To Live and Die in Ordos

To Live and Die in Ordos

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La dimostrazione che in Cina ancora esiste – e prospera – il cinema di regime: in To Live and Die in Ordos un poliziotto si barcamena nella Mongolia Interna tra eroismi inusitati e repressioni di rivolte in nome di leggi non meglio identificate. Al FEFF 2014.

E la patria si gloria di un altro eroe alla memoria

Il film è ispirato alla storia di Hao Wanzhong, un poliziotto di Ordos, nella Mongolia Interna. Seguiamo la sua carriera, fin dalla gavetta quando Hao inizia a risolvere casi difficili. La sua storia ci porta attraverso omicidi feroci, corruzione e disordini sociali… [sinossi]

Il sistema cinematografico cinese si sta espandendo con impressionante rapidità e, nel giro di pochi anni, diventerà il più grande mercato mondiale: un’occasione ghiotta per chi voglia provare a fare – ancora oggi – dei soldi realizzando un film. Ma la domanda resta sempre quella: l’eventuale investitore estero quanto e come dovrà sottostare ai dettami della censura? Se un film come Black Coal, Thin Ice di Diao Yinan ha vinto l’Orso d’Oro alla Berlinale di quest’anno portando avanti sottotraccia un discorso fieramente personale a proposito di quel che sta succedendo nella Cina contemporanea, To Live and Die in Ordos ci dimostra come al contrario molta strada vi sia ancora da fare.

Diretto dalla regista Ning Ying, in passato assistente di Bernardo Bertolucci e autrice anche di film interessanti (ma spesso pericolosamente conformista e ideologica come ad esempio in Perpetual Motion del 2005), To Live and Die in Ordos ritrae la vicenda di un incorruttibile capo della polizia di stanza nella Mongolia Interna, Hao Wenzhang, realmente vissuto e morto d’infarto nel 2011. L’intento di Ning è tanto chiaro e palese da sembrare quasi una sfida al buon senso dello spettatore. Nei primi venti minuti viene infatti da domandarsi se davvero il film proseguirà fino in fondo nel ritratto iper-apologetico di quest’uomo che si lancia sul pericolo come fosse un involtino primavera e che domina colleghi, figli, mogli, operai riottosi con i suoi stucchevoli monologhi infarciti di buon senso e di una buona dose di spirito reazionario. Il ritratto di quest’uomo appare tanto monolitico da sembrare impossibile che possa rimanere identico a se stesso per tutto il film. E invece è proprio così che accade, anzi nella parte finale di To Live and Die in Ordos il discorso si fa ancora più esplicitamente ideologico: il nostro eroe prima fa processare per furto dei ragazzi la cui colpa era stata semplicemente quella di vendere qualche sigaretta, poi fa arrestare degli scioperanti accusandoli di essere dei criminali.

Certo, dal punto di vista della messa in scena, To Live and Die in Ordos non è criticabile: ben girato, con una buona fotografia che va ad inquadrare gli enormi paesaggi della Mongolia Interna, visti raramente in campo cinematografico. Ma questa patina non nasconde l’assunto del film a tesi, del prodotto di propaganda, buono a indottrinare lo spettatore e a sostenere le forze dell’ordine in un paese come la Cina in cui le sempre maggiori ingiustizie sociali hanno difficoltà ad ottenere l’attenzione dei media. È la cattiva coscienza di Ning Ying e, in generale, l’immoralità di tutta l’operazione a infastidire più di ogni altra cosa: supportata dallo spunto di raccontare una storia vera, la regista si appoggia su quanto accaduto per dare forza a una narrazione ridicola (in cui i fatti avvengono in modo slegato tra di loro e non sono mai convincenti) e per cercare di rendere credibile un protagonista descritto come un santo laico: se ne parla come di un uomo che si esprimeva con concetti semplici e concisi, che camminava con passo sicuro, né troppo veloce né troppo lento, che sapeva sempre che decisione prendere..
Senza poi provare a mettere in dubbio l’umanità del protagonista – visto che trascurava la famiglia – ma anzi compatendolo e soffrendo per lui che ha sacrificato tutto per il dovere, To Live and Die in Ordos aggiunge peggio al peggio con la cornice narrativa del giornalista disilluso e stufo di ritratti apologetici (non accetta più di farli dal 2005, dice all’inizio del film); questi, una volta che si è documentato a fondo sulla vicenda di Hao, decide però di accettare l’incarico sopraffatto dalla grandezza dell’uomo. Un eroe in divisa come questo, dunque, è stato in grado di mettere tutti d’accordo, sia gli ingenui che i più critici verso il regime. In tutto ciò il ridicolo involontario è il compagno più fedele di To Live and Die in Ordos e arriva a tramutarsi in fastidio nel momento in cui, sui titoli di coda, si fanno vedere le foto del vero Hao confrontandole con quello cinematografico. Se si vuole, è ancor più deprecabile che si sia usata la vera storia di un uomo – reazionario quanto si vuole – per declinarla al servizio dell’ideologia, riproponendo dunque la propaganda delle vecchie storielle degli eroi proletari, da Stachanov in poi.

Info
Il trailer di To Live and Die in Ordos
  • To-Live-and-Die-in-Ordos-2013-Ning-Ying-001.jpg
  • To-Live-and-Die-in-Ordos-2013-Ning-Ying-002.jpg

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