Le due inglesi
di François Truffaut
Denso e stratificato “secondo capitolo” nel rapporto tra il cinema di François Truffaut e la letteratura di Henri-Pierre Roché, Le due inglesi si delinea per un’ulteriore riflessione, dopo Jules e Jim, sul conflitto tra ideale e realtà, adottando i toni di una dolorosa e crepuscolare presa di coscienza dell’intima fragilità umana di fronte alla sfida dell’etica. Opera baciata dalla Grazia, come tutto il cinema di Truffaut (o se non tutto, poco ci manca).
Non è che un frammento
Sul finire dell’Ottocento, il giovane parigino Claude è invitato a trascorrere alcuni mesi in Galles, ospite presso la signora Brown, vecchia amica di sua madre. Dopo aver già conosciuto una delle figlie della signora, Ann, a Parigi durante un soggiorno della ragazza, Claude fa la conoscenza anche di sua sorella, Muriel. Fra i tre si apre una lunga parentesi di giocosità e conoscenza reciproca, mentre Ann spinge perché tra Claude e Muriel nasca l’amore. Ann ci ha visto giusto, e i due ragazzi progettano di sposarsi. Le due famiglie però non sono entusiaste, e chiedono ai due giovani di passare un anno lontani uno dall’altra. Ritornato a Parigi, Claude deve in effetti prendere atto dello spegnersi dei suoi sentimenti, provocando in Muriel reazioni di grande dolore… [sinossi]
Del gioco di specchi tra Jules e Jim (1962) e Le due inglesi (1971) si è già detto tutto il possibile. Entrambi ispirati a romanzi autobiografici di Henri-Pierre Roché, entrambi diretti da François Truffaut, entrambi costruiti su un rapporto d’amore a tre in cui uno fa da negativo all’altro (Jules e Jim vede al centro una donna che ama una coppia d’amici per tutta la vita; Le due inglesi rovescia le proporzioni mettendo un giovane protagonista francese innamorato per anni di una coppia di sorelle britanniche): la congenialità tra la scrittura di Roché e il cinema di Truffaut è tale che l’autobiografismo delle due originarie opere letterarie sembra riflettersi in una sorta di confessione traslata in cinema da parte di Truffaut. Non sarà un caso, del resto, se specie per Le due inglesi Truffaut sceglie di affidare il ruolo principale al suo alter ego Jean-Pierre Léaud, raramente utilizzato dal regista per ruoli che non appartengano al ciclo di Antoine Doinel.
Confessioni non importa se totalmente reali o romanzate: la realtà non corrisponde mai all’opera di artificio, nemmeno quando si tratta di cosiddetti testi autobiografici. In mezzo ci stanno lo stile, il canale, il codice prescelto. Nemmeno la cronaca più fredda in forma di diario potrebbe mai essere la realtà. Quel che importa è la confessione di intime aspirazioni e convinzioni e di un comune scacco e fallimento. In Jules e Jim il perfezionismo ossessivamente ricercato nell’ordine dell’onestà e del rispetto reciproco si riverbera su uno sfondo fortemente assolutizzante, che solo a tratti viene a scontrarsi pure con la Storia. In Le due inglesi la Storia è ancor più intimamente rifiutata, ma l’etica si colora di conflitti che hanno più a che fare con il contingente, con il particolare, con moralità foriere di travaglio. Lo dimostra anche l’accendersi dei toni: Jules e Jim è una “lieta tragedia”, in cui la tragedia discende da un Amore per la Vita così totale da disperdere nel frammento fugace qualsiasi possibilità di felicità duratura. Dal canto suo, Le due inglesi scopre una più violenta fisicità (l’amore fisico è l’unico possibile, dice Claude), in cui l’amore, prima o dopo, finisce in disagio e malattia. Fin dal principio Muriel ha problemi con gli occhi, Ann morirà di tubercolosi, e -ancora- dopo aver dato sfogo con conati di vomito al riaccendersi della passione per Claude, Muriel macchierà di rosso le lenzuola, un rosso intenso che segna un ideale inizio di vita uccidendone di fatto un’altra. Altrettanto significativamente, il film si apre con un episodio discretamente slegato dal resto del racconto, che vede Claude ferirsi a una gamba durante un esercizio ginnico. La corda si spezza. La spinta di Claude a toccare il limite con le sue mani, a lanciare la sua sfida all’esistenza fino alle estreme conseguenze, rivela anche l’intrinseca fragilità dell’uomo – d’altra parte, più avanti sarà Ann a riferire parole significative di Muriel, convinta quest’ultima «qu’il faut prendre des risques pour connaitre ses limites». Su questa linea è evidente anche l’incupirsi delle luci, caricate di tonalità fosche e crepuscolari, specie negli interni, grazie al mirabile lavoro di Néstor Almendros.
Come in Jules e Jim, Le due inglesi mette al centro un conflitto tra Realtà e Ideale in cui finisce imprigionata qualsiasi possibile felicità. Prendendo di nuovo le mosse da una sorta di edenica pre-adolescenza esistenziale, fatta di giochi condivisi e priva di qualsiasi spinta all’individualità (tutta la prima parte del film che narra la conoscenza fra i protagonisti in Galles) tanto da rendere pressoché sinonimici i sentimenti suscitati da fidanzati e fratelli/sorelle, Truffaut narra un ulteriore scacco nell’incontro tra l’aspirazione a nuove moralità e indirizzanti steccati culturali. Stavolta il conflitto scende più a terra coinvolgendo anche differenti contesti culturali/nazionali a confronto, con qualche cenno verso buffe coloriture geograficamente e spazialmente lontane (il contributo di Mr Flint, chiamato a risolvere con una sorta di arbitrato il conflitto sull’ipotizzato matrimonio fra Claude e Muriel): Francia vs. Inghilterra, libertà vs. puritanesimo, amore fisico vs. amore spirituale e idealizzato. Vi è inevitabilmente qualcosa in più di declamato e ostentato rispetto alla chiarezza apollinea di Jules e Jim (in tal senso gioca forse un ruolo decisivo anche l’utilizzo di un enfatico commento musicale, fornito dal fidatissimo truffautiano Georges Delerue), ma d’altra parte Le due inglesi non è più una lieta tragedia. È un cupo scacco, in cui l’esplosione del rosso sangue in finale sancisce la necessaria uccisione dell’Ideale in nome di una terrena felicità. Solo mettendo a morte l’idealizzazione di un amore giovanile (ancor più intensamente invincibile e spinto nell’astrazione poiché orgogliosamente mai consumato), Claude e Muriel potranno avere una vera vita adulta. La sacralizzazione dell’amore, compiuta da parte di Muriel per lunghi anni, dev’essere uccisa e sacrificata, in nome di una nuova libertà sommessamente prevedibile che è l’anticamera della fine della giovinezza, e quindi della vita. Quell’esplosione di rosso è anche l’uccisione della giovinezza. Tragedia del Tempo, Le due inglesi si congeda con un’immagine riflessa di Claude che si scopre improvvisamente vecchio. Se Muriel è l’amore idealizzato, Ann è una prima scoperta della realtà. Figura più umile rispetto all’appassionata e irreprensibile Muriel, sta infatti nell’amore tra Claude e Ann la chiave di volta dell’intero film. Basti pensare al cambio di passo ben ravvisabile nella sezione centrale del film, tutta dedicata alla scoperta di una quieta passione lontana dalle follie viscerali scatenate in/da Muriel. Claude e Ann scoprono un sentimento filtrato dalla coscienza di sé, forse l’unico punto d’equilibrio possibile per l’inesausta ricerca di Assoluto.
Come d’uso nel suo cinema, Truffaut rilegge varie classicità cinematografiche utilizzando esse stesse come provocazione e piegandole al racconto di un fluire esistenziale inevitabilmente frammentato, mutevole e contraddittorio. In una delle numerose lettere (scritte o non scritte, rese spesso da Truffaut in forma di soliloquio) scambiate fra i tre protagonisti, è Muriel ad accennare più compiutamente all’idea del frammento come unica possibile dimensione esistenziale: «La vie est faite de morceaux qui ne se joignent pas». I frammenti non s’incontrano mai, non s’incastrano mai in un quadro perfetto che possa mandare soddisfatti al contempo etica e desiderio, rispetto di sé/degli altri e volontà. In tal senso è forse anche da reinterpretare l’uso classicistico di antichi strumenti grammaticali (assolvenze/dissolvenze, chiusure a iride, sovrimpressioni): Truffaut li rievoca e riutilizza rovesciandone intimamente il senso, sconfessando cioè la loro convenzionale garanzia di continuità del racconto e mettendone in luce la loro vera ed essenziale realtà, ossia la loro natura di interpunzione che separa e allontana, che divarica un blocco narrativo dall’altro delineandoli come pezzi di un puzzle impossibile da ricomporre. Tale grammatica frammentata sembra ricoprire il ruolo di strumento per parlare di una più intima e invincibile frammentazione esistenziale, che sbaglia sempre i tempi dell’amore e condanna i propri personaggi a un eterno invincibile confronto con l’onestà dei propri sentimenti. Rispetto a Jules e Jim la frammentazione narrativa è meno evidente ma altrettanto perseguita, e lascia il posto a sequenze più lunghe e raccolte perlopiù negli incontri fra Claude e Ann, a sottolineare la precaria solidità garantita dall’emersione di una nuova coscienza a due, una tregua sempre sull’orlo dell’instabilità. In tal senso Le due inglesi stesso si delinea per un Truffaut che rilegge le proprie provocazioni stilistiche di dieci anni prima alla luce di un’emergente autocoscienza – solo due anni dopo vedrà la luce, non a caso, anche Effetto notte (1973). Opera falsamente composta e controllata, in realtà Le due inglesi ribolle di provocazioni e di sfide estetiche accese e spericolate. Basti pensare alla lunga rievocazione della scoperta adolescenziale del piacere da parte di Muriel, narrata con i toni cupi e serrati di un noir. Se di crimine si tratta, siamo di fronte a un primo passo verso la disintegrazione, l’imperfezione, il mescolarsi con la realtà e la scoperta dell’etica come inevitabile rovello esistenziale. Del resto, basterebbero quelle carrellate intorno alle opere di Auguste Rodin per decifrare il tormentoso sentimento di fragilità umana evocato da Le due inglesi. In quelle masse scultoree che rifiutano recisamente una classicistica perfezione formale, s’intravede tutto il conflitto dell’uomo a delinearsi in immagine perfetta, una nuova consapevolezza di limitata fragilità, che rende impossibile anche il quieto farsi largo della figura dell’uomo tra le forme di una scultura. Delle opere di Rodin troneggia in Le due inglesi il «Balzac». Una dichiarazione d’intenti, in fin dei conti, da parte di Truffaut. Innamorato della letteratura e della sua vera e carnale sostanza di racconto, che per l’appunto ha trovato una delle sue massime espressioni nell’Ottocento francese, in realtà Truffaut è esattamente un Balzac riletto alla luce di Rodin, consapevole rilettore di classicità alle prese con fragilità tutte contemporanee.
Info
Il trailer originale de Le due inglesi.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: Les deux anglaises et le continent
- Paese/Anno: Francia | 1971
- Regia: François Truffaut
- Sceneggiatura: François Truffaut, Jean Gruault
- Fotografia: Néstor Almendros
- Montaggio: Yann Dedet
- Interpreti: David Markham, Eva Truffaut, François Truffaut, Georges Delerue, Guillaume Schiffman, Irène Tunc, Jean-Pierre Léaud, Kika Markham, Laura Truffaut, Marie Mansart, Philippe Léotard, Stacey Tendeter, Sylvia Marriott
- Colonna sonora: Georges Delerue
- Produzione: Cinétel, Les Films du Carrosse
- Durata: 130'