Enea

Secondo film di Pietro Castellitto, Enea è un film arrogante, vivace, discontinuo, e a tratti anche molto divertente. In concorso a Venezia 80.

Me ne andavo da Roma nord

Enea rincorre il mito che porta nel nome, lo fa per sentirsi vivo in un’epoca morta e decadente. Lo fa assieme a Valentino, aviatore appena battezzato. I due, oltre allo spaccio e le feste, condividono la giovinezza. [sinossi]

L’assoluta libertà di scrittura e di messa in scena che ritroviamo in Enea, secondo film di Pietro Castellitto dopo l’esordio de I predatori, sorprende e spiazza, e in qualche modo attrae, incuriosisce. È innegabile, infatti, che per lunga parte del film il giovane Castellitto riesca a restituire una ricchezza di linguaggio – e di scarti imprevedibili di toni – cui non siamo abituati in certo nostro cinema sempre un po’ asfittico. Certo, in realtà, le cose stanno cambiando; si pensi a Sorrentino o a Guadagnino – che tra l’altro figura come produttore di Enea – e alla loro continua esibizione dello stile. Oppure si pensi ai fratelli D’Innocenzo, anch’essi attratti da un cinema che si mostra nel suo eccesso formalismo, un formalismo geometrico e sempre ipercontrollato. Ma là dove nei registi citati – chi più chi meno – il disegno complessivo a volte irrigidisce il film e la sua percezione, in Enea accade esattamente il contrario. Vale a dire che Castellitto non riesce a maneggiare la struttura narrativa nel suo insieme e non riesce a sviluppare fino in fondo un discorso sulla romanità di Roma nord al di sopra delle regole e della morale, ma colpisce e sorprende con dei lampi improvvisi. Lo stile, dunque, in Enea è al servizio di trovate singole che magari fanno anche deragliare il racconto, ma che nel momento in cui le si pensa e le si mette in pratica diventano quasi più importanti del film stesso. Tutto il contrario dei fratelli D’Innocenzo per l’appunto, dove il film – l’idea alla base del film – sottomette sempre e comunque ogni singolo personaggio e ogni singola situazione. E questa indole un po’ anarcoide di Enea e del suo regista ci pare che possa discendere in parte da alcuni film diretti da suo padre Sergio (come ad esempio La bellezza del somaro, film sgangherato ma vitale), in parte da uno dei caratteri essenziali della romanità: il gusto della battuta a ogni costo e l’innata disposizione d’animo del vedere il ridicolo in ogni situazione.

Va a finire perciò che una delle maggiori qualità di Enea è proprio il suo cinico sarcasmo, quello sguardo a metà tra lo scherno e la pietà, che sta ad intendere che in fin dei conti siamo tutti dei poveri coglioni. Infatti Castellitto non fa sconti a nessuno dei suoi personaggi, a partire dal protagonista, interpretato da lui stesso, per arrivare al personaggio di suo padre, interpretato dal medesimo Sergio. Ne nascono scaramucce e scontri, meschinità varie e non poche situazioni divertenti, se non addirittura spassose (come la faccenda del cuoco giapponese e dei giochetti erotici che intavola con i suoi pesci), in cui spesso a governare le scene sono dialoghi o monologhi alla continua ricerca di battute ad effetto, molte riuscite, altre – inevitabilmente – meno. E così, in fin dei conti, forse l’unico personaggio che si salva e che non fa una brutta fine è quello del fratello più piccolo, che osserva un po’ sconcertato le dinamiche autodistruttive del primogenito Enea (Pietro Castellitto per l’appunto) e dei suoi amici.

La libertà di racconto, l’arroganza e l’acne giovanile, l’atteggiamento anarcoide e supponente, l’anti-sentimentalismo sfrenato (tranne che per una sequenza in cui si fa leggere a Sergio Castellitto una lunghissima e patetica lettera); tutti questi elementi servono al film e gli danno un carattere tutto suo, ma alla fine non bastano. Perché il gioco non riesce a reggere per tutto il film, e ad un certo punto diventa ripetitivo. Continuando ad andare avanti di fuochi d’artificio e di continui rilanci, si perde infatti brillantezza e si finisce per diventare troppo poco lucidi; e ciò accade in particolare nell’ultima parte di Enea, quella in cui si dovrebbero sciogliere tutte le varie questioni lasciate in sospeso. Perciò, questa descrizione della romanità cocainomane e gangsteristica di Roma nord e questa riflessione su famiglie sempre depresse e sempre in conflitto finisce per perdersi un po’ per strada. Ma – a nostro avviso – questa vitalità e questo sarcasmo ce li dobbiamo tenere ben stretti, perché non si vedono tanto in giro.

Info
Enea sul sito della Biennale.

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