Inmusclâ

Inmusclâ

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Il regista veneto Michele Pastrello “sconfina”, e con il suo nuovo mediometraggio Inmusclâ si muove nei territori clautani del Friuli, e in quella lingua – anche grazie alla voce narrante della poetessa Bianca Borsatti – è parlato. Viaggio immaginifico in cui l’immersione nel bosco e nella natura equivale alla ricerca della propria identità interiore, Inmusclâ è un lavoro misterico che conferma lo sguardo allegorico di Pastrello, e il suo talento visivo. In anteprima all’Edera Film Festival.

L’eterno solstizio d’inverno

Cjanâl da la Ciline, inverno. Una donna sta per compiere un misterioso viaggio a piedi, in una natura invernale spopolata, glaciale e inospitale. Quello che pare un inesorabile percorso che la conduce a perdersi, turbata, si rivelerà invece un cammino dentro un’imperscrutabile dimensione che le appartiene. Una dimensione dove ciò che minacciosamente la circonda non è quello che sembra. [sinossi]

Un po’ come la convincente Lorena Trevisan che affronta le impervie montagne della Valcellina alla ricerca di sé – e della “risoluzione” del suo mistero, che altro non è se non il mistero della vita stessa –, viene naturale affrontare la visione di Inmusclâ con uno spirito resistenziale. Nell’inverno del nostro scontento di una cinematografia sempre più asfittica, e soprattutto ritorta sulle proprie abitudini incistate e incancrenite, l’eterno solstizio d’inverno in cui si muove l’indomita donna protagonista di questo nuovo mediometraggio di Michele Pastrello appare come una luce improvvisa, la dimostrazione che c’è ancora spazio per l’immaginifico, per la sopravvivenza di un cinema libero, lontano dagli schemi precostituiti. Sono oramai quasi vent’anni che il regista veneto si muove nel campo dell’autoproduzione, inseguendo il proprio orizzonte visionario che parla incessantemente di ricerca dell’identità, dell’io interiore, magari ricorrendo al trauma del genere, al sogno-incubo che può generare l’azione, o giustificarla. In questo senso Inmusclâ può essere letto quasi come un viaggio iniziatico, un rito ineludibile alla stessa stregua di quello che si intravvede nel film, e che forse accadde in un’epoca lontana o forse no. Non è casuale la scelta della scritta in epigrafe che apre questo film breve, e che si rifà alle parole del freudiano Erik Homburger Erikson: “L’essere umano plasma inconsciamente variazioni di un tema originario che non è stato in grado né a superare né a convivere: egli cerca di dominare un fenomeno che nella sua forma nodale gli è indicibile, incontrandolo perpetuamente”. C’è una crisi evolutiva anche all’interno di questa storia, e l’attraversamento del bosco e la scalata del monte, i due elementi chiave della narrazione, sono lì a testimoniare in modo allegorico la necessità di un superamento, di uno sviluppo psicosociale.

Anche Trevisan nel suo percorso non fa che incontrare perpetuamente il fenomeno che non sa dire, che conosce ma non sa formalizzare. Il suo dolore, la ferita che sanguina anche in maniera evidente e che dunque la indebolisce, è il confronto con un sé da riconoscere, un’identità dispersa, scomparsa, smarrita. Non è arduo, per chi ha dimestichezza con i lavori di Pastrello, connettere questa sua ultima fatica – girata in completa autonomia e beata solitudine, quasi solo con il supporto di Trevisan, che ha scritto anche la sceneggiatura insieme al regista – ai film che contribuirono a farlo emergere come uno degli autori più interessanti della sua generazione: per quanto la maturità espressiva gli faccia ridefinire oramai i confini del “genere”, facendogli prediligere una semmai una riflessione quasi atmosferica, in cui l’immaginario si confronta in modo ancora più terraceo con il territorio, Inmusclâ non si muove in territori poi così distanti da quelli che innervarono le narrazioni di 32, Ultracorpo, e InHumane Resources. Si è forse un po’ dissolta la componente più direttamente politica, ma il corpus centrale del discorso appare lo stesso: il confronto dell’umano con il mondo che lo circonda, e in qualche modo lo conforma. La protagonista di Inmusclâ non può esimersi dal suo viaggio, che dai luoghi antropizzati la porterà dapprima a “settentrione”, e quindi là dove a dominare il proscenio sono le nevi perenni. Il tutto senza poter uscire dalla memoria incubale, che la strazia e la inchioda a un côté umano inevitabilmente imperfetto, dolorante, sanguinante.

Lo stile e la tecnica di Pastrello si sono così raffinati nel corso del tempo da non dare mai l’impressione di un lavoro amatoriale, nonostante l’assenza pressoché totale di troupe. Anzi, è proprio nella raffinata ricerca fotografica delle immagini, in cui la dominante bianca funge da contrasto, e non da abbacinante assolvenza del resto, ad arricchire un testo che per il resto si presenta come un attento sguardo su un territorio che è antropologia anche laddove non c’è traccia d’umano. Ecco dunque che Inmusclâ mostra un’altra tenace forma di resistenza: quella culturale che vuole il film come testimonianza di una minoranza linguistica – il parlato è in clautano, una variante del furlan racchiuso in un pugno di paesotti (Claut, Barcis, Andreis) – che come sempre è anche un perché poetico dello stare al mondo. Ecco dunque che acquista un valore peculiare la scelta di ricorrere per la voce narrante a Bianca Borsatti, ottantaduenne poetessa che compone in clautano. Seguendo un tracciato già evidenziato in passato nei suoi lavori, anche quelli più intimi come l’ottimo Nexus, per Pastrello la scelta di un territorio non è mai esornativa, ma connota il senso; ecco dunque che il suo sconfinamento in territorio friulano diventa l’occasione per approfondire quella riflessione sul rapporto tra essere umano e realtà boschiva che filtrava già nei controluce di The Little Child. Dopotutto il senso di questo nuovo viaggio misterico alla ricerca dell’umano è ben esplicato nella prima irruzione della voce di Borsatti, che recita: “Tanto tempo fa mi addentrai in un bosco munifico e mi ferii. Mi incamminai verso nord, ma era come se quel bosco lasciato alle spalle con i suoi lupi, il ghiaccio, le rocce, il muschio infestante, si ripetesse sempre dentro di me. Era come una maledizione. Ne ero infestata”. Inmusclâ è la nuova emozionante dichiarazione di resistenza del cinema e dello sguardo di Michele Pastrello. Sarebbe delittuoso per il cinema italiano ostinarsi nell’ignorarlo. Intanto gli spettatori che non avranno in sorte di incontrare questo breve film a un festival potranno, dall’inverno, trovarlo on demand grazie alla distribuzione di Emerafilm. Magre consolazioni.

Info
Il sito ufficiale di Inmusclâ.

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