As Far as I Can Walk

As Far as I Can Walk

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Presentato in concorso al 33 Trieste Film Festival, e trionfatore a Karlovy Vary, As Far as I Can Walk di Stefan Arsenijević racconta una storia di migranti africani, di quelle come tante che vediamo tutti i giorni anche alle nostre latitudini, conferendovi un respiro da poema epico cavalleresco.

Il profugo che fece l’impresa

Strahinja, un calciatore, e sua moglie Ababuo, un’attrice, lasciano il Ghana all’inizio della crisi dei migranti. Raggiungono la Germania ma vengono espulsi e riportati a Belgrado. Strahinja lavora duramente per ottenere asilo. La procedura è lunga e Ababuo, che aspira a una carriera di attrice a Londra, è insoddisfatta. Arriva un nuovo gruppo di migranti siriani, e tra loro c’è Ali, un carismatico attivista politico. Ababuo lascia la Serbia con lui l’indomani, senza dare spiegazioni. Strahinja intraprende la rotta dei Balcani per cercare la moglie. [sinossi]

Strahinja e sua moglie Ababuo sono insieme a letto, in un momento di intimità e passione. Una scena di As Far as I Can Walk (il titolo originale è Strahinja Banovic) del regista serbo Stefan Arsenijević, presentato al 33 Trieste Film Festival, dopo aver ricevuto il Crystal Globe a Karlovy Vary ed essere passato per vari festival internazionali come Montpellier e Pingyao. Sembra una stereotipata scena erotica da estetica patinata, da spot di Dolce & Gabbana. Ma le loro effusioni vengono interrotte. Scopriamo, dalla scena successiva, che i due sono tutt’altro che soli in una stanza, ma si trovano in un’affollata foresteria piena di letti a castello, una tipica struttura di “accoglienza” o, meglio dire, stoccaggio, dei tanti rifugiati che dall’Africa o dall’Asia, tutti i giorni cercano di introdursi in Europa. Con questa scena abbiamo subito la connotazione di una privazione, quella dell’intimità, di un qualcosa che consideriamo come scontata nelle nostre vite. Fulcro di questa scena è anche un momento d’amore, motore drammaturgico del film.

As Far as I Can Walk è ispirato a una storia vera, secondo la classica dicitura di tanti film. E in effetti ciò che racconta è un qualcosa di ampiamente visto e rivisto anche dalle nostre parti. Campi profughi fatti di tendoni, camerate affollate, trafficanti di vite umane capaci di bloccare una donna perché con un bambino a carico lasciandola al suo destino. Discutibile e semplicistica è semmai quella distinzione tra profughi di guerra e migranti economici che in genere si traduce, nella mentalità corrente, nella considerazione dei primi come soggetti per i quali l’aiuto e dovuto, e dei secondi come un sostanziale fastidio. Stefan Arsenijević ribalta questo punto di vista conferendo un’ambiguità morale ai ribelli siriani che fanno i capetti in quel contesto, anche prendendosi la scena mediatica, sfruttando questa loro posizione di privilegio. Ali, il loro leader, assume quindi il ruolo del capo dei banditi turchi del poema epico di riferimento.

Basato su una storia vera, da un lato, ma il film è anche ricalcato su un poema epico serbo medioevale, Strahinja Banović, incentrato sulle vicissitudini cavalleresche di un nobile cui una banda di banditi turchi ha rapito la moglie. Opera letteraria richiamata in alcuni brani letti in voce over. Questa operazione serve al regista per vari motivi. Da un lato in un contesto fortemente nazionalista come quello serbo, un’opera letteraria nazionale viene decostruita mettendo al posto dell’eroe popolare un immigrato di colore, proveniente dal Ghana. Dall’altro lato si crea un connubio tra una storia vera, assolutamente verosimile come quelle tante che leggiamo sui giornali, e una storia antica che viene fatta risuonare nel suo respiro classicista. Una storia eterna, incentrata sui temi della gelosia e della ricerca dell’amata, che potrebbe succedere in ogni tempo e in ogni luogo. Potrebbe essere un’opera recitata da Ababuo, che è un’attrice – ancora in spregio a tutti gli stereotipi sugli immigrati – e che vorrebbe recitare nei grandi teatri di Londra, ma che invece è costretta a recitare una parte nella vita normale, per sopravvivere. E in fondo As Far as I Can Walk è il racconto di un lungo viaggio, un’Odissea per raggiungere una nuova Penelope.

Info
As Far as I Can Walk sul sito del Trieste Film Festival.

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