Supernova

Supernova

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Dramma intimo con annesso (breve) percorso on the road, demenza senile precoce e tanta tenerezza, Supernova di Harry Macqueen è troppo innamorato dei suoi protagonisti per accorgersi che non gli ha fornito delle buone battute da pronunciare. Alla Festa del Cinema di Roma 2020.

Parla qualcosa

Sam e Tusker, compagni da vent’anni, viaggiano attraverso l’Inghilterra sul loro vecchio camper, per far visita agli amici, ai familiari e ai luoghi del loro passato. Da quando, due anni prima, a Tusker è stata diagnosticata una demenza precoce, le loro vite sono cambiate e il tempo insieme è diventato per loro il bene più prezioso. [sinossi]

Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti schiaffeggiando la petulante giornalista incarnata da Mariella Valentini in una memorabile scena di Palombella Rossa. Ma con un tema ad alto tasso di commozione e due interpreti d’alto lignaggio di fronte alla macchina da presa, il giovane regista e sceneggiatore britannico Harry Macqueen pare non aver prestato ascolto a tale perentorio monito. Il suo Supernova, presentato alla 15esima Festa del Cinema di Roma, è infatti un melodramma amoroso sussurrato e intimo, a lungo andare troppo preso dalla bravura dei suoi interpreti per accorgersi che ha dimenticato di fornirgli qualcosa di pregnante da dire.

Sessantenni o giù di lì, Sam (Colin Firth) e Tusker (Stanley Tucci) sono in viaggio sul loro camper verso il luogo che ha visto nascere il loro oramai ventennale amore. Pianista classico il primo e romanziere il secondo, i due sembrano aver messo da parte le rispettive carriere e la ragione è presto detta: Tusker soffre di demenza senile precoce, pertanto ogni attimo della loro vita di coppia ha ora un valore inestimabile, e vogliono trascorrerlo insieme. Sulle placide rive del lago galeotto che vide scoccare la prima scintilla del loro amore, i due rievocano istanti felici di un passato ormai lontano, affidando la paura per il futuro al potere salvifico del paesaggio. E alla medesima funzione adempie poi quel cielo stellato, che Tusker conosce a menadito e che splendido e indifferente alle umane miserie risplende di astri magari da tempo defunti. Allo spazio ben più angusto del camper della coppia sono invece affidati momenti di rammarico e intime confessioni. Non c’è molto altro, almeno da un punto di vista narrativo in Supernova, che abbandona troppo presto il tracciato on the road per lasciar deflagrare timori e ansie della coppia ora nell’abitacolo del loro veicolo, e poi in una troppo precoce cena familiare organizzata quale addio di Tusker agli affetti più cari.

Di certo altre tappe di viaggio avrebbero giovato al film, permettendo alla memoria di Tusker di riavvolgersi su se stessa un’ultima volta, e a Supernova di declinare, magari attraverso altri luoghi e altri incontri, da un lato il tema della demenza irreversibile e progressiva, dall’altro quello strettamente collegato di un amore senza più strada da percorrere davanti a sé. Invece Harry Macqueen decide a poco più di metà film di rinchiudere nuovamente in interni i suoi protagonisti, concentrando la regia sui loro primi piani e lasciandoli in balia del loro talento, ma senza più molto da dire. Teste parlanti aggrappate a piccoli gesti (toccanti i baci sulla fronte di Colin Firth a Stanley Tucci) le due star si destreggiano come meglio possono, ma restano l’unica cosa interessante (una volta abbandonato il paesaggio) da guardare, mentre la crescente ripetitività dei loro dialoghi finisce a lungo andare per spingere lo spettatore a pensare ad altro, o in alternativa ad ammirare la tessitura dei maglioni di lana indossati con grande aplomb da Colin Firth. Macqueen evita certo con perizia ogni svolazzamento emotivamente ricattatorio, ma se si finisce con il prestare attenzione alla maglia fitta dei golf di lana, indubbiamente qualcosa non funziona a dovere in Supernova.

E la ragione è da rintracciarsi nella scarsa fiducia nel road movie e nelle sue possibilità di declinare una storia di dissoluzione della memoria, ma anche nel ritmo complessivo del film, con quella cena parentale posizionata intorno alla metà della durata. Indubbiamente poi sono le cose che vengono dette a far piombare lo sforzo interpretativo di Tucci e Firth in un vaniloquio senza picchi né discese. Grossomodo ogni dialogo inizia con la constatazione dello stato di salute di Tusker/Tucci, che sta peggio di ieri e meglio di domani. Il giorno dopo, con le variazioni del caso, si replica il medesimo canovaccio. A un certo punto, inevitabilmente si parla anche della “morte dignitosa”, ma nemmeno questo rappresenta in fondo il vero climax drammatico di Supernova. L’autore non vuole d’altronde climax né lacrime e così finisce per confondere l’equilibrio emotivo del film con una sostanziale piattezza. Non resta che ammirare i due attori, ma allo stesso tempo si prova l’insopprimibile desiderio di ascoltarli pronunciare altro, magari un testo di Pinter o un qualsiasi brano di Thomas Bernhard. Tucci e Firth recitano come se lo stessero facendo, ma sfortunatamente non è cosi.

Info:
La scheda di Supernova sul sito della Festa del Cinema di Roma.

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