Le straordinarie avventure di Mr. West nel paese dei bolscevichi

Le straordinarie avventure di Mr. West nel paese dei bolscevichi

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Nel 1924, fresco delle sue fondamentali teorie sul montaggio come interazione significante di immagini correlate, Lev Kulešov giocava apertamente in Le straordinarie avventure di Mr. West nel paese dei bolscevichi con gli stereotipi occidentali terrorizzati dalla “barbarie sovietica”, finendo per innestare negli spunti western e grandguignoleschi di una satirica commedia popolare e dalla matrice il più possibile “americana” i primi inestimabili vagiti della neonata avanguardia Sovietica. Alle 37esime Giornate del Cinema Muto.

Cara moglie, brucia le riviste newyorchesi e appendi un ritratto di Lenin sul muro
L’ingenuo americano John West, presidente della YMCA locale, sta progettando un viaggio nell’Unione Sovietica appena fondata per diffondere i principi dell’organizzazione ecumenica. Sua moglie è preoccupata per il fatto che la Russia sia piena di selvaggi bolscevichi che indossano stracci e pellicce primitive, come raffigurato sulle riviste newyorchesi, e quindi West porta con sé l’amico cowboy Jeddie per proteggerlo. Appena arrivato in URSS la sua valigetta viene rubata, viene separato da Jeddie e cade nelle mani di un gruppo di ladri e truffatori controrivoluzionari, inclusa una contessa in rovina. Dopo varie peripezie, scoprirà che i veri Bolscevichi sono molto differenti dal pericolo dipinto in America, e si convertirà agli ideali di Lenin. [sinossi]

Soffermiamoci un momento sul 1924 come fondamentale spartiacque nella cinematografia sovietica, come anno cruciale nello sviluppo, sul seme del Futurismo, delle istanze formaliste sulle quali nella successiva decade si impernierà l’Avanguardia. Era l’anno in cui la cineverità di Dziga Vertov si sarebbe definitivamente evoluta nel Cineocchio che non mirava più a mostrare il mondo attraverso il cinema ma, esattamente all’opposto, le potenzialità del cinema attraverso uno sguardo meravigliato sul mondo, era l’anno in cui Sergej Ėjzenštejn, da poco formulate le sue teorie sul montaggio delle attrazioni e sul cinepugno, si stava preparando a metterle per la prima volta in pratica con l’esordio Sciopero! che sarebbe stato completato nei primi mesi del ’25, ed era l’anno in cui Lev Kulešov, che di Ėjzenštejn era stato il maestro presso la scuola di cinema che aveva fondato e diretto a Mosca a seguito della Rivoluzione, realizzò Le straordinarie avventure di Mr. West nel Paese dei Bolscevichi, satira farsesca, tanto caricaturale quanto acuta, degli stereotipi americani nei confronti della Russia del tempo, tornata alle 37esime Giornate del Cinema Muto di Pordenone nella magnifica copia 35mm conservata al Wien Filmmuseum.

Un film dal respiro assolutamente popolare e che anzi nell’impostazione generale delle sue forme guardava apertamente a Hollywood, un film che non voleva necessariamente essere “Avanguardia” culturale e priva di compromessi ma che puntava invece alla risata e alla narrazione coinvolgente, un film che metteva alla berlina l’ignoranza americana ma al contempo ne omaggiava apertamente le forme cinematografiche. Ma anche un film che, ben al di là della sua assoluta fede negli ideali di Lenin e della dedica a cuore aperto «alla Russia» rivoluzionaria, nella sua commistione di generi dalla commedia al poliziesco passando per la pura azione e per il grandguignol dei ripetuti combattimenti corpo a corpo porta già in seno troppi elementi teorici perché non venga naturale considerarlo il gradino che precede il linguaggio più sperimentale, il necessario anello di congiunzione fra la teoria e l’industria, la scintilla di una sovversione culturale, il capofila che, anticipandolo di qualche mese, ha aperto la strada al più miracoloso cinema russo di fine anni Venti e ai suoi percorsi paralleli e complementari. Del resto, un po’ per l’interesse di ripensare le modalità del racconto e un po’ per quelle che saranno le crescenti pressioni da parte di Stalin che porteranno nel ’34 alla sostanziale fine delle sperimentazioni con l’imposizione del realismo come unica poetica ufficiale, l’Avanguardia Sovietica ha sempre sviluppato anche una corrente pienamente narrativa a lato di quella più antiletteraria e antiteatrale, nel solco della quale La madre (1926) di Pudovkin ha passato il testimone a Zvenigora (1928) di Dovženko, passando per Il cappotto (1926) di Kozincev-Trauberg e per La linea generale (1929) di Ėjzenštejn in co-regia con Alexandrov – per quanto la questione sia qui in realtà più complessa, con Ėjzenštejn in sostanza obbligato dal regime a dirigere un film “credibile” dopo le accuse di astrattismo a Ottobre (1927) e ingabbiato fra i continui controlli del materiale e l’imposizione, pare proveniente direttamente da Stalin, del titolo Il vecchio e il nuovo e del finale ideologico.
Ma non divaghiamo, torniamo a Kulešov, torniamo a Le straordinarie avventure di Mr. West nel Paese dei Bolscevichi, torniamo alla sua narrazione e alla sua natura prettamente teorica dissimulata nelle maglie della commedia che frulla generi, giocando apertamente con gli stereotipi fino alla conversione agli ideali bolscevichi del sempliciotto occidentale che indossa calzini a stelle e strisce, saluta tutti con la bandierina americana ed è partito per Mosca convinto dalle più conservatrici riviste newyorchesi e dalle loro fotografie di moda cosacca di dover avere a che fare con una pericolosa popolazione di sanguinari selvaggi.

Non è certo un caso che Mr. West si chiami proprio West, ovest, quell’occidente capitalista che, già da ben prima della Guerra Fredda, alla Russia dei Soviet ha sempre guardato con sospetto e paura; non è certo un caso che sia il presidente di una YMCA locale con la volontà di esportarne tutti i principi ecumenici nel “selvaggio est”, e non è certo un caso che, nel dipingerlo come sufficientemente ingenuo da credere pedissequamente agli stereotipi dell’«orrore Bolscevico» vestito di pelliccia e assassino, Lev Kulešov lo metta in scena esattamente come l’altro lato dello stereotipo, ovvero come la percezione sovietica dello yankee con tanto di occhiali tondi alla Harold Lloyd, tasche piene di banconote facilmente ottenibili facendo leva sulle sue paure e amico cowboy al seguito come (improbabile) guardia del corpo fra cadute dai tetti, finestre sfondate per errore, fidanzamenti in terra straniera e automobilisti presi al lazo.
Appena giunti a Mosca, parte del bagaglio di West verrà immediatamente rubato da un gruppo di ladri controrivoluzionari, nobili e borghesi di recente estirpati dal proletariato ma ancora perfettamente in grado di tessere le proprie viscide trame verso il denaro, mentre il fedele cowboy Jeddie finirà per seguire la macchina sbagliata, lanciandosi in una serie di peripezie messe in scena con straordinaria (e pienamente teorica) modernità fra spettacolari inseguimenti sui cavi tesi fra i palazzi, carrelli in corsa nelle profondità di campo, vasi lanciati, dure colluttazioni e soprattutto un montaggio rapido nella profusione di dettagli eterogenei, perché è il montaggio a fare strada all’emozione dello spettatore, a guidarlo nell’interpretazione di quello che vede, a prenderlo per mano per condurlo nel cinema.
Già due anni prima del resto, nel ’22, quando era anch’egli ancora studente insieme a Ėjzenštejn presso la scuola di Kulešov, un Vsevolod Pudovkin che si stava avvicinando a grandi falcate alla formulazione delle sue teorie sul montaggio come specifico filmico scriveva dell’esperimento con il quale il suo maestro aveva dimostrato come la percezione di ogni immagine cinematografica fosse strettamente correlata a quelle che la precedono e a quelle che le seguono. Era, appunto, l’effetto Kulešov, la scoperta su cui innestare l’intero linguaggio cinematografico, ottenuta mostrando lo stesso primo piano inespressivo intrecciato a differenti situazioni d’archivio (un piatto di minestra, una salma, un bambino che gioca) e registrando come ogni spettatore percepisse le emozioni dell’attore in base al contesto, dalla fame alla tenerezza genitoriale passando per il dolore di una veglia funebre. Il pubblico finiva inevitabilmente per proiettare le proprie emozioni, ingannate dall’interazione di immagini in realtà scollegate, sul viso sempre uguale eppure avvertito sempre diverso dell’attore, e la sintassi filmica aveva così trovato uno dei suoi cardini più importanti, sul quale si fonderà tanta parte dell’apparato teorico (non solo) sovietico successivo: è il montaggio a dare senso narrativo e a influenzare emotivamente lo spettatore, e non la singola inquadratura, di per sé svuotata o quasi di significato profilmico.
Ed è esattamente questo anche Le straordinarie avventure di Mr. West nel Paese dei Boscevichi. È un continuo ridiscutere in montaggio per evocare emozioni e spettacolarità, è un continuo passaggio del punto di vista narrativo da un personaggio all’altro (mirabili i momenti in cui, in questo gioco, la narrazione rimane in sostanza fuori campo mentre l’occhio della macchina da presa si sposta sui cospiratori che spiano gli altri personaggi dallo stipite di una porta), è un continuo giocare con le attese dello spettatore e con quelle del protagonista, sottoposto egli stesso a una messa in scena nella messa in scena – quella dei controrivoluzionari che, dopo aver conquistato la sua fiducia fra menzogne, palazzi in rovina spacciati per edifici di cultura «distrutti dai rivoluzionari», tentativi di seduzione della contessa decaduta e un sostanziale rapimento del quale West nemmeno si rende conto, si travestono da caricaturali Bolscevichi per terrorizzarlo (con tanto di processo-farsa e condanna a morte su cui torneremo) al punto di estorcergli migliaia e migliaia di dollari “per salvarlo”.
Il pubblico sa perfettamente che lo sguardo della contessa (interpretata da Aleksandra Khokhlova, moglie di Kulešov e in futuro, al pari di tutti gli altri interpreti del film fra i quali i giganti Pudovkin e Barnet, destinata a diventare regista) nient’altro è che eccitazione per la cupidigia e l’inganno che sta tessendo, ma capisce perfettamente come per l’ignaro e ingannato Mr. West, e solo per lui, quello stesso sguardo esprima prima la complice attrazione e poi il terrore che lui stesso sta provando.

In tal senso, è lo stesso Le straordinarie avventure di Mr. West nel Paese dei Bolscevichi a parlare apertamente nei suoi intertitoli e nel suo scorrere di immaginazione e di confusione, inserendo apertamente negli interstizi della trama tante di quelle che sono le riflessioni di natura puramente teorica che stanno alla base del film. C’è Jeddie che si confonde e sbaglia targa seguendo l’auto “satanicamente” targata 666 al posto della 999 sulla quale viaggia Mr. West, c’è lo stesso Mr. West che, ancor prima delle calze da riagganciare alle giarrettiere della provocante e ipocrita contessa (del resto, anche la carne e la seduzione possono essere ben precise armi in mano alla controrivoluzione), immagina le segretarie presso le quali ha trovato temporaneo ed evidentemente insufficiente rifugio in abiti prima docili e poi in quelli di spie, e poi ci sono i raccordi fra i campi lunghi, i dettagli e i primissimi piani dei campi-controcampi, magari incorniciati dai mascherini a iride per sottolineare la doppiezza delle emozioni e degli atti dei protagonisti.
Fino a quando, dopo che Mr. West stretto fra le maglie della sua paura ancestrale ignorante e un po’ razzista corroborata da un’aggressione subita in passato negli Stati Uniti si sarà lanciato proprio fra le braccia di chi sta stringendo il cappio di inganni e menzogne intorno al suo collo, Kulešov sfrutterà (come anticipato) la sequenza del falso processo degli altrettanto falsi “Bolscevichi” secondo l’immaginario americano – facce patibolari, mustacchi, disprezzo per la vita altrui, abiti da cosacchi e modi da conquistadores – per sperimentare apertamente, fra il sudore durante il pronunciarsi della (sempre falsa) sentenza di morte e i giramenti di testa in soggettiva di Mr. West ottenuti con doppie esposizioni roteando la macchina da presa. Fra ombre cinesi come estorsione e (non) fughe attraverso il camino, il protagonista scoprirà solo verso il finale, con l’arrivo della polizia di «veri Bolscevichi» ben prestanti e ben lontani dallo stereotipo dei baffoni cespugliosi e del colbacco, che l’Unione Sovietica era tutt’altro rispetto a come dipinta dal capitale occidentale.

Una terra di uomini forti e organizzati in Popolo secondo ideali di uguaglianza e di accrescimento. Una terra di cultura, fra la fiorente università e lo sfarzo del Teatro del Bolshoi. Una terra in ebollizione sociale, giusta, fondata sui lavoratori e sul rispetto. Una terra che crede fortemente in quello che ha ottenuto, con tanto di manifestazione di piazza cui non può che seguire la lettera telegrafata da West alla moglie, nella quale le chiede di bruciare le riviste americane e appendere al muro una foto di Lenin. Ed ecco che tutta l’autoironia vira in sincera e accorata celebrazione della gloria sovietica, non certo (a differenza che in altri casi di un futuro non più così roseo sotto la linea stalinista) per un qualche tipo di imposizione, ma per pura convinzione, per consapevolezza, per festeggiare una vittoria, e per inaugurare un cinema.
La visione americana dell’Unione Sovietica viene presa e ribaltata usando le armi della satira e del cinema popolare, usando il western e la spy story, usando gli equivoci e il poliziesco, usando la profondità di campo e i dettagli, usando i punti di vista e il montaggio, usando l’effetto Kulešov e anticipando le attrazioni, e proprio dove il regista e teorico cercava il film popolare, il genere, l’avventura, la risata della commedia e tutt’al più l’ideale sociale, aveva invece trovato l’Avanguardia sovietica, la centralità della moviola, un nuovo modo di raccontare per immagini. Era il primo passo di un percorso che si stava inesorabilmente delineando, era il primo mattone posato a lastricare una delle strade più luminose nella storia della settima arte. Era un film fondamentale, forse addirittura al di là delle sue intenzioni, figlio di un ribollire, di un ben preciso momento, di un ben preciso luogo, di una ben precisa cultura. Di un ben preciso linguaggio, finalmente codificato e pronto a cambiare per sempre la storia (non solo) di una nazione attraverso schermi che non sarebbero mai più stati gli stessi. «Lunga vita ai Bolscevichi!».

Info
La scheda di Le straordinarie avventure di Mr. West nel paese dei bolscevichi sul sito delle Giornate del Cinema Muto.
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