Un altro mondo

Un altro mondo

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Opera seconda di Silvio Muccino, a due anni dal poco convincente Parlami d’amore, Un altro mondo è un film sulla solitudine, sulla paura di crescere, sull’incapacità di abbandonarsi ai sentimenti, ma anche un confronto ad armi (im)pari tra generazioni (quella adolescenziale e quella adulta) sempre più distanti

Nati due volte

Andrea conduce una vita insifignicante insieme alla compagna Livia. All’improvviso arriva una lettera: il padre, sparito in Kenya moltissimi anni prima, sta morendo. C’è ancora il tempo per accomiatarsi da lui come un vero figlio. Il padre è in ospedale e Andrea fa appena in tempo a sentirne la stretta della mano. Combattuto fra pietà e risentimento, Andrea sta per tornare in Italia quando gli viene presentato suo fratello, il figlio che il padre ha avuto da una donna keniota. In un primo momento Andrea rifiuta il fratello Charlie e tenta di rintracciare i nonni kenioti che, in verità, hanno maledetto e bandito la memoria della figlio. Pian piano tra Andrea e Charlie nasce, però, un legame di affetto che convince Andrea a portare Charlie in Italia... [sinossi]
Le cose non cambiano mai.
Cambiamo noi.

Recita così la frase di lancio che accompagna l’uscita nelle sale nell’affollato cartellone pre-natalizio, da sempre particolarmente generoso dal punto di vista degli incassi al box-office ma allo stesso tempo rischioso se non fai parte del cosiddetto filone del cinepanettone o dell’animazione a stelle e strisce, di Un altro mondo, opera seconda di Silvio Muccino che, a due anni di distanza dal poco convincente Parlami d’amore, torna dietro alla macchina da presa con la trasposizione del nuovo romanzo di Carla Vangelista edito nel 2009 da Feltrinelli. Si tratta a tutti gli effetti di una pellicola che mette al centro del plot il tema del cambiamento, tanto per il protagonista interpretato in maniera altalenante dallo stesso Muccino Jr. e per le persone che lo circondano quanto per colui che lo ha realizzato.

Se da un lato le cose non cambiano, visto che per il suo ritorno alla regia il giovane regista e attore romano ha deciso di puntare ancora una volta su un libro della scrittrice e sceneggiatrice romana classe 19541, sancendo il secondo atto di un sodalizio artistico fra i due iniziato nel 2006 con la scrittura a quattro mani di Parlami d’amore per Rizzoli, diventato due anni dopo l’esordio cinematografico di Muccino Jr., dall’altro quest’ultimo ha dimostrato un notevole balzo in avanti sul versante tecnico-stilistico in termini di maturità e una maggiore attenzione nei riguardi della storia e soprattutto dei personaggi che la animano. Anche se non debellati completamenti quei difetti che non hanno permesso alla pellicola d’esordio di passare agli annali, vedi ad esempio l’uso spasmodico di una colonna sonora onnipresente e spesso invasiva (ma comunque pregevole e ricca di ottime performance e scelte, merito di un bravissimo Stefano Arnaldi che punta anche sull’eterna SecretGarden di Bruce Springsteen) come se l’autore non si fidasse appieno delle immagini e soprattutto dei dialoghi oppure una certa leziosità nella regia che in alcuni casi sfiora il puro manierismo, eppure c’è da sottolineare l’evidente evoluzione in positivo di chi si è posto dietro e davanti alla macchina da presa.

Dal punto di vista attoriale e interpretativo le lacune di Silvio Muccino sono ancora più che evidenti, anche se alle prese con un personaggio non facile da trattare; camuffate però abilmente da alcune spalle che di volta in volta si sono scambiate il testimone al suo fianco, in primis il sorprendente co-protagonista Michael Rainey Jr.2 nei panni del piccolo Charlie e un’ammirevole Greta Scacchi in quelli della gelida madre Cristina, che regalano alla platea di turno i momenti più riusciti del film. A goderne è soprattutto lo script che, nonostante barcolli in moltissime occasioni oscillando pericolosamente tra scene di intensa partecipazione empatica e scivoloni melodrammatici, riesce tuttavia a scorrere fino all’epilogo. Cosa che non si può dire di certo di Parlami d’amore, opera stucchevole e altezzosa con la quale il giovane Silvio non ha fatto altro che dare libero sfogo a un egocentrismo autoriale persino irritante. In Un altro mondo, invece, Silvio si mette al servizio della storia e dei personaggi costruendo una regia decisamente più sobria e funzionale che non prevarica mai il desiderio di raccontare. C’è da dire che lo spessore drammaturgico e narrativo in questa circostanza glielo ha permesso a differenza del materiale maneggiato nel 2008. La regia seppur leccata e patinata evita per fortuna l’estetica del videoclip come accaduto nell’opera precedente. Lo stacco stilistico e fotografico (da applausi il lavoro del direttore della fotografia Marcello Montarsi) tra la parte africana (macchina a mano sporca dalle tinte cromatiche sature) e quella capitolina (chirurgica e pulita con dominante cromatica blu e grigia) mette chiaramente in evidenza una certa versatilità visiva, supportante magnificamente dal montaggio di Cecilia Zanuso.

Sul versante della scrittura ci troviamo al cospetto della più classica delle storie di formazione che accompagna lo spettatore in una sorta di road movie che da fisico si fa ben presto emozionale. A reggere lo script, e di conseguenza il suo adattamento, sono soprattutto i duetti fra i due fratelli e quelli di Andrea con la madre, meno quelli che vedono coinvolti lo stesso protagonista con la fidanzata Livia, interpretata da una Ragonese che funziona solo a fasi alterne. L’evoluzione e lo sviluppo dei singoli personaggi, messi alle corde spesso da impianti dialogici alcune volte un po’ troppo sopra le righe (qui forse l’influenza di Muccino Senior si manifesta come nella scena della litigata tra Andrea e Livia), consentono di fatto alla storia di mantenersi a galla. In particolare proprio i duetti già citati tra i fratelli rappresentano la costola dura sul quale si regge un plot che in linea di massima, tenendo ben presente i temi trattati, riesce a scansare le sabbie mobili della banalità e del ricattatorio. Nel farlo sceglie la via della sincerità, della spontaneità, non della furbizia, lasciando la porta aperta anche all’improvvisazione. Muccino Jr. ama definirlo un About a Boy made in Italy ai tempi di Obama, ma risultati alla mano la mente non può che tornare al toccante We Need Each Other (2003) dello spagnolo Gimènez Pena. Un altro mondo è un film sulla solitudine, sulla paura di crescere, sull’incapacità di abbandonarsi ai sentimenti, ma anche un confronto ad armi (im)pari tra generazioni (quella adolescenziale e quella adulta) sempre più distanti.

Note
1 Dopo aver lavorato per più di vent’anni nel doppiaggio, adattando più di cento film fra i quali Magnolia e Il pianista, Carla Vangelista è stata traduttrice e consulente di letteratura anglo-americana per la casa editrice Baldini & Castoldi. Per il teatro ha scritto Solo per amore, mentre per il cinema e la tv ha firmato gli script di Troppi equivoci di Andrea Manni per la serie Crimini e Signorinaeffe di Wilma Labate.
2 Già visto sul piccolo schermo in Italia nel videoclip della canzone Più grande di Tiziano Ferro.
Info
Il trailer di Un altro mondo.

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