Mademoiselle Paradis

Mademoiselle Paradis

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Raccontando la vicenda di Maria Theresia Paradis, pianista e compositrice cieca vissuta alla fine del Settecento, Barbara Albert con Mademoiselle Paradis ragiona sulla condizione femminile, arricchendo il discorso con evidenti echi herzoghiani. Alla Festa del Cinema di Roma.

Occhio non vede, cuore non duole

Vienna, 1777. Maria Theresia “Resi” Paradis, 18 anni, è una pianista non vedente dotata di un talento straordinario. Resi ha perso la vista, letteralmente da un giorno all’altro, quando aveva solo tre anni. Dopo innumerevoli esperimenti medici falliti, i suoi iperprotettivi genitori si rivolgono, come ultima spiaggia, a un discusso “medico dei miracoli”, Franz Anton Mesmer, per cui la possibilità di curare con successo la ragazza potrebbe rappresentare una fonte di fama e ricchezza. Il trattamento di Mesmer sembra avere un successo quasi immediato. Peccato che Resi si renda conto che mentre la vista sembra tornarle, il suo talento musicale svanisce. Realizza quindi che ritrovare la vista può essere un prezzo troppo alto da pagare, se può significare perdere il suo mondo musicale interiore… [sinossi]

Comincia subito nel segno dell’esattezza di scrittura e di messa in scena – allo stesso modo in cui finirà – il nuovo film di Barbara Albert, Mademoiselle Paradis, presentato alla dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma: un primo piano sul volto della protagonista che si dondola meccanicamente e muove in maniera impazzita e disarticolata gli occhi mentre – si intuisce – le sue mani fuori campo si allungano rapidissime e armoniose sui tasti di un pianoforte; e nel frattempo, sempre fuori campo, quella che poi scopriremo essere sua madre le impartisce ordini sottovoce, invitandola a sorridere e a stare più composta.
La giovane Maria Dragus – una interpretazione magnifica la sua – incarna infatti Maria Theresia Paradis, musicista e compositrice austriaca vissuta alla fine del Settecento, e dunque coeva di Mozart, nota per la sua cecità. E, con questa inquadratura iniziale, Barbara Albert chiarisce immediatamente come Mademoiselle Paradis verterà sulla figura di una ragazza che, proprio grazie all’insolita accoppiata della cecità e dell’abilità manuale, si ritrova incasellata al ruolo di freak, di fenomeno da baraccone, panni che proverà a svestire in ogni modo nel momento in cui riuscirà temporaneamente a riacquistare la vista.

Ha degli evidenti echi herzoghiani – e, se vogliamo, anche ferreriani – Mademoiselle Paradis: Resi – questo il nomignolo con cui viene chiamata – è un po’ una Kaspar Hauser al femminile, soprattutto quando comincia a vedere per la prima volta e deve adattarsi non solo a riconoscere colori e oggetti, ma anche a capire la prossemica dei corpi e i codici dello sguardo. Un parasole poggiato in un certo modo fatica a riconoscerlo perché le sembra ancora inaccettabile la relatività dei punti di vista – e qui il richiamo al Bruno S. che non riesce a mettere in rapporto esterno ed interno della sua prigione si fa evidente -; ma è anche difficile da capire per lei il senso degli inchini in surplace che si scambiano suo padre e il dottor Mesmer (sì, il celebre inventore del mesmerismo, che fece sì che per poco tempo Resi ricominciasse a vedere); così come fa gridare allo scandalo il fatto che lei non abbia riconosciuto il volto di un anziano e stimato dottore.
La conquista dello sguardo rappresenta per Resi l’accesso a una rimodulazione totale della sua identità: è la perdita di ogni certezza, ma anche la scoperta dell’ipocrisia e delle cieche regole del vivere sociale: per le sue amiche è inaccettabile che lei possa trovare bella la sua cameriera, proprio perché è una serva e dunque non può essere attraente. Ma L’enigma di Kaspar Hauser sembra essere rievocato anche nelle soggettive semibuie e quasi astratte di Resi, abbastanza simili alle allucinazioni/visioni di Bruno S.

Se poi il discorso sulla diversità di Mademoiselle Paradis si conferma nell’indiretto parallelismo tra la protagonista e il bambino scemo figlio di una serva, stando a intendere che i “non-normali” non ce la possono fare se non catalogati in quanto mostri, la Albert non si fa mancare anche un preciso riferimento alla condizione femminile: la stessa madre di Resi è vittima delle convenzioni sociali e del dispotismo del marito, mentre nella clinica di Mesmer sono ricoverate soprattutto donne e, come già anticipato, è indicibile e impensabile l’idea che possa istituirsi una relazione tra la protagonista e la sua cameriera (quando, al contrario, è accettato che la servetta venga molestata da un signore). Così, alla fine, Resi accetta di tornare a essere cieca per non turbare più l’equilibrio sociale intorno a lei e per ritrovare la gioia e la passione della musica.

Info
La scheda di Mademoiselle Paradis sul sito della Festa del Cinema di Roma.
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