Seventh Code

Seventh Code

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Adagiato sulle forme e sugli umori della Maeda, Seventh Code è un noir basico, diretto e privo di forzature di qualsiasi tipo. Un racconto asciutto, in cui i personaggi escono di scena senza preavviso alcuno e il climax emotivo è gestito con una parsimonia sorprendente.

Vladivostok, Russia. Akiko giunge da Tokyo per incontrare l’imprenditore Matsunaga, perché non riesce a dimenticarlo da quando le è capitato di cenare con lui. Finalmente lo ritrova, ma Matsunaga si limita a raccomandarle di non fidarsi di nessuno in terra straniera e poi scompare. Akiko ricomincia a cercarlo. [sinossi]

Non bisogna fidarsi di nessuno in terra straniera. E forse nemmeno di se stessi. Da questo assunto screziato di vago pessimismo prende corpo Seventh Code, trentacinquesimo lungometraggio diretto da Kiyoshi Kurosawa, contando lavori per il cinema, straight-to-video e chi più ne ha metta. Seventh Code rientrerebbe nelle opere portate a termine per il grande schermo, se non fosse per la particolarità di una durata che si assesta sui sessanta minuti: anche per questo è apparsa da subito coraggiosa la scelta del comitato di selezione del Festival di Roma di inserire il film all’interno del concorso principale. Una sensazione naturalmente acuitasi nel post-visione, quando la bizzarria della durata ha perso qualsiasi consistenza di fronte al folle succedersi di eventi sullo schermo.
Probabilmente saranno in molti a definire Seventh Code poco più di un divertissement, magari apprezzandone in ogni caso il ritmo e le scelte estetiche operate da Kurosawa, ma si tratterebbe in ogni caso di una piccola ingiustizia nei confronti di un film prezioso, rara gemma carica di una libertà creativa che troppo spesso viene relegata in un ruolo di secondo piano.

In un anno che ha visto Kurosawa tornare a ritmi produttivi finiti nel dimenticatoio nel corso degli ultimi tempi (oltre a Seventh Code sono stati portati a termine anche il cortometraggio Beautiful New Bay Area Project, a sua volta presentato a Roma nella sezione CinemaXXI, e il lungo Real, presentato all’ultimo Festival di Toronto), Seventh Code rappresenta uno scarto sensibile all’interno della sua carriera. Vagheggiando un ritorno agli esordi, quando il cinema di Kurosawa non aveva ancora vissuto la svolta radicale che accompagnerà titoli imperdibili come Cure, Barren Illusions, Charisma, Pulse, Bright Future, Doppelganger e Retribution, Seventh Code prende una perfetta trama noir e la spoglia di qualsiasi orpello considerato inessenziale allo sviluppo puro e semplice della narrazione. Entrando direttamente in media res, con la giovane e bella Akiko – interpretata con notevole carisma dalla pop-aidoru Atsuko Maeda – che si aggira per le viuzze di Vladivostok imbattendosi nel tanto agognato Matsunaga, Seventh Code avverte immediatamente lo spettatore rispetto a ciò cui andrà incontro durante la successiva ora: un accumulo di eventi che solo in maniera laterale permetteranno di approfondire la conoscenza dei personaggi in scena.
Personaggi che sono poco più che la rappresentazione materiale di cliché del genere noir: l’affascinante Matsunaga, che nasconde dietro il bon ton e il comportamento da gentleman l’attività mafiosa; l’idealista ma poco concreto proprietario del ristorante in cui Akiko trova lavoro; la compagna di lui, che ha come unico scopo quello di arricchirsi e raggiungere il potere. In questo microcosmo saturo di rapacità e desiderio di conquista, l’elemento deflagrante è proprio dato dall’irruzione di Akiko, scheggia impazzita all’interno di una città che ha sperimentato nel corso dei decenni una forte connessione con la yakuza nipponica.

Adagiato sulle forme e sugli umori della Maeda, Seventh Code è un noir basico, diretto e privo di forzature di qualsiasi tipo. Un racconto asciutto, in cui i personaggi escono di scena senza preavviso alcuno e il climax emotivo è gestito con una parsimonia sorprendente, anche per un regista sovente sobrio come Kurosawa. Il film, ammaliante fin dalla primissima inquadratura, accelera improvvisamente negli ultimi venti minuti, una vera e propria corsa all’impazzata all’interno dell’action, con combattimenti, inseguimenti e colpi di scena a ripetizione. Anche qui, comunque, Kurosawa non viene mai meno alle proprie convinzioni estetiche, come dimostra l’ultima illuminata (e illuminante) inquadratura. Perché anche nel più dinamitardo dei film d’azione potrebbe bastare un campo lungo per donare grazia e potenza visionaria. Difficilmente la giuria potrà trovarsi d’accordo su un’opera come Seventh Code, ma sarebbe grave ridurre l’importanza di questo ritorno in scena (l’ultimo film per il cinema portato a termine da Kurosawa era stato Tokyo Sonata, ben cinque anni addietro) a un mero divertissement. Perché Seventh Code, come conferma il già citato corto Beautiful New Bay Area Project, apre una nuova via al cinema di Kurosawa, e ne conferma – qualora qualcuno ne avesse avuto bisogno – lo straripante talento autoriale.

INFO
Il sito ufficiale di Seventh Code: seventh-code.net
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