War – La guerra desiderata

War – La guerra desiderata

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War – La guerra desiderata è il settimo lungometraggio che Gianni Zanasi dirige in ventisette anni di carriera, e sembra quasi formare con La felicità è un sistema complesso e Troppa grazia una trilogia sul caos, e su quanto l’umano agire sia dominato dagli eventi circostanti. Affascinante, slabbrato, ridondante, curioso, non somiglia a nulla che sia prodotto in Italia di questi tempi; questo, nonostante gli evidenti limiti, lo rende un film perfino prezioso.

La figlia di un soldato non piange mai

Tom, laureato in lingue romanze, alleva vongole. Lea, la figlia maggiore del sottosegretario alla Difesa, fa la terapeuta all’Asl. Al primo incontro è subito scontro. Ma non è nulla in confronto a ciò che succede intorno a loro: un tragico incidente diplomatico tra Spagna e Italia sta scatenando l’impensabile, una guerra nel cuore dell’Europa. E, per quanto incredibile, soltanto Tom e Lea sembrano poterla fermare. [sinossi]
Noi addestriamo dei giovani a scaricare Napalm sulla gente,
ma i loro comandanti non gli permettono
di scrivere “cazzo” sui loro aerei perché è osceno
Colonnello Kurtz, Apocalypse Now

L’apocalisse è quello che c’è già, cantavano eoni addietro i CSI – Consorzio Suonatori Indipendenti: erano gli anni in cui la guerra che balcanizzò la Jugoslavia aveva aperto gli occhi anche al più refrattario tra i refrattari per quel che concerneva il concetto di “pace” che l’occidente aveva sbandierato per decenni mostrava il suo volto più funereo a un tiro di schioppo dai confini. La pace è guerra con spreco di licenze, la guerra è pace con spreco di ordinanze cantavano un decennio prima i CCCP – Fedeli alla linea, fedeli anche quella linea non c’è, anche quando a dominare non è in nessun caso l’ordine. A seguire una linea che quasi non pare esistere è anche da alcuni anni Gianni Zanasi, tra i registi venuti alla luce nel corso degli anni Novanta uno dei più inclassificabili; quasi fosse libero da sovrastrutture produttive – e ovviamente non lo è, visto che anche questo War – La guerra desiderata è passato attraverso le forche caudine dei finanziamenti pubblici –, e potesse permettersi tutto ciò che vuole, Zanasi articola il suo linguaggio narrativo nel caos, sgravandolo da costruzioni psicologiche precostituite, e anche dai rapporti canonici di causa ed effetto che dominano il cinema italiano “borghese”. Non che si tenga distante da quella classe sociale, Zanasi, al punto che uno dei limiti del suo settimo lungometraggio sta proprio in ciò che può apparire (probabilmente in modo involontario) come una sorta di visione lombrosiana della società: chi ha studi di un certo tipo, o appartiene a una determinata classe sociale avrà gli strumenti per intervenire in modo consono di fronte alle avversità, gli altri si lasceranno solamente dominare dal desiderio pulsionale dell’azione. Così se Lea, cresciuta nella Roma “benissimo”, figlia del sottosegretario alla Difesa nonché emerito generale, e Thomas (per gli amici Tom), laureato in lingue romanze, possono comprendere la follia del mondo che li circonda e che sta spingendo verso la guerra a ogni costo, il misero e miserabile Mauro, cui da ragazzo fu anche proibito dai genitori iscriversi al liceo artistico reprimendo così la sua sete di cultura ed è finito a gestire un pub, sarà il primo ad imbracciare con orgoglio il mitra e a entrare nelle milizie paramilitari che pattugliano Roma in attesa dell’inevitabile, di quella guerra desiderata – notevole la scelta dell’aggettivo nel sottotitolo – dalla quale non c’è scampo perché nessuno in realtà davvero vuole esista una via d’uscita.

Molti sono gli elementi che possono infastidire durante la visione di War – La guerra desiderata, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. Sequenze del tutto episodiche ed esteticamente discutibili come la festa clandestina a bordo di un bus scoperto che se ne va in giro per il lungotevere, per esempio, dettagli come le comparse che senza alcun motivo si iniziano a picchiare per strada, passaggi come quello che vede Tom – fatto entrare nella milizia da Mauro dopo che quest’ultimo l’ha rinvenuto incosciente a seguito di un pestaggio subito dall’uomo da parte di un gruppo di romanisti fascistelli che gli hanno tirato contro le vongole che coltiva (per far comprendere il tenore schizoide della vicenda) – entrare in un palazzo seguendo la musica per imbattersi in un concerto da camera eseguito proprio per contrastare l’idea della guerra. Sì, molti sono davvero i momenti opinabili di War, ed è indubbio che Zanasi si muova sul filo del rasoio, tra suggestioni dichiarate e così evidenti da far accumulare i dubbi (la citazione di Apocalypse Now con una spa al posto del villaggio di Kurtz è lì lì a un passo dallo sprofondare nel ridicolo involontario) e sprazzi di lucida follia. “I accept chaos. I’m not sure whether it accepts me” vergava di proprio pugno Bob Dylan ai tempi di Bringing It All Back Home, e la citazione pare aderire in modo naturale all’approccio cinematografico di Zanasi. Un approccio che non appartiene da sempre al cineasta nato nel modenese. La sua filmografia è quasi scissa in due parti, con la prima che guarda a un racconto metropolitano non distante dal “reale” (lo strabiliante esordio Nella mischia, ma anche A domani) e addirittura occhieggia dalle parti di Abbas Kiarostami – il purtroppo dimenticato Fuori di me –, e la seconda che appunto discetta di un mondo caotico, irrazionale, dove le regole e le strutture sono fine a carte quarantotto: una seconda metà inaugurata nel 2015 con La felicità è un sistema complesso, ribadita da Troppa grazia e che ora trova quello che sembra il suo acme in War. Nel mezzo, a fondere i due segmenti, quel Non pensarci che contiene elementi dei due approcci e proprio nella loro apparentemente impossibile saldatura trova il proprio senso.

Non c’è nulla oggigiorno che in Italia somigli al cinema di Gianni Zanasi, un cinema che per far scoppiare la guerra tra Italia e Spagna (il film lo sottolinea addirittura con un cartello iniziale, ma è doveroso ribadirlo in modo da non ingenerare pensieri inesatti: War è stato ideato e girato prima che la Russia invadesse il confine ucraino dando il la agli eventi che sono ancora materia di preoccupazione quotidiana) ha bisogno solo di un gavettone in campeggio fatto nel momento sbagliato, che inscena uno scontro a fuoco su lungotevere degli Artigiani, che osa tutto e il contrario di tutto, tra raffinate incursioni nell’orrore della memoria personale e svisate nel cattivo gusto. Il pregio di Zanasi è quello di ricordare al pubblico italiano che la logica non è l’unico strumento a disposizione per leggere e interpretare il mondo, e si può uscire dai salotti borghesi non per compiere safari in periferia ma per sporcarsi le mani con una lettura del reale che trascende nel surreale. Il difetto di Zanasi è lasciare che il caos domini tutto, forse nella speranza nietzschiana che possa generarsi una stella danzante; così facendo però le briglie sciolte lasciano la carrozza in balia di cavalli imbizzarriti, dai quali ci si può solo far travolgere. Alla fine di un’altalena di intuizioni, mentre storie d’amore e di guerra si fondono, ci si trova a ragionare su un film affascinante, slabbrato, ridondante, curioso, pasticciato, e che non somiglia a nulla che sia prodotto in Italia di questi tempi; un dettaglio che, nonostante gli evidenti limiti, lo rende un film perfino prezioso.

Info
War – La guerra desiderata, trailer.

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