Il signore del male

Il signore del male

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Secondo dei tre titoli che nell’immaginario collettivo compongono la cosiddetta “Trilogia dell’Apocalisse” (con La cosa e Il seme della follia, non a caso i tre film più lovecraftiani di John Carpenter), Il signore del male è il mirabile punto d’incontro tra le esigenze strutturali dell’horror e la speculazione filosofica cara al regista e incentrata sul rapporto tra umano e assoluto, sulla superficialità del concetto di “fede”, e sulla meccanica quantistica.

Lo specchio della vita – o della morte?

Un gruppo di ricerca, capitanato dal professore universitario Howard Birack, trova un misterioso cilindro in una chiesa deserta. Se aperto, potrebbe significare la fine del mondo. [sinossi]

Quando Grosso guaio a Chinatown, uscito in sala nel luglio del 1986, dimostrò di appassionare assai poco gli spettatori rispetto alle previsioni di incasso (finì la corsa nordamericana a 11 milioni di dollari, pochissimo rispetto alla stima iniziale che era di oltre 25 milioni), di fronte a John Carpenter iniziarono a chiudersi molte porte. L’unica possibilità concessagli era di tornare a ragionare su budget contenuti, e così dai 25 milioni ottenuti per la realizzazione delle avventure del camionista Jack Burton si passò ai 3 milioni che su per giù servirono per la produzione de Il signore del male. Il ridimensionamento economico, che avrebbe probabilmente stroncato ben più di una velleità a Hollywood e dintorni, venne invece affrontato da Carpenter con un rilancio esponenziale delle ambizioni. Consapevole di non aver più nulla da perdere, e soprattutto di non dover garantire un film in grado di dominare le classifiche del botteghino, il regista di Carthage (Stato di New York) si lanciò in imprese ardite e memorabili. Per quanto questa fase della sua carriera sia senza dubbio meno nota, mancando di titoli divenuti oramai dei classici quali Halloween, La cosa, e 1997: Fuga da New York, e in qualche modo funga da preludio a quel distacco progressivo tra Carpenter e il mondo del cinema – vale sempre la pena ricordare come il suo ultimo film prodotto per il grande schermo sia The Ward, uscito nel 2010, e che in tutto il Ventunesimo Secolo ci sia spazio per un solo altro film, quel Fantasmi da Marte che venne presentato fuori competizione a Venezia nel 2001 – è proprio nella seconda metà degli anni Ottanta, e poi nei primi anni del decennio successivo, che i film acquisiscono, oltre al fascino misterico che ha sempre contraddistinto la poetica carpenteriana, anche un côté teorico, filosofico e strettamente politico. È così per Essi vivono, sarcastica rilettura in chiave sci-fi della società capitalistica e della sua libertà solo apparente; è così per Il seme della follia, che trae ispirazione da Lovecraft; è così perfino per Villaggio dei dannati, troppo spesso trattato con superficialità anche dagli appassionati cultori del regista e accusato di essere “solo” un film su commissione. Non viene meno a questo diktat, ça va sans dire, neanche Il signore del male.

Prodotto da Larry J. Franco, che accompagnerà Carpenter per alcuni anni, Il signore del male ruota attorno a uno dei temi prediletti dal regista, e che lo ricongiungono di nuovo a Lovecraft, vale a dire il rapporto tra la caducità dell’umano e il concetto di assoluto. Un aspetto che è già rintracciabile addirittura in Dark Star, l’esordio alla regia di Carpenter, e che attraversa l’intero svolgersi della carriera: perfino nel mettere mano allo slasher movie, sub-genere in tutto e per tutto terraceo, legato alla materialità tanto del killer quanto delle vittime, Carpenter tende alla rappresentazione del Male con la emme maiuscola, e non alle psicopatologie di un comportamento deviato – su cui invece si interrogheranno i suoi successori, pensando erroneamente di arricchire il plot originale. Ne Il signore del male su questo tema portante si innerva una caustica lettura del concetto stesso di religione, da intendere sia nella sua rappresentazione mitologica (la cristologia, come nel film) sia nell’etimologia che riporta alla raccolta di formule e atti rituali: anche la messa in scena, in quest’ottica, è una religione, e Carpenter la ripudia, tracciando vie del tutto personali. Nel suo scetticismo cosmico, che nuovamente torna ad accomunarlo a Lovecraft, Carpenter non vede nel progresso scientifico una soluzione, ma al massimo solo un tentativo di comprensione dei fenomeni che non può però gestire, né pensare di trattenere nel loro senso più profondo. La chiave di volta per comprendere appieno il suo approccio lo si rintraccia già nella lezione universitaria del professor Howard Birack su cui si apre il film: “Se anche nell’universo c’è un ordine, non è affatto quello che avevamo in mente”. In realtà proprio l’intera lezione permette a Carpenter di mettere in chiaro alcuni passaggi per lui fondamentali, perché il resto del film scivola subito nella concezione della vita come sogno perturbante, ossessivo. Il cinema dunque come visione dell’incubo.

D’altro canto è proprio attraverso la connessione onirica e il momento percettivo della non-veglia che i personaggi del film dialogano – in uno spazio-tempo del tutto falsato – tra loro, avvertendo dei pericoli, mettendo in guardia chi sta vivendo l’hic et nunc dell’orrore. Sfruttando, come sovente accaduto nella sua carriera, i dettami del genere Carpenter si interroga sulla natura umana, sulla vacuità superficiale della fede, sul significato dell’esistenza e sul rapporto tra la micro-particella e l’assoluto dalla quale proviene. Nel rovesciamento dei cardini del pensiero religioso occidentale (il “Prince of Darkness” del titolo originale è in realtà proprio il Dio creatore) non si deve leggere solo la vena blasfema, ma c’è da intendere la disillusione nei confronti di una speculazione filosofica che non sa trovare il significato intrinseco del vivere, e ancor più del patire. Filosoficamente lo sguardo di Carpenter non è giudicante nei confronti dei suoi personaggi – che finiscono irretiti e schiacciati da quel male che dovrebbero “controllare”, da quel fluido verdastro che è materia e anti-materia a un tempo – ma vive in un atavico senso di colpa, quasi che l’immagine (e non è casuale che la scelta di rappresentazione del tramite con il Male sia uno specchio) fosse guardiana e allo stesso tempo creatrice proprio del male che sta controllando, riprendendo, rappresentando. Ritorna ne Il signore del male il tema sempre caro a Carpenter dell’assedio – che è figlio da uno dei più grandi amori cinefili del regista, Un dollaro d’onore di Howard Hawks –, ma stavolta la declinazione è duplice, perché gli studenti rinchiusi nella chiesa sono attaccati sia dall’esterno che dall’interno. Fallita la scienza, fallita la chiesa, non esiste rifugio per l’umano.

Al di là di questo la regia ellittica, sospesa e brutale di Carpenter si muove anche per personali assonanze e comunioni d’amorosi sensi cinematografici: da qui l’omaggio esplicito a una delle sequenze iconiche di Inferno di Dario Argento, per esempio, e perfino un rimando alla follia di Jack Torrance nel kubrickiano Shining. Anche se l’ossequio più tenero e divertito lo si rintraccia nei titoli di testa, dove alla sceneggiatura invece del nome del regista si trova quello di Martin Quatermass, che fa volare la mente fino a Bernard Quatermass, lo scienziato all’inizio degli anni Cinquanta da Nigel Kneale per la BBC. Una citazione resa ancora più evidente dal fatto che l’università dove insegna Birack si chiami proprio “Kneale University”, e dal fatto che Carpenter indaghi molti dei temi cari anche al collega britannico, a partire dal rapporto della scienza con il paranormale fino ai riferimenti alla meccanica quantistica. Dopotutto l’intero assunto del film non è in qualche modo un tentativo di rappresentazione del cosiddetto “gatto di Schrödinger”? E non è il cinema il tentativo di rappresentare ciò che non è rappresentabile? Punto d’incontro sorprendente tra i codici dell’horror e la speculazione filosofica Il signore del male resta a distanza di quasi quarant’anni un’opera sconvolgente, che attrae e terrorizza allo stesso tempo, e spinge ad avvicinarsi allo schermo/specchio come Alice, anche sapendo che dall’altra parte non c’è il Paese delle meraviglie, ma un abisso di eoni dell’orrore, là dove anche la morte lovecraftianamente può morire.

Info
Il trailer de Il signore del male.

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