The Birth of a Nation

The Birth of a Nation

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The Birth of a Nation narra la vera storia di Nat Turner, nato schiavo in Virginia e alla guida, poco più che trentenne, di un tentativo di insurrezione contro il padronato bianco. Alla Festa di Roma 2016.

Parola del Signore

Ambientato in Virginia nel 1831, il film racconta di Nat Turner, uno schiavo istruito il cui padrone in difficoltà economiche, Samuel Turner, sfrutta la sua abilità come predicatore per sottomettere gli schiavi ribelli. Dopo esser stato testimone di innumerevoli atrocità, Nat escogita un piano per condurre la sua gente alla libertà. [sinossi]

The Birth of a Nation non è un film che vuole passare inosservato, e lo si evince con facilità fin dal titolo, che occhieggia in tralice la Nascita di una nazione di David W. Griffith, che ha spento lo scorso anno le cento candeline e si ritrova, come l’esordio al lungometraggio di Nate Parker, ospitato all’interno dei lavori dell’undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma. Il sottotitolo italiano scelto per il film è Il risveglio di un popolo, e l’effetto che produce nello spettatore è straniante. Perché la storia – vera, come rimarca fin da subito il film – di Nat Turner, lo schiavo della Virginia che si ribellò ai suoi padroni e fece strage di un buon numero di proprietari terrieri prima di essere portato al patibolo, dovrebbe rappresentare il “risveglio di un popolo”? Più giusto e decoroso fare riferimento semmai alla nascita di una nazione, una nazione in cui anche coloro che sono ridotti al silenzio hanno il diritto e il dovere di imbracciare le armi per trovare la propria dignità, ribadire il proprio diritto all’esistenza.
Come tutti gli slavery movie anche The Birth of a Nation diventa immediatamente un oggetto di riflessione politica, che non può che tracimare all’oggi, invadendo lo spazio di una quotidianità che parla di un’enorme disparità sociale esistente (per fermarsi agli Stati Uniti d’America, ma il tema è anche europeo, visto e considerato il dibattito sui migranti) tra la popolazione bianca, in particolare i wasp di origine anglosassone, e le altre comunità, in particolar modo gli afrodiscendenti che proprio in questi giorni stanno mettendo a ferro e fuoco la nazione, in protesta con il trattamento ricevuto da parte delle forze dell’ordine.
Il tema della schiavitù e della guerra di secessione che comportò anche uno scontro tra abolizionisti e i negrieri che volevano mantenere lo status quo sembra aver trovato nel Terzo Millennio una certa continuità produttiva, a Hollywood e nelle strette vicinanze della stessa: lo dimostrano, al di là di casi eloquenti come Django Unchained di Quentin Tarantino e 12 anni schiavo di Steve McQueen, anche i vari Amazing Gracez di Michael Apted, Manderlay di Lars Von Trier (già il precedente Dogville, seppur in modo allegorico, metteva in scena la schiavitù) e, approfondendo l’aspetto puramente legislativo, Lincoln di Steven Spielberg.

Parker, che veste anche i ruoli del protagonista, sembra ritagliare intuizioni e immaginari da Tarantino e McQueen; è proprio nella sua messa in scena, piuttosto difficoltosa e tendente a un magniloquente abuso di retorica (tralasciando derive nel cattivo gusto come l’immagine dell’angelo che accompagna, e domina, la vita di Turner), che The Birth of a Nation perde la sua occasione di incidere in maniera davvero forte e netta nella storia del cinema, per lo meno quello recente. Se le turpitudini cui erano soggetti gli schiavi non si discostano da immagini oramai diventate abituali e le situazioni si rifanno, spesso in maniera didascalica e senza una propria forza essenziale, a quelle descritte in tutta la slave narrative, da quella storica – vista in ogni caso con l’occhio del bianco, magari pietoso ma mai davvero giusto nei confronti di chi pativa condizioni inumane di prigionia –, la struttura narrativa appare poco fluida, alcuni personaggi secondari sono tratteggiati senza alcuna sfumatura e ridotti a mero utilizzo di tipi.
Questa grossolanità nella gestione della storia non impedisce in ogni caso a The Birth of a Nation di portare sullo schermo un personaggio principale di notevole interesse: schiavo educato fin da bambino alla lettura, infervorato dalla scoperta della Bibbia (unico libro a cui ha accesso, visto che gli altri sono “da bianchi” e secondo questi ultimi gli risulterebbero incomprensibili), Turner trova proprio in quella che ritiene la parola del Signore la spinta per sollevarsi contro i padroni portando con sé i suoi fratelli in catene. Così come Django Freeman trovava un’educazione laica alla giustizia e alla lotta nell’incontro con il medico tedesco King Schultz, lo stesso insegnamento Turner lo rintraccia nel “libro dei libri”. Il verbo come primo punto di partenza per una rivoluzione, un’idea quasi prossima a Thomas Müntzer, che nel secondo decennio del Sedicesimo secolo mise a ferro e fuoco la Germania a capo di un esercito di contadini, operai e artigiani che rivendicavano il diritto all’emancipazione, e alla terra. Mühlhausen fu la tomba di Müntzer, Courtland quella di Turner: al primo staccarono la testa, il secondo venne impiccato. Ma la sostanza è la stessa, nonostante secoli e pigmentazioni diverse: il potere economico e politico non accetta insubordinazioni, e le reprime nel sangue. Lo schiavo è schiavo, e tale deve rimanere.
Peccato che Parker non sappia condurre con coerenza il discorso fino in fondo, al punto da rintracciare una sorta di compensazione al trattamento subito di centinaia di migliaia di africani nella partecipazione degli stessi alla Guerra di Secessione nelle fila dell’esercito del Nord. Una scelta, quella di concludere The Birth of a Nation sulle immagini dei soldati afrodiscendenti dell’Unione, che appare poco condivisibile: quei soldati furono carne da macello utilizzata a proprio uso e consumo dai nordisti come propaganda bellica. I loro capi, ai quali dovevano ubbidire, erano una volta di più bianchi anglosassoni. I parenti prossimi di coloro che li tenevano in catene. Per questo la risposta migliore alla schiavitù resta l’atto di ribellione, l’utopia della lotta di Turner, quel gesto che non accetta compromessi e non fa distinzione tra supposti buoni e cattivi. La rivoluzione non è un pranzo di gala, diceva qualcuno.

Info
Il trailer di The Birth of a Nation.
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