Alla 39ª eclisse

Alla 39ª eclisse

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Non è passato e non passerà mai alla storia del cinema Alla 39ª eclisse, seconda regia per l’allora trentottenne Mike Newell. Eppure nelle pieghe di questo horror dai contorni egizi si può ritrovare la scintilla di un approccio al genere oramai andato perduto.

Il sarcofago di Kara

La figlia dell’archeologo inglese Matthew Corbeck nasce morta mentre l’uomo è impegnato in uno scavo nella Valle dei Re in Egitto. Ma proprio quando Corbeck apre il sarcofago di Kara la piccola prende miracolosamente a respirare. Ma non è tutto oro ciò che luccica… [sinossi]

No, non si cercherà in nessun modo di ribaltare la lettura critica che all’epoca venne fatta di Alla 39ª eclisse, primo lungometraggio per il cinema diretto da Mike Newell dopo l’esordio con il film televisivo L’uomo dalla maschera di ferro. Non è un caso se nel corso dei decenni la trasposizione – molto libera – del romanzo di Bram Stoker Il gioiello delle sette stelle non è stata oggetto di rivalutazione. Se qualcuno considera Alla 39ª eclisse un cult questo è un pensiero che rimane molto ben celato, e in profondità. Anzi, viene da pensare che siano davvero in pochi oggi a ricordare la storia dell’archeologo inglese Matthew Corbeck, alle prese con lo spirito di una regina egizia intenzionata a tornare in vita a ogni costo. Una piccola anomalia se si pensa che nel 1980 il film ebbe modo di intercettare un pubblico piuttosto nutrito, e se si dà una scorsa al cast scelto per la bisogna: Charlton Heston – che torna in Egitto dopo aver interpretato Mosè ne I dieci comandamenti di Cecil B. DeMille –, Susannah York, e poi eccellenti comprimari come Ian McDiarmid (per gli smemorati: Palpatine ne Il ritorno dello jedi e nella seconda trilogia lucasiana, ma anche il dottor Lancaster ne Il mistero di Sleepy Hollow di Tim Burton e sir George Goldie in Civiltà perduta di James Gray) e Miriam Margolyes. Va detto che anche lo stesso Mike Newell interrogato sui ricordi che avesse serbato di quell’esperienza sul set ha sempre utilizzato parole aspre, riabilitando quasi esclusivamente il suo rapporto professionale con Heston. Alla luce di tutto ciò perché vale la pena di riesumare Alla 39ª eclisse, portandolo a galla dall’abisso della memoria cinefila?

Da un punto di vista strettamente produttivo Newell si ritrova tra le mani un oggetto abbastanza usuale per quegli anni. Nel rimescolio di accenni di psicanalisi – qui a dir la verità piuttosto vaghi, e anche un po’ raffazzonati – e soprannaturale il film non è poi così distante da opere coeve quali L’esorcista II – L’eretico di John Boorman, A Venezia… Un dicembre rosso shocking di Nicolas Roeg, Changeling di Peter Medak e, perché no, perfino Shining di Stanley Kubrick. Al centro del discorso c’è una scissione, quella tra ossessione e dovere. L’ossessione vede Corbeck completamente concentrato sulla scoperta archeologica fatta in Egitto, con la tomba della regina Kara riportata alla luce. Il dovere sarebbe quello verso gli affetti più intimi, la moglie e la figlia. La prima ha abbandonato l’uomo quando quest’ultimo ha preferito continuare a occuparsi solo degli scavi, nonostante il terribile parto e la figlioletta prima creduta morta e poi miracolosamente tornata in vita. La seconda non ha mai conosciuto il padre, e torna da lui oramai diciottenne. Per quanto Newell, partendo dallo script non troppo ispirato portato a termine a sei mani da Chris Bryant, Allan Scott – entrambi al lavoro anche sulla sceneggiatura del già citato capolavoro di Roeg –, e Clive Exton, si faccia prendere la mano dagli aspetti più esoterici della trama, Alla 39ª eclisse funziona soprattutto quando la minaccia non sembra provenire da un mondo ultraterreno come quello cui appartiene lo spirito della regina, ma piuttosto dall’insana attrazione di un’adolescente per il proprio genitore. Lì il film potrebbe svoltare, e se non lo fa è per l’idea troppo vecchio stampo di cosa deve essere e a cosa deve aspirare un film di genere. Un’aura old style che da un lato pare anche fascinosa – così come l’ambientazione egizia, più inquietante di quella londinese – ma dall’altro affossa le potenzialità del plot.

La verità forse è che per rendere con forza l’immaginario completamente letterario di Bram Stoker sul grande schermo si deve optare per una evidente finzione dello spazio e del tempo. Un’operazione che riuscì in pieno al sommo Francis Ford Coppola di Dracula, e che sfugge dalle mani di Newell, anche per un’ambientazione contemporanea che sembra forzata e posticcia. Resta però la scelta di smentire la riscrittura del romanzo, pubblicata nel 1912, per tornare invece all’apocalittica negatività della prima edizione del 1904. La regina egizia rediviva vince su tutta la linea, si impossessa della giovane e solare Margaret, ammazza tutti compreso lo scellerato archeologo – che ha intuito dove sta andando a finire la storia, ma non si ferma un po’ per amore verso la figlia ma molto per il desiderio di vedere dove porta il soprannaturale – e sfida la macchina da presa fissandola con sguardo ghignante e crudele. Lì, nel finale, si avverte lo scarto che rende Alla 39ª eclisse un lavoro incompiuto e prevedibile ma non privo di senso, in grado di rendere giustizia a un’opera letteraria che venne smentita per non offendere i gusti del pubblico. Ma forse sul finire degli anni Settanta, con due guerre mondiali, una fredda e vari conflitti in corso in giro per il mondo i gusti del pubblico si erano completamente ribaltati.

Info
Il trailer originale di Alla 39ª eclisse.
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