Le leggi del desiderio

Le leggi del desiderio

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Le leggi del desiderio, opera terza come regista di Silvio Muccino, rivela una volta di più un’ambizione spropositata quanto vuota di significato alla resa dei conti. Con Nicole Grimaudo, Carla Signoris e Maurizio Mattioli.

Il gioco dei quattro Canton

I desideri dell’uomo muovono il mondo. E ogni giorno, per riuscire a ottenere l’oggetto del nostro desiderio, modifichiamo noi stessi e la nostra realtà. O perlomeno, cerchiamo di farlo. Secondo Giovanni Canton, il carismatico e funambolico trainer motivazionale protagonista di questa storia, ci sono delle tecniche precise che possono aiutarci a raggiungere quello che desideriamo, sia esso il piacere, il lusso, il potere, il successo o l’amore. Considerato dai suoi tanti fan una sorta di profeta, e da molti altri un cialtrone che si approfitta delle debolezze altrui, Canton decide di dimostrare la veridicità delle sue teorie organizzando un concorso per la selezione di tre fortunate persone che verranno da lui portate in sei mesi al raggiungimento dei loro più sfrenati desideri. Ma l’intenso rapporto che si stabilirà fra il life coach e il terzetto prescelto produrrà effetti inaspettati nella vita di tutti loro, soprattutto in quella di Canton… [sinossi]

Se buona parte della produzione cinematografica italiana si muove angosciosa (e angosciata) tra i flutti della mediocrità, non si può non riconoscere a Silvio Muccino una notevole ambizione registica, forse persino superiore a quella del fratello maggiore. I primi segnali della brama autoriale di Muccino jr. si avvertivano con forza già nell’esordio Parlami d’amore (2008), dove lo sguardo dell’esordiente cercava di quando in quando le coordinate necessarie per confrontarsi nientemeno che con Stanley Kubrick – l’ammiccante sequenza che “omaggiava” Eyes Wide Shut –, e avevano trovato conferma nel successivo Un altro mondo, dove i termini terzomondismo e veltronismo si intrecciavano in maniera indissolubile, producendo un mostro bicefalo e deforme.
Dopo aver nascosto il bildungsroman prima dietro il dramma amoroso e quindi dietro una presa di coscienza umana e familiare, Silvio Muccino torna dietro la macchina da presa per raccontare un romanzo di formazione che si muova però in direzione di una commedia gentile ed educata.

Giovanni Canton (che vive, nomen omen, a piazza Vittorio, la “piccola Cina” capitolina) vorrebbe apparire in scena con la stessa furia devastatrice del Frank T.J. Mackey di Magnolia, ma chiarifica fin dalle primissime sequenze la totale estraneità del suo personaggio da quello interpretato da Tom Cruise nel film di Paul Thomas Anderson. Basterebbe il modo in cui viene raccontato il casting attraverso cui Canton sceglie i tre fortunati (?) destinati a veder risolta la propria esistenza per comprendere l’intima natura di Le leggi del desiderio: un profluvio di smorfie, mossette, battute a mezza bocca che vorrebbero risultare divertenti e palesano solo la mancanza di ritmo comico di Muccino.
Non c’è verità nel suo film, neanche quella puramente di finzione. Non c’è sincerità, annacquata com’è in una standardizzazione del linguaggio ancor più grave perché avvolta nell’illusione di spingere la commedia italiana un passo più in là, oltre l’ostacolo.
Di ostacoli Le leggi del desiderio ne affronta un numero non indifferente, inciampando a ogni pie’ sospinto: la costruzione dei quattro caratteri protagonisti è raffazzonata, ferma a un enunciato che non viene mai realmente approfondito (e non basta abbozzare qualche situazione familiare, come quella tra Canton e il padre arteriosclerotico, per aggiustare la situazione), e le motivazioni che li spingono sono prive di una reale sostanza.

Ammaliato dalle stesse luci del proscenio che vorrebbe mettere alla berlina, Muccino non sa mai quale direzione prendere, e anche l’innamoramento prevedibile tra il suo personaggio e quello di Nicole Grimaudo risulta forzato, schematico, velleitario. Cinema in provetta, senza malizia, che non merita neanche l’appellativo di trash perché non osa, non sfora, non esce mai da un seminato che non preannuncia una raccolta neanche vagamente soddisfacente.
Silvio Muccino, che come d’abitudine firma la sceneggiatura insieme a Carla Vangelista, si accontenta di una corsa in aeroporto, un Natale passato a guardare La vita è meravigliosa, un karaoke maldestro in un ristorante coreano, per credere di raccontare l’umano, il desiderio, l’amore. E crede che una donna che parla di sadomaso pur lavorando per il Vaticano e un sessantenne che si improvvisa milanese per risultare più credibile a un colloquio di lavoro siano paradossi tali da bastare alla confezione di una commedia (s)corretta. Come lui, probabilmente, la pensano anche molti produttori, sceneggiatori, addetti ai lavori, pubblico pagante. Ed è da qui che bisognerebbe partire per comprendere le falle del sistema italiano, sempre che si abbia davvero interesse a farlo.

Info
Il trailer de Le leggi del desiderio.
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