Valley of Shadows

Valley of Shadows

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Valley of Shadows segna l’esordio alla regia di un lungometraggio del norvegese Jonas Matzow Gulbrandsen. Un viaggio iniziatico che gioca con gli stilemi dell’horror ma che finisce per rimanere troppo in superficie. Alla Festa del Cinema di Roma 2017.

Unico indizio: la luna piena

In un piccolo villaggio norvegese vengono ritrovate molte pecore squartate e sgozzate, e qualcuno pensa che questo sia dovuto all’influsso della luna piena. Ma è davvero un licantropo quello che si aggira di notte? Per scoprirlo il piccolo Aslak, di appena sei anni, si avventura nella lugubre foresta che sovrasta la sua casa, alla ricerca dell’amato cane svanito nel nulla… [sinossi]

La prima constatazione che viene naturale fare nell’approcciarsi a Valley of Shadows è che l’esordio al lungometraggio di Jonas Matzow Gulbrandsen non nasce dal nulla. Meglio, è ancora più lecito porre la questione in forma interrogativa: se quasi un decennio or sono Thomas Alfredson non avesse presentato al pubblico, riscuotendo successo unanime di critica e pubblico, Lasciami entrare, oggi un regista come il trentacinquenne Jonas Matzow Gulbrandsen avrebbe modo di dirigere come opera prima un film come Valley of Shadows? Ovviamente la domanda è oziosa, e nessuno potrà mai affermare di avere la risposta definitiva a disposizione, ma non si può non considerare quanto lo splendido horror vampiresco di Alfredson – tratto dal gioiello letterario di John Ajvide Lindqvist – abbia di fatto influenzato un settore produttivo, come quello scandinavo, già propenso a lasciarsi fascinare dalle seduzioni dell’horror e del genere nel suo complesso. Uno slancio ancora maggiore l’ha poi ottenuto quel sottogenere che riguarda il coming-of-age, i romanzi di formazione dedicati all’infanzia e all’adolescenza
È un bambino infatti Aslak, il protagonista di Valley of Shadows, come un bambino era l’eroe senza paura di Lasciami entrare (ma di qualche anno più grande) e un’adolescente dominava invece la scena nello stanco e per fortuna dimenticabile When Animals Dream del danese Jonas Alexander Arnby, visto nel 2014 sulla Croisette all’interno della Semaine de la critique; figure in divenire, in fase di trasformazione per quel che riguarda la pubertà o, come Aslak, per la prima volta costretti a fronteggiare il mondo che li circonda.

Un mondo ostile, freddo non solo da un punto di vista meteorologico – e la bella fotografia di Mariusz Kus, fratello del regista, è senza dubbio uno degli aspetti più interessanti di Valley of Shadows, con i suoi rarefatti riflessi pittorici a magnificare lo strapotere della natura – e che rappresenta in tutto e per tutto una minaccia. Riprendendo l’accostamento già fatto da John Landis in Un lupo mannaro americano a Londra, anche per Gulbrandsen il piccolo Aslak è un po’ come le pecore che vengono ritrovate di mattina straziate, col sangue ancora fresco a sporcare la candida lana: ma è davvero un licantropo quello che ha deciso di prendere di mira il minuscolo villaggio in cui il bambino vive solo con la madre, mentre un fratello maggiore tossicodipendente è perso chissà dove?
E se dovesse arrivare per la donna la più tragica delle notizie, e allo stesso tempo si perdesse nella foresta che domina la casa di Aslak anche l’amatissimo border collie bianco e nero (che è l’unico compagno di giochi del piccolo, a parte un vicino di fattoria un po’ più grande e che gli dà le informazioni necessarie sui lupi mannari), cosa dovrebbe fare il bambino se non inoltrarsi anche lui nel buio della boscaglia, alla ricerca – com’è ovvio – prima di tutto di se stesso?

Anche se le suggestioni visive non mancano e la scelta strettamente autoriale del regista rende quasi statuario il film, Valley of Shadows non mantiene di certo tutte le sue promesse: sotto la superficie ben fotografata e curata si ritrova in effetti ben poco, se non un discorso fin troppo facile sull’elaborazione del lutto, sulla necessità degli affetti e sull’iniquità del mondo, che considera mostruoso solo ciò che in realtà si rifiuta di accettare e riconoscere. A parte questo, e nonostante la bella presenza scenica del piccolo Adam Ekeli – chissà se si sentirà mai più parlare di lui in futuro – l’impressione è che anche il film finisca per scivolare in una valle delle ombre, quasi che il côté vagamente fiabesco e orrorifico della vicenda giustifichi una scelta narrativa impalpabile, rarefatta, quasi fantasmatica. Più furbo che intelligente, più estetico che artistico, Valley of Shadows è un film d’esordio non privo di interesse, ma a pochi, pochissimi passi dalla sterilità espressiva.

Info
Il trailer di Valley of Shadows.
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