Maudit!

Possono rimarginarsi le ferite provocate dal giogo coloniale? Può la colpa trasformarsi in consapevolezza? Sono gli interrogativi attorno ai quali ruota Maudit!, terzo affascinante lungometraggio del cineasta francese Emmanuel Parraud, ambientato sull’isola La Réunion. Al Torino Film Festival nella sezione Onde.

Istinti colonizzati

Alix e Marcellin, amici di lunga data, vivono sull’isola La Réunion, territorio francese nel bel mezzo dell’Oceano Indiano. Un giorno si recano a un concerto, dopo il quale inizierà a montare una rabbia repressa di Alix verso l’amico. Una mattina Marcellin non si trova più, sembra svanito nel nulla. Ma è possibile scomparire senza lasciare traccia? [sinossi]

Non è casuale, per quanto sia da attribuire al caso (ma l’apparente paradosso tale in realtà non è), che Maudit! sia diventato un film nel 2019, lo stesso anno che ha visto nel concorso di Cannes la partecipazione applaudita e premiata di Atlantique di Mati Diop – che in Italia è arrivato direttamente su Netflix, saltando una volta di più l’appuntamento con la sala: urgerà una riflessione seria, prima o poi, su questa prassi. Per quanto non in molti sembrino essersene resi conto il cinema francese sta iniziando, con una certa lentezza e spesso muovendosi fuori dai contorni istituzionali e produttivamente più solidi, a fare i conti con l’esperienza coloniale di una nazione che da un lato rivendica con orgoglio il motto rivoluzionario “liberté, egalité, fraternité”, e dall’altro si ostina a mantenere i cosiddetti Territori d’oltremare. Anche nel pieno della fase della decolonizzazione, che vide la Francia in prima linea contro i vari eserciti di liberazione nazionale – l’esempio algerino è il più evidente e noto – a Parigi si optò per non privarsi di molti punti strategici, soprattutto per quel che concerneva il traffico commerciale marittimo.
L’isola La Réunion (in Italia nota come Riunione), che appartiene all’arcipelago delle Mascarene e si trova vicino a Mauritius e ad alcune centinaia di chilometri da Madagascar, rientra proprio in questa logica geopolitica. Una logica che è anche quella dello sfruttamento della rigogliosa flora locale all’interno della produzione industriale cinematografica, come testimoniano solo per citare alcuni successi commerciali degli ultimi anni i vari Larguées di Éloïse Lang, Papa ou maman 2 di Martin Bourboulon, Belle comme la femme d’un autre di Catherine Castel. Sotto questo punto di vista è interessante notare come La Réunion funga anche da principale location per film che cercano di veicolare altre forme dell’immaginario, anche per quel che concerne la rappresentazione del potere, e della sua norma. Film quali Les Garçons sauvages di Bertrand Mandico o, per l’appunto, Maudit!

In realtà chi avesse dimestichezza con le opere di Emmanuel Parraud non si stupirà di certo dell’ambientazione del suo terzo lungometraggio, visto e considerato che il cineasta transalpino (il cui esordio dietro la macchina da presa risale al 1987, quando girò in 35mm il cortometraggio La Steppe in Savoia, sulle Prealpi dei Bauges) ha praticamente adibito da un decennio l’isola a propria patria dell’immaginario. Come si scriveva in apertura di recensione nel raffronto con Atlantique Parraud affronta la vera questione di fondo del suo film, vale a dire l’incapacità da parte della popolazione creola di liberarsi da un giogo coloniale ancora più subdolo e opprimente nella placidità illusoria della democrazia, sposando il concetto di delitto e castigo alle pratiche del racconto di fantasmi, per quanto sui generis. Se però Diop nel suo film mette in scena il crimine occidentale in tutta la sua evidenza (i barconi improvvisati per raggiungere l’Europa, in una terra di fatto asservita all’economia dell’Euro senza però farne ufficialmente parte) Parraud compie una scelta più estrema, e coraggiosa.
Perché Alix, il protagonista di Maudit!, è sì creolo e parla con il suo migliore amico Marcellin nella lingua nativa e non in francese, ma è un citoyen. E da questo ruolo sociale non sa smarcarsi. Solo la possessione può renderlo di nuovo consapevole. Solo un raptus, un atto di rabbia incontrollata e incontrollabile. Solo gli spettri che si aggirano per l’isola, inevitabilmente marxiani perché prodotti dalla società del Capitale, possono accompagnarlo in un percorso alla ricerca della propria radice.

Parraud firma un film sospeso, misterico, lavorando sull’oggettività di ciò che appare in scena. Tutto è visibile, a partire dai succitati ectoplasmi. Non è l’invisibile a dover perturbare, ma semmai la realtà. L’ira, la rabbia improvvisa, la gelosia che può spingere un amico contro l’altro. I fantasmi di coloro che in nome del progresso vennero schiavizzati, sfruttati, massacrati, sono come le Erinni, ma non si muovono nei contorni della tragedia classica. C’è di nuovo l’atto dell’uomo contro l’uomo, in Maudit!, e come avvenuto con il colonialismo, Alix dimentica immediatamente la propria colpa. La rimuove aderendo dunque al sistema. Il film si tramuta in una molteplice ricerca. Ricerca dell’amico, perduto nel pieno di una notte alcolica, al termine della quale Alix si è risvegliato privo di memoria. Ricerca delle radici, immerse troppo a fondo nella foresta per essere facilmente visibili. Ricerca del senso di sé, del vivere, della quotidianità.
Se la metafora sul colonialismo è l’epicentro del discorso, Parraud non utilizza in modo meccanico il peregrinare di Alix (i suoi incontri con la polizia che sta indagando sulla sparizione di Marcellin e via discorrendo) ma lo accompagna nel doloroso percorso di conoscenza della sua e delle altrui – e secolari – colpe. Intime e storiche. Maudit!, visto in Italia nella sezione Onde al Torino Film Festival, è un film affascinante e prezioso (e può perfino riportare alla mente Fog di John Carpenter), anche e soprattutto per una produzione europea che, con le dovute e inevitabili eccezioni, continua a non affrontare la questione coloniale, come se questa fosse oramai superata e non attuale. Abitata da fantasmi.

Info
Maudit! sul sito del Torino Film Festival.

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