Pane e cioccolata

Pane e cioccolata

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La Cineteca di Bologna e la Cineteca Nazionale restaurano, Lucky Red e CG Home Video distribuiscono in dvd e blu-ray. Rinasce così a nuova vita Pane e cioccolata, grandissima prova di Franco Brusati con un ispirato Nino Manfredi. Storia di emigrazione che trascende il dato sociale verso inquietudini esistenziali pirandelliane.

Grazie alla Cineteca di Bologna e alla Cineteca Nazionale un altro importante tassello della storia del cinema italiano è tornato finalmente disponibile. Pane e cioccolata (1973) di Franco Brusati rappresenta un caso veramente anomalo sotto molteplici aspetti. È un film che al suo apparire nelle sale riscosse un ampio successo, sia di critica che di pubblico. Riuscì anche a sfondare i confini nazionali, conquistando notevoli consensi in Europa (vinse l’Orso d’Argento al Festival di Berlino) e qualche anno dopo perfino negli Stati Uniti, dove fu distribuito in poche copie ma ottenne entusiastiche recensioni. Di più: si tratta di un film che si è stampato nella memoria collettiva di chi lo vide al cinema a suo tempo, e sempre guardato con ammirazione e tenerezza anche a distanza di anni, ben radicato nei ricordi come un bel film con Nino Manfredi. Non è un caso che vi siano rimasti molto legati gli spettatori che poterono vederlo in sala alla sua uscita: di fatto, chi è venuto dopo non ha avuto molte occasioni per conoscerlo. Inizialmente passò in televisione con una certa frequenza, poi sparì e non conobbe mai la gioia dell’home video. Adesso la Cineteca di Bologna e la Cineteca Nazionale l’hanno restaurato e Lucky Red e CG Home Video si sono occupate della sua distribuzione in dvd e blu-ray, senza che il film fosse mai apparso nel frattempo nemmeno in vhs. Il restauro si è potuto avvalere del contributo diretto di Luciano Tovoli, direttore della fotografia del film che, come dichiara nei ricchi extra, ha tentato di recuperare quanto più possibile la qualità visiva originaria dell’opera.

La trascuratezza verso Pane e cioccolata si allarga in realtà a una più generale rimozione della figura di Franco Brusati nel panorama culturale del nostro paese, un atteggiamento piuttosto prevedibile nei confronti di una figura artistica tanto problematica, che durante i suoi anni di attività spaccava spesso e puntualmente la critica, fino alle stroncature più feroci riservate in particolare ai suoi ultimi film. Figura appartata, lontana dai clamori dell’industria cinematografica, protagonista di un percorso creativo piuttosto originale: in primo luogo autore teatrale, autore e collaboratore di decine di sceneggiature per altri registi cinematografici (Rossellini, Camerini, Monicelli, Lattuada, Soldati, Emmer…), e poi regista in proprio per un pugno di film realizzati con amplissime pause tra uno e l’altro. Otto film in 33 anni di attività, intervallati da nuovi testi e allestimenti per il teatro. La filmografia di Brusati, è vero, appare diseguale e spesso poco resistente alla prova del tempo, talvolta animata da spiccate ambizioni che non trovano un’adeguata espressione. Ne è prova il suo film di maggiore successo internazionale, quel Dimenticare Venezia (1979) che ottenne la nomination all’Oscar per il miglior film straniero e rischiò pure di vincerlo, e che mostrava palesi e volenterosi richiami a poetiche bergmaniane, spesso ai pericolosi confini dell’imitazione kitsch. Il successo di Dimenticare Venezia, però, fu solo il picco di una breve e meritata popolarità internazionale del cinema di Brusati, che proprio per Pane e cioccolata si era manifestata per la prima volta.
Con buone probabilità Pane e cioccolata è il film di Brusati che conserverà più saldamente tutta la propria potenza espressiva anche nel trascorrere degli anni. Un’opera potente, dall’ispirazione compatta e molto originale, diretta espressione di un vero sguardo autoriale, personale e inconfondibile.

Le premesse non erano delle migliori, visto che il progetto prevedeva in prima battuta Ugo Tognazzi come protagonista, che fu poi sostituito da Nino Manfredi dando vita a notevoli contrasti tra autore e primattore. Manfredi apportò diverse modifiche al testo, entrò in conflitto con Brusati e con la sceneggiatrice Iaia Fiastri per avere il proprio nome accreditato tra i responsabili dello script, e a riprese ultimate sembra che Manfredi e Brusati giurarono l’uno all’altro che non avrebbero mai più lavorato insieme. Di solito i conflitti sul set non fanno mai bene ai film, eppure stavolta si verificò l’esatto contrario. Anzi l’idea di conflitto informa tutta l’opera, conferendole la sua particolarissima temperatura, il suo sottile equilibrio tra figura comica e poetica.
Malgrado la presenza di un colonnello come Nino Manfredi, è infatti praticamente impossibile inscrivere Pane e cioccolata nell’ambito della commedia nazionale. Certo, ci sono momenti di garbato umorismo, ma la natura profonda del testo filmico brusatiano si radica addirittura nel dramma psicologico dagli accenti pirandelliani, ricollocato in un contesto progressivamente cupo e insieme favolistico. Una fiaba nera in cui il protagonista a poco a poco perde se stesso, consegnandosi poi a un finale splendidamente interrogativo.
Lo spunto di Brusati è sociale, e si conserva tale anche con accenti brutalmente polemici, ma tenendosi ben distante dal pamphlet o da facilissimi didascalismi.
Pane e cioccolata racconta infatti la tragicomica vicenda di Giovanni Garofoli, emigrante italiano in Svizzera che ha abbandonato moglie e famiglia sperando di sistemarsi bene e fare da apripista ai suoi cari per un futuro ricongiungimento in terra straniera. In Svizzera si arrangia lavorando come cameriere, fianco a fianco con la ben nota indifferenza o diffidenza elvetica verso gli emigranti italiani. Giovanni è ben deciso a non tornare in Italia, ma al contempo ha difficoltà sia ad abbandonare vecchie abitudini, sia ad adeguarsi alla freddezza del paese ospitante. Così perde il lavoro per aver fatto la pipì in mezzo alla strada, e di fatto s’infila in un calvario degradante per tentare di restare in Svizzera. Altalenando tra clandestinità e tentazioni di ritorno in patria, Giovanni finirà per smarrire se stesso in una cupa e progressiva spirale platealmente pirandelliana.

Sul tema dell’emigrazione italiana all’estero, tema piuttosto rimosso dal nostro cinema, Brusati sa bene cosa vuol dire, e lo dice a chiare lettere. Il suo sguardo è più brutale e acuminato nei confronti degli italiani che riguardo agli scostanti svizzeri tedeschi. Più di tutto Brusati rimprovera agli italiani il miserabilismo, l’arte di arrangiarsi e la capacità di ridere sulle peggiori disgrazie e condizioni di vita. “Non riesco ad amare un Paese dove sui problemi si canta, anziché tentare di risolverli” dichiarò l’autore a suo tempo, “A me l’autopietismo sterile, il genio italico che risolve tutto in canzonetta, e il folklore basato sul nulla danno il voltastomaco”. Una severa presa di posizione, qua e là adagiata su toni para-felliniani, che è ben espressa da tutti gli esilaranti tentativi di Giovanni di prendere il treno per tornare a casa, subito scoraggiato dall’incontro con l’ennesimo emigrante assiepato che cerca di consolarsi cantando alla chitarra.
Ma il linguaggio di Brusati non è il pamphlet, né l’attacco diretto o la polemica populista. Pane e cioccolata lascia i propri personaggi raccontare se stessi, facendosi forte del coloristico luogo comune ma osservato nel suo manifestarsi. Ne è prova la bella e lunga sequenza dei festeggiamenti nelle baracche dei migranti, dove Brusati riconosce alla povera gente italiana tutti i meriti del calore umano e del sorriso, ma anche il suo senso di rinuncia, la totale resa al destino. La salvezza, insomma, è solo nel miracolo, sul quale l’essere umano non ha alcun potere decisionale. Ci salveremo solo se Qualcun Altro (maiuscolo ma anche minuscolo) lo vorrà.
La progressione a suo modo infernale trova il suo apice nella buffa e inquietante sequenza dei migranti che vivono in un pollaio. Sebbene Iaia Fiastri si adoperi negli extra del dvd a precisare che l’episodio è ispirato a un fatto vero, si tratta comunque del trasalimento più platealmente surreale di tutto il film, che rivela a poco a poco la sua struttura portante di fiaba cupa e adulta intorno a un’ontologica condizione esistenziale dell’uomo moderno. Il luogo comune chiassoso e festaiolo degli italiani è qui ridotto a puro suono, nella sequela aberrante di versi e movenze da pennuto che i vari abitanti del pollaio assumono uno dopo l’altro. Uno squarcio di teatro dell’assurdo in ambito cinematografico, che tuttavia manifesta la costante e saggia scelta dell’autore di tenere i piedi per terra. È qui che Giovanni esterna il punto più alto di crisi personale, tra identificazione e rifiuto di essa (“Chi sono io? Io sono come voi? Se siamo italiani, mica dobbiamo essere tutti uguali”). Subito dopo, Brusati dà sfogo a un altro elemento fondamentale della sua composizione audiovisiva, una palese sensualità che permea sottotraccia tutto Pane e cioccolata e che emerge con maggiore evidenza in altre opere dell’autore. La distanza classista tra ricchi e poveri è infatti ricollocata in un solco abissale tra Bello e Brutto, in una dimensione sospesa e ontologica fuori dal tempo. La sequenza dei migranti che guardano da lontano i figli dei padroni, biondissimi e bellissimi, mostra a suo modo i pregi dello sguardo brusatiano quanto l’adesione a linguaggi visivi molto anni Settanta, piuttosto invecchiati. È un tripudio di flou e fotografia bianco-oro, che ricorda da vicino alcune convenzioni visive invalse nell’uso del nostro cinema dell’epoca, ma che risponde anche a una scelta precisa di Brusati per l’intero film, ovvero frapporre tra la macchina da presa e il profilmico una sorta di vapore fumoso che conferisce all’immagine risonanze favolistiche e sospese.
D’altro canto, tale scelta visiva è diretta espressione di un’adesione sensuale al racconto, fortemente inedita per il cinema italiano, che trova di nuovo la sua pagina migliore nei festeggiamenti tra emigranti. Quella sequenza contiene infatti uno dei momenti più alti, significativi e audaci di tutto il film, e oseremmo dire di tutto il cinema italiano. Uno dei più giovani degli emigranti si esibisce con Manfredi e il leggendario Tano Cimarosa in vesti femminili, cantando e ballando. Se però i divertiti spettatori ridono e sfottono Manfredi e Cimarosa en travesti, davanti al giovane si rifugiano in un tenero e imbarazzato silenzio. Con ogni evidenza il ragazzo è assai credibile sotto quelle vesti, e nella baracca per un momento il chiasso si sospende in un frammento di nostalgia per le donne a casa, e anche di vera attrazione fisica dovuta alla lunga astinenza sessuale dell’emigrante, che di certo non può nemmeno sognarsi di conquistare qualche bella donna locale. Un riflesso lirico di rarissima potenza per il nostro cinema, di solito adagiato in toni narrativi assai distanti dalla delicatezza brusatiana.

In tutto questo, il recalcitrante e litigioso Nino Manfredi regala una delle sue più belle interpretazioni, sostenuto da un gran lavoro di sceneggiatura su uno dei personaggi più profondi e memorabili della storia del nostro cinema. Era un periodo molto felice per la carriera di Manfredi. Smessi i panni del colonnello da commedia ad ogni costo, già da diversi anni l’attore aveva cominciato a concedersi a prove autoriali che preesistevano a lui e alla sua ben definita personalità. Dopo il celebratissimo esordio alla regia con Per grazia ricevuta (1971), aveva inanellato film pregevoli uno dopo l’altro (tra gli altri, Trastevere di Fausto Tozzi, Girolimoni il mostro di Roma di Damiano Damiani, che curiosamente raccontava un’altra vicenda di pirandelliana crisi d’identità). Sotto questo profilo Pane e cioccolata resta probabilmente il suo film più importante, dove la visione di un autore preesisteva al suo ruolo mattatoriale, lo conteneva e lo rileggeva in tormentosi rapporti di forza tra metteur en scène e protagonista. Litigando, confliggendo, ai fini di un’opera che fa del proprio tormento espressivo la sua propria ragion d’essere e il suo significato più pregnante.

Gli extra sono molto ricchi. Un documentario sulla realizzazione (Una macchina con due motori), una conversazione sul film tra Paolo Virzì e Andrea Occhipinti, e un intervento di Luciano Tovoli e Gianluca Farinelli sul lavoro di restauro della Cineteca di Bologna. Infine, un libretto storico-critico

Info
La scheda di Pane e cioccolata sul sito della Lucky Red.
La scheda di Pane e cioccolata sul sito di CG Home Video.
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