Il presidente

Il presidente

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Diretto dall’argentino Santiago Mitre, Il presidente (La cordillera) è un’arguta, visionaria e ‘misterica’ parabola del potere e dei suoi diabolici sotterfugi. Con protagonista un eccellente Ricardo Darín. Al Torino Film Festival in Festa mobile.

Il diavolo è bianco

Durante un vertice che riunisce i capi di Stato latinoamericani in un hotel isolato sulle Ande, il presidente argentino Hernán Blanco viene coinvolto in un caso di corruzione che riguarda sua figlia. Mentre cerca di sfuggire a uno scandalo che minaccia di porre fine alla sua carriera e distruggere la sua famiglia, deve anche difendere gli interessi politici ed economici di tutto il continente. [sinossi]

La prima considerazione che vien da fare al cospetto di Il presidente (La cordillera), nuovo film del cineasta argentino Santiago Mitre presentato al Torino Film Festival (nel 2015 portò qui alla Mole La patota) e già in Un certain regard allo scorso festival di Cannes, è che il confronto con l’italiano Le confessioni di Roberto Andò è impietoso. In entrambi i film, infatti, si assiste a un summit internazionale in cui si dà luogo ad ‘accoltellamenti’ politici di vario genere e a vizi privati da cercare di tenere nascosti sotto il tappeto. Entrambi poi si svolgono – così come accade nella realtà dei vari super-incontri delle alte sfere del potere – in contesti isolati con l’obiettivo di tenere a distanza eventuali proteste. Ed entrambi infine innestano un elemento thriller, evidentemente in qualche modo memori del gigantesco de profundis del cinema e della politica italiani che fu Todo modo.
La differenza è che là dove Andò spinge il pedale sulla favoletta moralista e sulla forzata ingenuità (che somiglia un po’ alla saggezza), Mitre indaga con acume e spietatezza i meccanismi del potere, riuscendo a realizzare un apologo cristallino intorno alla sempiterna arte del machiavellismo.

Protagonista de Il presidente è – un al solito eccellente – Ricardo Darín che veste i panni dell’appena eletto presidente argentino Hernán Blanco. Questi, che ha costruito tutta la sua campagna elettorale sull’idea di essere l’incarnazione dell’uomo comune (e, in tal senso, si è fatto largo uso della polisemanticità del suo cognome, bianco), si trova proprio alla vigilia di un summit decisivo nelle condizioni di dover fronteggiare uno scandalo che riguarda l’ex marito della figlia. I suoi collaboratori sono prodighi di consigli – e anche di decisioni da prendere al suo posto -, convinti che il povero signor Blanco sia una pecorella smarrita nel crudele agone politico. Lo stesso fanno i suoi omologhi, da un lato il presidente brasiliano – che vuole sfruttare il voto argentino per imporre la proposta di una multinazionale pubblica del petrolio che riunisca tutto il Sud America -, dall’altro il presidente messicano – che invece vuole fare da apripista ai soliti statunitensi e dunque alla loro montagna di soldi e di corruzione. Blanco lascia fare, si lascia guidare, si mostra preoccupato per la figlia – che fa raggiungere sul luogo del summit e che esplicita evidenti segni di squilibrio – e poi finalmente svela il suo vero volto.

Scritto con raffinato andamento narrativo, in cui al più banale rimpiattino tra scene pubbliche e private si è preferito identificare quelle pubbliche come puntelli decisivi del racconto, Il presidente da un certo momento in poi entra in una fase misterica, da quando cioè lo psichiatra, chiamato a visitare la figlia di Blanco, arriva a suggerire di lavorare sull’ipnosi. L’uomo – che non poteva che essere interpretato da Alfredo Castro – si viene a delineare come un potenziale ostacolo per la riuscita dell’oscuro piano di Blanco. E, anzi, Blanco capisce subito – e noi lo capiremo poco dopo – che quel capace e astuto psichiatra è propriamente un alter-ego del nostro presidente, visto che lui ha ipnotizzato le masse e le ha manipolate con abilità.

Perciò, rispetto all’ottusa fierezza del presidente brasiliano e rispetto alla meschina e sin troppo palese ambiguità morale di quello messicano, Blanco è una pagina bianca, non è quel che sembra e nasconde nel rimosso dell’io la sua vera identità. Perché, per diventare un politico di successo, un politico che entra davvero nei libri di storia, bisogna saper cancellare e riscrivere continuamente la propria biografia, bisogna saper soppesare – e, in caso, occultare – ogni passo e ogni mossa, bisogna saper auscultare la propria coscienza per eliminare ogni forma di etica e lasciarla preda dell’unico sentimento che conta: l’ambizione.

Info
La scheda de Il presidente sul sito del Torino Film Festival.
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