Last Hurrah for Chivalry

Last Hurrah for Chivalry

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Per festeggiare i settant’anni di John Woo riscopriamo il suo primo wuxia, Last Hurrah for Chivalry, diretto nel 1979. Un inno all’amicizia virile che già racchiude al proprio interno la poetica del regista hongkonghese.

Lo scontro finale

Il giovane Kao Pang è l’unico sopravvissuto allo sterminio della sua famiglia; visto che vuole vendicarsi, il suo maestro di arti marziali lo invia a cercare il miglior spadaccino di sempre, soprannominato “la spada magica”. Ma “la spada magica” ha promesso alla madre di non combattere più… [sinossi]

John Woo compie settant’anni; una cifra che è strano collegare al volto del maestro dell’action hongkonghese, il nome che ha permesso al noir cantonese di conquistare il proscenio internazionale grazie a titoli entrati nella memoria collettiva quali The Killer, i primi due capitoli di A Better Tomorrow e Bullet in the Head. Se è vero, come cantava Guccini, che «gli eroi son tutti giovani e belli», allora non è facile immaginare un Woo senile, lui che è stato l’eroe di una generazione cinefila che apriva finalmente gli occhi sulla produzione popolare dell’Estremo Oriente, riconoscendone l’importanza capitale e promuovendo un’indispensabile – e prolifica – palingenesi delle forme.
Anche perché, dopo il ritorno a casa da Hollywood (sei film in dieci anni alla Mecca del Cinema, tra i quali si annoverano Face/Off e Mission Impossible II), Woo si è mostrato in gran forma, soprattutto grazie all’epica wuxia de La battaglia dei tre regni, con cui tornava a confrontarsi con il genere per eccellenza del cinema cinese e hongkonghese a distanza di quasi trent’anni.

Anche per questo viene naturale festeggiare il compleanno di Woo andando a ripescare dagli anfratti della memoria Last Hurrah for Chivalry, il film che nel 1979 inserì definitivamente Woo tra i nomi più interessanti della new wave hongkonghese. Già inquadrare Last Hurrah for Chivalry all’interno della produzione della città-stato sotto l’egida britannica permette di comprenderne il ruolo a suo modo chiave: prodotto dalla Golden Harvest di Raymond Chow, conquistatrice del botteghino locale tanto nel kung-fu movie che nella commedia grazie a Bruce Lee e Michael Hui, il nono lungometraggio di Woo permette all’allora trentatreenne regista di abbandonare le commedie a cui era stato relegato per “colpa” del clamoroso successo di pubblico di Money Crazy, sbrindellata (ma anche scatenata) sarabanda slapstick con protagonisti Ricky Hui e Richard Ng. Il senso di un’operazione come Last Hurrah for Chivalry è rintracciabile già nel titolo: ossequioso discepolo di Zhang Che – o Chang Cheh, come prevede la nuova traslitterazione dal mandarino – e dei suoi capolavori dedicati allo spadaccino con un solo braccio (Mantieni l’odio per la tua vendetta, La sfida degli invincibili campioni e La mano sinistra della violenza), Woo vede nel wuxia l’epica di una sconfitta permanente. Nelle sue mani il genere si fa crepuscolare, con uno sguardo tanto alle radici popolari quanto alla rilettura del western all’italiana. In un periodo di riflusso per il genere (ma tra il 1979 e il 1980 arrivano in sala a Hong Kong anche The Butterfly Murders di Tsui Hark e The Sword di Patrick Tam), Woo fa scemare i toni trionfalistici ombreggiandoli con la tematica a lui più congeniale, quella relativa all’onore e alla cavalleresca lealtà virile.

Da questo punto di vista Last Hurrah for Chivalry può giustamente essere letto come un primo punto di approdo all’operazione produttiva portata avanti con A Better Tomorrow; se in quel caso era il noir a vivere una totale riscrittura, nella forma oltre che nella sostanza, il Woo di fine anni Settanta non ha ancora la capacità di incidere con altrettanta forza sotto il profilo dell’immaginario, ma non esita invece a inserire la propria poetica all’interno di un canovaccio in parte già esistente.
Se, come già scritto, l’omaggio a Zhang è fedele all’impianto strutturale del wuxia, Woo non ne sposa appieno la poetica nichilista: Last Hurrah for Chivalry è altresì doloroso, e i personaggi vivono conflitti interiori che non si fermano alla sola sete di rivalsa nei confronti di chi ha abusato di loro. Gli amici Chang e Tsing, oltre a essere sublimi spadaccini, sono entrambi rosi da demoni interni: il primo ha giurato di non combattere più alla madre malata, il secondo annega la propria malinconia nell’alcol. La loro avanzata verso la magione del nemico, presidiata dai suoi scherrani, possiede da un tratto l’uggiosa spavalderia di un Peckinpah e dall’altro l’urgenza di un Kurosawa, con il combattimento che acquista un valore etico, personale e universale.
Coreografato con una violenza che mescola furore e stilizzazione, Last Hurrah for Chivalry è un gioiello grezzo, nel quale Woo riversa il suo amore per una modernità dello sguardo che non si fa mai negazione ottusa del passato. Punto d’incontro tra due momenti d’oro del cinema hongkonghese, Last Hurrah for Chivalry è un film da riscoprire, per comprendere fino in fondo l’importanza cruciale di Woo all’interno degli equilibri del cinema di Hong Kong, e non solo.

Info
Il trailer di Last Hurrah for Chivalry.
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