Il maledetto

Il maledetto

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Con Il maledetto Giulio Base prende il Macbeth e lo trasporta dalle brughiere scozzesi del Basso Medioevo alla campagna foggiana di oggi, dove a dominare sono i metodi mafiosi. Affidando il ruolo principale a un luciferino e volutamente stolido Nicola Nocella, la cui corporeità è un elemento importante della messa in scena, il regista torinese firma un’opera che trova nella sua ostinata postura sopra le righe il suo maggior pregio e il suo principale limite. Alla Festa di Roma.

Bello è l’orrendo, orrendo il bello

Michele Anacondia è un criminale ai margini della mafia pugliese, la cui moglie lo spinge a ottenere di più. Il loro unico figlio muore in un agguato e l’uomo uccide mezza cosca rivale. Il boss lo promuove e, quando i nemici incendiano la sua residenza, va a rifugiarsi proprio da Michele e dalla moglie. Michele non si accontenta: uccide il padrino e prende il comando della Sacra Corona. Ma la sua sete di sangue lo farà precipitare nella follia. [sinossi]

C’è una malsana abitudine che è dura da sconfiggere e che riguarda in maniera prioritaria i festival cinematografici: la pattuglia di accreditati, forse per stanchezza forse per chissà quale bizzarra concatenazione di eventi, sceglie in maniera quasi collettiva un titolo (quasi sempre italiano perché come insegna il Vangelo nemo profeta in patria) sul quale apporre il proprio sdegno, anzi un titolo proprio da vituperare, da prendere a modello per tutto ciò che è sbagliato fare dietro e davanti la macchina da presa. In qualche modo poco importa l’analisi reale di suddetto titolo, che viene sbranato a mo’ di agnello sacrificale senza che ci si soffermi neanche davvero per comprendere quali siano le sue debolezze, quali i reali o supposti “crimini” compiuti. Un aggiornamento, per fortuna meno cruento nella prassi, dell’euforia che si generava nella massa all’epoca dei linciaggi. Qui non scorre sangue ma il risultato è comunque quello di mettere alla berlina un film, additarlo, renderlo paradigma dell’errore. Il rischio, osservando la reazione di parte della critica durante le giornate della diciassettesima edizione della Festa del Cinema di Roma, è che il film deputato a svolgere tale ruolo avesse potuto essere Il maledetto, nuovo film da regista per Giulio Base che stavolta decide di non prendervi parte anche come attore (accadeva già in Bar Giuseppe, per restare agli ultimi parti creativi della sua filmografia). Il maledetto non è certo un film esente da debolezze, sia chiaro, ma l’impressione forte è che da taluni sia stato messo all’indice per colpe che in realtà non ha, e che semmai sono la testimonianza dell’aspetto più interessante dell’opera.

Non è un mistero che Base abbia lavorato alla sceneggiatura tenendo sul comodino una copia di Macbeth, e leggendo la breve sinossi che si trova subito prima dell’inizio di questa disamina se ne potrà trovare con facilità conferma. La storia di Michele Anacondia, che tutti conoscono come il “pecoraro” (dopotutto quello fa di mestiere, oltre ovviamente a essere affiliato a una cosca mafiosa), ricalca anche nei minimi dettagli quella del nobile scozzese narrata da William Shakespeare nella tragedia che è senza dubbio tra i massimi parti dell’arte dello scrittore inglese: l’eccezione, che però tradizionalmente conferma la regola, sta nella classe sociale di appartenenza del protagonista, che Base non può per ovvie ragioni mantenere nobile e trasforma per l’appunto in un uomo dei campi, uno che lavora con la terra ma che ha imparato a sparare come nessun altro grazie alla carriera svolta nell’esercito. La figura di Macbeth è una delle più saccheggiate all’interno della storia del cinema, da Orson Welles ad Akira Kurosawa (che la trasporta in Giappone durante l’era Muromachi nello straordinario Il trono di sangue), da Roman Polanski a Béla Tarr che adattò il testo per la televisione ungherese nel 1982 riducendo la narrazione a due piani sequenza – il primo di cinque minuti e il secondo di poco meno di un’ora. Nell’ultimo quindicennio c’è stato un ritorno di fiamma per l’opera ma tutti i film in questione (di Geoffrey Wright, Justin Kurzel, e Joel Coen in solitaria senza l’aiuto del fratello Ethan) sembrano mere riproduzioni calligrafiche, magari puntuali nella ripetizione dei dialoghi e inappuntabili sotto il profilo scenografico e fotografico ma del tutto prive di nerbo, di vita, di sangue, e di senso.

Di questo non può invece essere di certo accusato Base, che anzi si getta lancia in resta contro l’idea di un’immagine stantia, consunta, abitudinaria. Tiene saldo il timone del racconto montando le stesse ossessioni e colpe del testo originale (la sete di potere, e di vendetta, spinta così al limite da superare qualsiasi vincolo morale, fino al tentativo di far massacrare perfino un ragazzino), e rende dunque il suo protagonista “maledetto” il simbolo di un’umanità corrotta fin da principio, pulsionale in direzione di una distruzione altrui così magniloquente da contenere all’interno anche la propria dissoluzione. All’ambizione di Michele e di sua moglie il regista sovrappone la propria, abbandonando la minimale castità delle sue ultime regie per odorare il sapore celeste del ferro e vedere il profumo sanguigno del fuoco – non se ne abbiano a male i CCCP – Fedeli alla linea per questa presa in prestito di un loro testo. Il maledetto è un film tonitruante, eccessivo, dove tutto può e forse deve essere mostrato, e nel quale l’esagerazione diventa il minimo comun denominatore per cogliere la tragica (eppur sublime) tracotanza di un uomo sfrenato ma quasi analfabeta, così in difficoltà con le parole da preferire spesso il mutismo. Da preferire l’azione. Alcuni hanno storto il naso di fronte alle interpretazioni così esibite di Nicola Nocella e Ileana D’Ambra, ma la scelta di una corporeità centrale e su cui focalizzare lo sguardo – il personaggio interpretato da D’Ambra zoppica vistosamente – si lega a questo adattamento robusto, massiccio e non etereo, conscio delle sue molteplici esistenze post-shakespeariane (non è un caso che si citi Giuseppe Verdi).

Certo, in tale messe di esagerazioni qualcosa straborda, alcune scelte estetiche convincono poco – la sequenza della festa in cui Michele/Macbeth immagina di vedere il cadavere del cognato che ha fatto uccidere lo stesso giorno, ad esempio, stona e non convince neanche sotto il profilo della messa in scena –, così come una narrazione che qua e là sembra aver bisogno di accelerare (la morte dei figli del “capo” è repentina, troppo rapida, quasi che Base se ne voglia sbarazzare in fretta e furia, con ancora maggior furia di Michele stesso), ma nel complesso viene naturale difendere un’operazione così ambiziosa e priva di quella postura giusta a cui con troppa facilità si abitua il cinema italiano contemporaneo. Ricordare la possibilità dell’eccesso, e dell’errore per troppa esibizione – a fronte di una produzione morigerata, così temperante da sfiorare l’impalpabilità estetica – è un dovere cui Il maledetto si presta volentieri, e in tal senso si può avvicinare questo film a War – La guerra desiderata di Gianni Zanasi, a sua volta dissonante per troppa generosità, e non per avarizia. E quel finale, in cui è un drone a uccidere, potrebbe perfino aprirsi (probabilmente suo malgrado) a una discussione teorica sul linguaggio, e sull’uso/abuso dell’immagine.

Info
Il maledetto, trailer.

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