Skin Deep

Skin Deep

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Parte dal concetto di “scambio dei corpi” Skin Deep, opera prima con cui Alex Schaad firma un lavoro brillante che utilizza un’idea non nuova ma in modo originale, per parlare di identità, relazioni, generi, amore, regalando agli attori un terreno di gioco divertente per mettere in mostra le proprie abilità. In concorso alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia.

Corpo e anima

Leyla e Tristan arrivano su un’isola misteriosa in cui è possibile “scambiare” il proprio corpo con quello di qualcun altro: la loro coppia e le singole identità di Leyla e Tristan saranno messe alla prova da questa esperienza. [sinossi]

Lo scambio dei corpi, ossia l’idea che un soggetto possa entrare nel corpo di qualcun altro e viceversa, è un’idea molto battuta in particolare dal cinema anglofono e da parecchi lustri: basta pensare a un classico della Disney come Tutto accadde un venerdì (1976) in cui la mamma Barbara Harris e la figlia adolescente Jodie Foster per una giornata entrano l’una nel corpo dell’altra arrivando poi a capirsi meglio a vicenda. Variazioni sul tema sono ovviamente la metamorfosi di bambini in adulti, come nel nostrano Da grande (1987) con Renato Pozzetto la cui storia è stata resa più famosa da Big (1988) con Tom Hanks, oppure il cambio di sesso imposto nell’Aldilà al protagonista di Nei panni di una bionda (1991) di Blake Edwards. L’idea ha alla sua base un assunto di fantasia ovvero che, per qualche ragione inesplicabile, una persona per qualche tempo possa diventare un’altra o cambiare improvvisamente età o sesso, e ha dato spesso vita a commedie fatte di equivoci e gag. Il cinema europeo ha usato relativamente questo assunto (ma vale la pena citare un film di Aldo Fabrizi del 1952, Papà diventa mamma, proprio per rimarcare il potenziale comico insito nello spunto iniziale) e, abilmente, l’esordiente nel lungometraggio Alex Schaad – tedesco di origine kazaka – lo sfrutta rendendolo motore di un film più autoriale, che si sviluppa attorno alle domande insite nell’ipotesi dello scambio di identità: Skin Deep, in concorso alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia, resta a ben vedere nel novero della commedia sentimentale, con qualche momento di divertissement ma striata per lo più di riflessioni e conflitti drammatici, focalizzata soprattutto a capire le psicologie dei suoi personaggi che prendono di volta in volta l’uno le sembianze dell’altro. Non tutti reagiscono allo stesso modo a questa strana faccenda e ciò che vale per qualcuno non vale per qualcun altro: chi siamo, dunque e in fondo, tutti noi? Cos’è quella cosa che ci fa dire io?

Skin Deep (titolo internazionale del film, identico tra l’altro a quello di un’altra commedia di Blake Edwards del 1989) parte da un assioma di genere che lo spettatore prende per buono e che non viene granché indagato: esiste un’isola, in un punto imprecisato del Nord Europa, in cui le persone possono soggiornare facendo l’esperienza di scambiarsi i corpi. Spesso gli ospiti sono coppie, magari in crisi, e non raramente lo scambio li porta ad entrare nell’organismo del partner. In uno scenario che ricorda un po’ quello di Midsommar di Ari Aster, arrivano dunque Leyla (Mala Emde) e Tristan (Jonas Dassler, protagonista de Il mostro di St. Pauli di Fatih Akin), giovane coppia apparentemente felice ma carica di incrinature che non tarderanno a evidenziarsi: Leyla è infatti una ragazza molto depressa (anche qui torna il richiamo alla protagonista del film di Aster) che non si ama più, non si accetta più, si sente come sull’orlo dell’annegamento (una figura retorica forse un po’ abusata mostrata fin dall’inizio del film). La ragazza è amica della figlia dello scienziato che ha creato la possibilità dello scambio di corpi, la quale è rimasta imprigionata nel corpo del padre essendo il suo proprio organismo morto all’improvviso nel sonno per un aneurisma: l’amica di Leyla si presenta dunque come un signore di una certa età, ma non ha smarrito la propria identità. Fin da subito ci troviamo in un contesto bizzarro in cui, appunto, lo spettatore viene portato senza troppe spiegazioni, ma che non dà vita a una trama thriller o horror, ma a un film psicologico. Nella prima mezz’ora il regista gioca un po’ con il genere e le sue atmosfere, ma solo in modo allusivo e prima di prendere tutt’altra direzione. Dopo il primo “incrocio” di corpi (Leyla assume le sembianze di una donna da poco conosciuta nell’isola e Tristan quelle del compagno di lei in un insolito mix di coppie), Skin Deep prende pienamente la propria traiettoria, lasciando del tutto da parte qualunque suggestione misterica per concentrarsi sui personaggi e le domande che si pongono. “È possibile per un corpo essere intrinsecamente più felice o infelice di un altro corpo?”…”Il nostro io è una costruzione fragile…sei la persona che sei a causa del corpo che hai”. Questo dialogo tra Leyla, felice dopo tanto tempo per essere divenuta un’altra donna, e la sua amica strappata alla morte fisica dal corpo del padre, è un po’ il centro delle domande che lo spettatore inelluttabilmente si farà guardando il film e andando ad analizzare un’idea che presumibilmente tutti abbiamo avuto prima o poi. Gli altri corpi percepiscono come il nostro? Sentono al tatto come il nostro? Hanno energia quanto il nostro? Quanto conta la biochimica nella formazione dell’identità, nella messa a punto del soggetto? Ma quando l’io è “formato”, possiamo liberarcene cambiando ipoteticamente corpo? Che cos’è infatti la “sostanza” che passa di corpo in corpo e che nominiamo “io”? Senza arrivare in discorsi filosofici che il film non può porre (e paradossalmente è proprio l’assunto di partenza a impedirglielo visto che presuppone comunque una separazione possibile tra materiale e immateriale), Skin Deep è un lavoro brillante che utilizza un’idea non nuova ma in modo originale, per parlare di identità, relazioni, generi, amore, regalando agli attori un terreno di gioco divertente per mettere in mostra le proprie abilità (i loro corpi sono infatti abitati da più di un personaggio nel corso del film e vengono vissuti in modi diversi a seconda delle personalità).

Il film, una volta rivelate pienamente le carte, forse perde un po’ mordente per affondare nei conflitti di Leyla e in quelli della relazione con Tristan, ma ha una prima parte ben calibrata tra tensione e intimità e una parte centrale interessante, in cui gli interrogativi riguardo al rapporto tra le identità personali e i corpi vengono palesati in un caleidoscopio di risposte che emergono dalle differenti modalità di vivere la paradossale esperienza di essere altro da sé.

Info
Skin Deep sul sito della SIC.

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