Gli assassini vanno all’inferno

Gli assassini vanno all’inferno

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Un film di Robert Hossein, sull’evasione da un carcere, che si conclude con una lunga parte edenica dove si scatenano dinamiche primordiali. Gli assassini vanno all’inferno, presentato al Bergamo Film Meeting nella retrospettiva sul polar.

Eva contro i fuggitivi

Due criminali evadono dal carcere e fuggono nel Sud della Francia. Su una spiaggia della Camargue c’è una casa isolata dove abitano il pittore ed Eva, la sua donna. I due evasi le uccidono il compagno e lei trova il modo di vendicarsi con la seduzione e con l’inganno. [sinossi]

Il tema della fuga da un carcere è stato ampiamente battuto dal cinema, basta pensare, rimanendo nell’ambito del polar francese, a quel capolavoro che è Il buco di Becker. Con Gli assassini vanno all’inferno del 1955 – presentato al Bergamo Film Meeting – Robert Hossein sviluppa questo archetipo narrativo in modo originale, in un film composto di tre parti, la prigione, la fuga e l’inferno/paradiso.
La prima parte è quella sulla vita carceraria, opprimente, governata dall’immagine ricorrente di un altare, con una statua della Madonna, punto di convergenza dei bracci della prigione. Vessazioni da parte dei secondini, bullismo e lotta di sopravvivenza tra i carcerati. E una ghigliottina incombe. Non a caso una scritta in testa al film serve subito a mettere le mani avanti, dicendo che il film è un puro frutto dell’immaginazione, che non riflette la situazione reale delle carceri francesi, tant’è che le guardie carcerarie nella realtà non hanno in dotazione manganelli, come invece si vede nel film.
In questa prima parte il discorso morale, filo conduttore di Gli assassini vanno all’inferno, è ancora ambiguo. Il male è il carcere opprimente, non si può che stare dalla parte dei fuggiaschi, di cui peraltro non è dato sapere per quali reati stessero scontando la pena.
Passando al segmento della fuga, la malvagità dei due comincia a trapelare, raggiungendo il grottesco del cane abbattuto del benzinaio il quale, pur rimpiangendo la morte dell’amico a quattro zampe, rimane dispiaciuto di non aver potuto dare il resto al cliente. Si arriva poi all’apice, nel terzo segmento del film, della barbara uccisione, peraltro gratuita, per pura malvagità, del pittore.

Siamo approdati in una terra di nessuno, tra dune di sabbia in cui spuntano radi ciuffi di vegetazione. L’ambiente estremo della Camargue, un mondo selvaggio e primordiale, una terra edenica aspra che si trasformerà in un inferno, un paesaggio incontaminato dove si celano le sabbie mobili. Il pittore e la sua compagna, che significativamente si chiama Eva, sono due eremiti, persone che hanno rifiutato la civiltà per vivere in una capanna in mezzo alla natura, dedicandosi all’arte. Il dipinto del volto di Eva, che campeggia nella loro abitazione, richiama la Madonna nel carcere del primo segmento. I due si esprimono senza parole, a sguardi, nella loro vita primigenia, nel loro mondo incontaminato che sarà deturpato dai due uomini provenienti dalla ‘civiltà’ esterna.
La stessa Eva continuerà a centellinare il linguaggio anche nel relazionarsi con i due personaggi che le hanno ucciso il compagno. Eva è una donna dal fascino acerbo e selvatico, cui presta volto e corpo Marina Vlady, quell’ape regina che avrebbe fatto innamorare Godard.
Una donna ambigua, apparentemente ingenua e sottomessa all’uomo, che si concede, dopo aver superato il lutto, agli assassini che l’hanno resa vedova; in realtà cinica calcolatrice che simula il tutto per ottenere una vendetta pianificata, facendo ingoiare dalla terra, nelle sabbie mobili, i due gangster. La donna divide l’amicizia virile, fa emergere le differenze secondo schemi antropologici (“Io e te non siamo della stessa razza, uno è un cane, uno è un lupo”). La donna pone fine alla fuga, al male che rappresentano i due evasi, rivelatosi come tale. E in quel territorio estremo si scatenano così i conflitti ancestrali dell’umanità.

INFO
La scheda de Gli assassini vanno all’inferno sul sito del BFM.
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