente le pulsioni che sono state represse fino a quel momento, ma è una spiegazione che non riusciamo davvero a ritenere convincente. Tutto si svolge altresì in maniera gratuita, con l’unico risultato di appesantire ulteriormente un corpo già di per sé non certo snello o essenziale.

Da un punto di vista visivo Vicari non sembra sprecarsi più di tanto: la regia è piatta, adagiata su una prassi talmente stratificata da disperdersi nell’ anonimato, e la messa in scena non riesce a trovare altro spunto d’interesse al di là dei volti degli attori. E sono proprio loro a salvare la barchetta e a condurla al sicuro in porto: abbiamo già avuto modo di citare l’ottimo Germano, ma anche Michele Riondino, pur colpevole di una certa fissità, si sforza fino a diventare credibile. Belli i volti scavati e inespressivi al punto di spaventare dei giocatori abituali del poker clandestino, accettabile perfino la ricca e dissoluta (pur senza abbandonare i canoni voluti dall’etichetta borghese) Chiara Caselli. Insomma, Il passato è una terra straniera è un film deludente che trova il suo riscatto nell’interpretazione dei suoi protagonisti: a suo modo anche questo, nell’Italia contemporanea, è un’anomalia.

Info
Il trailer de Il passato è una terra straniera.
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