Le soldatesse

Le soldatesse

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Dramma bellico e intimista sulla campagna di Grecia, Le soldatesse di Valerio Zurlini appare un’opera meno compatta e personale rispetto ad altre dello stesso autore, ma torna comunque a parlarci di un’epoca fertile per il nostro cinema. In dvd per Minerva, Mustang e CG.

Seconda Guerra Mondiale. Nella Grecia occupata, due soldati italiani sono incaricati di accompagnare un gruppetto di prostitute locali (tranne un’italiana in trasferta) ai dipartimenti militari ai quali sono state assegnate come “sostegno morale” alle truppe. A poco a poco i due militari familiarizzano con quattro di loro, ognuna dal carattere e destino diversi… [sinossi]

È di pochi giorni fa la nostra intervista a Paolo Pietrangeli a chiosa della rubrica Un Pietrangeli al mese dedicata al cinema di suo padre Antonio, appuntamento mensile in cui abbiamo ripercorso l’intera filmografia dell’autore romano. A chiudere la carriera di Antonio Pietrangeli resta un film tra i suoi più controversi, Come, quando, perché (1969), lasciato incompiuto per l’improvvisa morte dell’autore durante le riprese e terminato in seguito da Valerio Zurlini, chiamato pare soltanto per girare poche scene rimaste irrealizzate e per occuparsi del montaggio (vedi sempre intervista a Paolo Pietrangeli). Sarebbe interessante sapere se fu chiamato Zurlini in un’ottica prettamente industriale (ovvero, trovare il primo regista libero e disponibile a chiudere il film in fretta dopo la prematura e tragica scomparsa di Pietrangeli) o se in qualche modo la scelta fu anche ragionata e ponderata. Personalmente propendiamo per la prima ipotesi con un buon margine di sicurezza, vista la consueta tendenza dei produttori a badare al sodo e perdersi poco in chiacchiere di coerenza artistica o quant’altro. È pur vero però che tra Pietrangeli e Zurlini è rintracciabile una certa congenialità, quasi del tutto assente in ambito di estetica ma pertinente per quanto attiene alla sfera tematica. Nelle filmografie di entrambi è ricorrente infatti una spiccata attenzione, inconsueta per la loro epoca, verso i personaggi femminili.
Della galleria pietrangeliana si è ampiamente detto nel nostro speciale e anzi non saremo di certo noi i primi a illuminare tale plateale evidenza; nel caso di Zurlini è sufficiente farsi una passeggiata in mezzo ai numerosi caratteri femminili molto ben tratteggiati dell’esordio in lungometraggio Le ragazze di San Frediano (1954), per passare alla guerra vista dagli occhi di una malinconica borghese in villeggiatura, la Roberta di Estate violenta (1959) e per finire poi con lo splendido ritratto di Aida servito a Claudia Cardinale per uno dei suoi più bei personaggi in La ragazza con la valigia (1961).

Su tale linea interpretativa si colloca perfettamente una prova come Le soldatesse (1965), proposto adesso in dvd per Minerva, Mustang e CG. Si tratta forse di uno Zurlini meno convincente che altrove, ma di nuovo ritroviamo un attento cesellatore di caratteri femminili, magari in questo caso non tutti messi a fuoco con la stessa robustezza e precisione, che però vengono comunque a confermare una precisa specificità autoriale. Per cui, chissà, forse la scelta di Zurlini per terminare Come, quando, perché non fu poi così casuale e i produttori del film dimostrarono un’insospettata sensibilità.
Le soldatesse è ispirato a un romanzo autobiografico di Ugo Pirro e racconta l’incontro tra due militari italiani e un gruppetto di prostitute greche (tranne una, italiana in trasferta) che durante il conflitto italo-greco della Seconda Guerra Mondiale sono assegnate a sostegno “morale” per le truppe occupanti.
I due soldati sono incaricati di accompagnarle ai singoli dipartimenti italiani di stanza nella penisola balcanica occupata; di fatto il film si trasforma in un tormentato road movie in mezzo alle rovine concrete e morali di una nazione invasa, devastata e ciò nonostante strepitosamente fiera.
Secondo le ben note logiche della coproduzione, alle due italiane Lea Massari e Valeria Moriconi si affiancano due attrici internazionali, Marie Laforêt e Anna Karina, quest’ultima sposata in quegli anni con Jean-Luc Godard. A ruota, i due protagonisti maschili sono tutto fuorché italiani: il grande Mario Adorf, stavolta incredibilmente alle prese con un personaggio di sguaiato fiorentino (opportunamente doppiato da Pino Locchi, la voce storica di James Bond) e nel ruolo principale Tomas Milian, come al solito in grandissimo spolvero di intensità drammatica e introversa espressività come spesso accadeva in queste sue prime prove nel nostro cinema a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta, praticamente agli antipodi rispetto al guascone istrionico dei successivi vent’anni di carriera italiana.

Non è molto ampia la filmografia di casa nostra dedicata alla guerra di Grecia, e in tal senso Le soldatesse nasce sulle migliori intenzioni. Come dice Morando Morandini, è un film “autenticamente antifascista”, in cui si respira uno sdegno morale che sa molto di Ugo Pirro. È meno congeniale forse allo spirito più personale di Zurlini, che fino a quel momento aveva sfiorato raramente il vero e proprio impegno civile (Estate violenta è un film di umori e suggestioni, in cui la guerra tutt’al più informa le coscienze dei protagonisti nel loro disperato dibattersi tra desiderio e coraggio). In tal senso Le soldatesse vive di una doppia natura che non sempre sembra riuscire a trovare una propria compiutezza: da un lato la sana e piena franchezza di un cinema impegnato che mostra gli orrori commessi dal nostro stesso paese durante una delle tante pagine poco gloriose della guerra di Mussolini (esecuzioni, persecuzioni politiche e quant’altro), dall’altro il dramma intimo di quattro personaggi femminili di scrittura piuttosto diseguale.
Il personaggio della Laforêt cresce nel corso del racconto concludendo da protagonista e Valeria Moriconi assicura i momenti di distensione da commedia in coppia con Mario Adorf, mentre il personaggio della Karina è appena sbozzato e Lea Massari è ridotta a una quasi-comparsa (curioso: tra le poche italiane del cast, le è stato affidato il ruolo di una greca che non parla una parola della nostra lingua, e per questo condannata a pronunciare pochissime battute).
Oltretutto risulta poco zurliniana anche questa alternanza al bilancino, secondo logiche più da produzione che da autore, tra tensione e distensione narrativa: ai momenti più crudi e drammatici corrisponde un preciso filone da commedia garantito dalla coppia Adorf-Moriconi.

Contestualmente, troviamo nel film tutto quel che possiamo aspettarci da un dramma bellico così concepito nei nostri anni Sessanta: il riconoscimento della gloria e fierezza del nemico, che si è ritrovato in tale ruolo senza ragione alcuna se non la vanagloria di un dittatore italiano al quale, se proprio doveva combattere, piaceva vincere facile (e invece trovò un’accanita resistenza ellenica), la vigliaccheria del comandante fascista di turno (tòpos narrativo di tutta una cinematografia nazionale almeno fino alle soglie degli anni Ottanta), il percorso esemplare e formativo di un personaggio centrale che “scopre” una realtà (l’ottimo tenente di Tomas Milian), la precarietà dei giorni di guerra, il viaggio accidentato, le peripezie e quant’altro. Niente di inaspettato, insomma, ma con almeno una pagina di grande ed emozionante messinscena: l’assalto al carro dei protagonisti in mezzo a una vallata, coinvolto in una sparatoria da cecchini senza volto, sequenza che per la sua sagacia spettacolare ha sollevato confronti (certo incauti, ma non del tutto fuori luogo per la dinamica narrativa) addirittura con la diligenza in fuga nella Monument Valley di Ombre rosse (1939).
Resta comunque la sensazione generale di un’opera nobile e seria, ma meno coesa e ispirata rispetto ad altre prove di Valerio Zurlini. Ne è ulteriore testimonianza l’ultima mezz’ora, in cui esplode il gusto dell’autore per conclamati toni melodrammatici e magniloquenti. Nello scioglimento le battute di Marie Laforêt si fanno sempre più stentoree, mentre il dramma d’amore supera il livello di guardia.
Ciò detto, restiamo con la confortante impressione di ritrovarci nel nobile alveo del cinema italiano anni Sessanta, quello delle coproduzioni, del senso dello spettacolo, dell’industria che sapeva sposarsi a sguardi d’autore e che non temeva di riflettere sul proprio paese e sulla propria storia senza tralasciare il gusto per l’intrattenimento. E Valerio Zurlini, forse ancor più dimenticato di Antonio Pietrangeli, è stato autore di una filmografia molto interessante, che merita di essere rivista e riscoperta. Dalle battaglie amorose di San Frediano a Firenze, alle spiagge sorvolate da aerei di guerra a Riccione, ai Balcani invasi dai fascisti, alla dispersione dell’io in attesa di una guerra che non arriva mai (Il deserto dei Tartari, 1976).

Extra: assenti.
Info
La scheda di Le soldatesse sul sito di CG Entertainment.

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