Michele Strogoff

Michele Strogoff

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Tratto dal noto romanzo di Jules Verne portato più volte sul grande e piccolo schermo, Michele Strogoff di Carmine Gallone si appoggia a una consueta idea di cinema come grande spettacolo d’intrigo e avventura, per ragazzi e non, con venature edificanti. In dvd per Surf Film e CG.

Durante una rivolta delle popolazioni tartare, lo zar Alessandro II incarica Michele Strogoff di fargli da corriere per una lettera importante da recapitare al fratello granduca al di là delle linee nemiche. Strogoff deve viaggiare sotto falsa identità accompagnato dalla bella Nadia, incaricata di fingersi sua moglie. A capo dei rivoltosi si è posto un ribelle ex-ufficiale dell’esercito, Ogareff, mentre lungo il viaggio periglioso Strogoff e Nadia incontrano una coppia di buffi giornalisti francesi che si uniscono a loro… [sinossi]

Più volte portato in tutto il mondo sullo schermo, grande e piccolo, e facente parte dell’ampio ciclo di romanzi Viaggi straordinari di Jules Verne, Michele Strogoff (1876) [1] trova un’altra trasposizione cinematografica con quest’opera tarda (1956) di Carmine Gallone, autore estremamente prolifico fin dai tempi del muto italiano e spesso (ma non esclusivamente) legato a realizzazioni con rievocazione storica – suo è, tra gli altri, Scipione l’Africano (1937), girato in piena epoca di esaltazione imperiale sotto la dittatura di Benito Mussolini. Per la mia generazione (forse anche per le successive, ma questo lo ignoro) il romanzo Michele Strogoff appartiene a salde memorie infantili, allineato al fianco di altri tra i libri più noti di Verne all’interno delle “bibliotechine di classe” a scuola, o sugli scaffali di casa. Rispetto ad altre opere di Verne dove l’elemento (para-fanta-)scientifico acquisisce elementi più determinanti, Michele Strogoff riduce la propria portata di meraviglioso nel raggio del mero esotico. Non vi è posto per terre immaginate o rimosse dalle carte geografiche, bensì “solo” fisicamente e culturalmente lontane.

Così, con lo sguardo di un francese come romanziere e di un italiano come regista, Michele Strogoff si sposta nella poco nota e fascinosa Russia zarista, regolata da un rigido codice militare, politico ed etico. Se l’opus di Jules Verne è stato lungamente e a torto ridotto a puro fenomeno di consumo per le generazioni più giovani, è altrettanto vero che nel film di Gallone ciò si riconverte in puro intrattenimento, lontano da evidenti implicazioni politiche o ideologiche. Se proprio vogliamo trovare un “doppio fondo” alle peripezie di Strogoff in Siberia (e qualche traccia di continuità col cinema fascista di cui Gallone fu protagonista), esso può essere al limite identificato in una generica fascinazione per l’ordine e le gerarchie, e per l’integrità morale di un eroe fiero e senza macchia al puro servizio dello stato. Il protagonista Strogoff si profila infatti come la più perfetta incarnazione del ganglio delle istituzioni, fedele allo zar e proiettato al rischio della propria vita per difendere la nazione. Ma al contempo i valori messi in gioco nel racconto sono i più elementari possibili: onore, fierezza nella battaglia, difesa della donna, totale rispetto per la figura materna. Da un’opera insomma che nasce all’insegna dell’intrattenimento con marca decisa (ma non esclusiva) in direzione del prodotto per ragazzi, oltretutto inizialmente concepito in pieno Ottocento, non ci si può aspettare nient’altro che una rapida caratterizzazione dei protagonisti per categorie macroscopiche e bidimensionali. Semmai è interessante rilevare l’incrociarsi di tali gigantesche parole d’ordine che attengono a un’idea di “ordine universale” con qualche venatura più specificamente italiana: sia pure ridotto a elemento secondario, il rapporto di Strogoff con la madre è evocato con accenti fortemente melodrammatici, forse affini all’esperienza di Gallone col film-opera o cinebiografie di famosi operisti.

Tuttavia l’approccio generale di Michele Strogoff resta volutamente (e volenterosamente) internazionale. A un occhio poco allenato (e magari coevo al film) forse non sono avvertibili profonde distanze tra un film come questo e i contemporanei romanzoni in costume provenienti da oltreoceano, e per lunghi tratti è più che evidente la tensione di Gallone all’epica per immagini. Michele Strogoff assume di fatto i tratti di un generoso kolossal europeo, frutto di una coproduzione italo-francese con partecipazione anche jugoslava, in termini di finanziamenti e di fornitura delle locations. Vi è anzi da rilevare un doppio passo parallelo, che allinea all’aspirazione di grandeur epica un nucleo più intimo e privato, riservato al nascere della passione tra Michele e Nadia e alle parentesi divertite, ai limiti del comico, animate dal duo di giornalisti francesi che accompagnano i protagonisti nel viaggio. Il desiderio (non del tutto esaurito nella realizzazione finale) pare essere quello di uno “spettacolo totale”, capace di mandare soddisfatta una platea fortemente eterogenea tramite un’idea multiforme di intrattenimento. Non si è sbagliato chi negli anni ha associato la produzione di Gallone col cinema di Cecil B. DeMille.

Facendo le debite proporzioni tra i due contesti produttivi in cui i due autori operarono, si può infatti rilevare anche in Michele Strogoff il desiderio di allestire un grande spettacolo, dove oltretutto (e incredibilmente) resta quasi totalmente fuori dalla porta la deriva del kitsch o del tipico e poveristico “vorrei-ma-non-posso” – solo la traversata degli Urali e la lotta con l’orso palesano evidenti goffaggini. Dopo una lunga e laboriosa introduzione al racconto (venti minuti fortemente statici e totalmente in interni), Michele Strogoff si mette in viaggio, in senso letterale e figurato, verso una sempre maggiore spaziosità filmica, che allinea sì anche soste e sospensioni, ma nell’ordine di una strategica alternanza espressiva che esalti per contrasto le ampie aperture degli esterni. Così, Michele Strogoff dà conto di un cinema che in terra europea vuole muovere a sua volta grandi masse di comparse, ricostruire contesti storico-geografici con dovizia di particolari (magari non totalmente filologici, ma conta che siano credibili), dare vita a un racconto d’avventure e peripezie ignote a qualsiasi idea di pretestuosità.

Più volte Gallone compone l’inquadratura con gusto prettamente pittorico, lasciando l’impressione di aver ben assimilato certi temi della tecnica macchiaiola e mutuandoli in particolare da Giovanni Fattori – in almeno due casi sembra di poter ravvisare anche due dirette citazioni visive, tratte dall’Assalto alla Madonna della Scoperta (1864) e In vedetta (1872). Il gusto macchiaiolo sembra innervare il discorso filmico di Gallone ancor più diffusamente nello sfruttamento espressivo della linea d’orizzonte, che come in Fattori spesso divide anche in Michele Strogoff lo spazio di una “steppa” ritrovata in Jugoslavia secondo una netta linea tra terra e cielo – e se volessimo forzare ancor più tale lettura, forse proprio in quella mescolanza di sentimento privato e quieto e quotidiano nazionalismo (i macchiaioli narrano anche, tra le altre cose, gli anni dell’Unità d’Italia) Gallone trova accenti congeniali al suo racconto russo di onore, patria e difesa dallo straniero. Per il buon peso trova posto anche un divertente gioco di maschere e d’identità che rinnova il tema del doppio, innestato nella falsa identità di Strogoff, nel rapporto fra Strogoff e il rivale Ogareff, e che addirittura si triplica riguardo alle figure femminili. In una struttura per sua natura episodica – Michele Strogoff è a conti fatti un road movie ante litteram, quel che comunque difetta al film di Gallone è una maggiore compattezza e continuità narrativa. Come spesso accade per opere cinematografiche che antepongono l’intrattenimento popolare alla scansione “cartesiana” del racconto, dobbiamo abbassare la guardia della nostra incredulità di fronte a ritrovamenti miracolosi tra i personaggi in mezzo alla folla, e a rapidi snodi nell’intreccio che vengono proposti allo spettatore come puro dato di fatto da accettare senza alcun senso critico.

Eppure tutto si tiene, anche grazie alla scaltra disposizione di Gallone verso qualsiasi genere popolare che possa tornare utile allo scopo. Così, se da un lato la tortura della cecità inflitta a Strogoff è messa in scena con un tenue gusto per il crudele che può sembrare antesignano dei futuri sviluppi dello spaghetti western, dall’altro quella stessa sequenza si apre generosamente e bizzarramente a un’ampia parentesi di danza femminile di gruppo dal gusto tartaro-orientaleggiante, dove il color locale (invero dominante nel film da inizio a fine) struscia in piena evidenza col luogo comune. Va comunque detto che non tira aria di operetta o di cartapesta. Gallone squaderna grande maestria davanti alle ampie vedute paesaggistiche, sfrutta spesso la profondità di campo, muove quantità sempre più numerose di comparse e dà vita a sequenze realmente appassionanti, di battaglia o di avventura. Basti pensare, una fra tutte, a quell’entusiasmante inseguimento fra carrozze in mezzo alla steppa che si dipana lungamente in continuità, aprendo uno squarcio di western russo ambientato nella seconda metà dell’Ottocento. Fatta la tara ad alcune pesantezze nella scansione dei dialoghi, lo spettacolo si riconferma del tutto funzionante anche a distanza di sessant’anni. Uno spettacolo fatto di sentimenti semplici ed enormi semplificazioni concettuali, ma che stuzzica il gusto immortale della meraviglia infantile. Se inquadrato come film per ragazzi, magari il sentimento edificante che lo percorre è il più corrivo e conservatore possibile, privo di chiaroscuri e di problematicità. Patria e famiglia sopra ogni cosa. Magari, per vederlo con la necessaria disposizione critica, forse è meglio approcciare paradossalmente Michele Strogoff da adulti, quando l’individualità è già fatta e formata, in modo da poterlo consumare come ottimo intrattenimento e nient’altro. Almeno, se un domani ci trasformiamo in persone banali, non potremo darne la colpa al film.

Extra
Assenti.
Note
1. Riguardo alla corretta traslitterazione dei nomi dei personaggi russi, si è preferito aderire alle approssimazioni del testo originario. In tale forma il film e il cast dei personaggi sono stati tramandati negli anni, e sarebbe un ridicolo vezzo da ipercorrettismo intervenire sul medesimo testo del film. Anzi, paradossalmente si tratterebbe di un arbitrio inaccettabile in termini filologici, che andrebbe a impattare addirittura sul titolo stesso dell’opera di Gallone e del romanzo di Verne.
Info
La scheda di Michele Strogoff sul sito di CG Entertainment.
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