En attendant la nuit

En attendant la nuit

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L’esordio nella fiction di Céline Rouzet En attendant la nuit è un teen horror vampiresco che ambisce ad essere qualcosa di più, ma non ci riesce e in più morde poco, per via di un tocco troppo delicato, in aggiunta a una trama dai risvolti prevedibili. Brava come sempre Élodie Bouchez. Il film è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti, per poi approdare a Roma in occasione del Rome Film Fest, nella sezione autonoma e parallela Alice nella città.

I morsi non mordono

Il giorno in cui si trasferisce in un nuovo quartiere, la famiglia Feral ha intenzione di apparire il più normale e affabile possibile. Ma il figlio, Philémon, non è un adolescente normale. Quando si avvicina alla sua nuova vicina, Camila, la sua sete di sangue cresce e la sua diversità diventa impossibile da dissimulare. [sinossi]

En attendant la nuit della semi-esordiente Céline Rouzet, autrice in precedenza soltanto di un documentario su Papua Nuova Guinea, è un teen horror vampiresco che però si tiene sempre un passo indietro rispetto all’adesione al genere. Siamo più nell’ambito di una rilettura “alta”, col vampirismo inteso qui come malattia, fisica e quindi esistenziale, una prospettiva questa che conta precedenti illustri, quali Martin (George A. Romero, 1977) o The Addiction (Abel Ferrara, 1995). Capolavori che si trovano però a distanze siderali rispetto a questo film, il cui riferimento più diretto, anche in termini estetici, sembra essere il recente Bones and All (Luca Guadagnino, 2022), col vampirismo al posto del cannibalismo, due sottogeneri che in tempi recenti sono divenuti assai prossimi (basti pensare a Raw, Julia Ducourneau, 2016). Ma a dire il vero En attendant la nuit sembra guardare più che altro al cinema statunitense, soprattutto indie – all’interno del quale il problema del conformismo sociale è una preoccupazione ricorrente –, a partire anche dalla location: una cittadina francese isolata e immersa nella natura, che richiama le analoghe anonime cittadine oltreoceano che fanno da sfondo e da humus a un’infinità di teen movies, non solo horror e non solo indie. Rouzet rischia infatti anche un (bel) po’ l’effetto Twilight Saga, scegliendo di impostare l’intreccio principale sulla rivalità tra il delicato Philémon (Mathias Legoût-Hammond) e il bulletto locale, Charles (Louis Peres) per conquistarsi le grazie di Camilla (Céleste Brunnquell), una trama-pretesto dagli esiti fin troppo scontati. Al tempo stesso, però, il film si sforza di mantenere il più possibile il suo impianto realistico e metaforico.

Va benissimo che ci si affacci sul genere senza abbracciarlo in toto, che se ne sfiori tangenzialmente i topoi. Dopodiché però, in un modo o nell’altro, bisogna affondare i denti nella carne viva, come fa ad esempio Fabrice du Welz in Adorazione (Adoration, 2019), un film sul vampirismo adolescenziale senza neppure l’ombra di morsi né di canini (eppure…). In En attendant la nuit, invece, a un certo punto i morsi arrivano, ma nonostante il sangue non scarseggi, questi morsi non affondano mai veramente, non perforano la superficie dello schermo. Questo perché il tocco di Rouzet è sempre troppo delicato, troppo “protettivo” nei confronti dei suoi stessi personaggi per coinvolgere davvero. Il dramma del giovane Philémon, che è quello del sentirsi diversi, emarginati, rimane l’unico debole pretesto per un discorso che si rivela privo di stratificazioni, che non cerca altre vie, che non trova altri spazi e rimane lì, un po’ inerte, senza aver molto da dire. L’unico aspetto per certi versi interessante è quello riguardante il “metodo” con cui i genitori procurano il sostentamento al ragazzo: inizialmente vediamo la madre Laurence (Élodie Bouchez) nutrire il figlio in casa donando il proprio stesso sangue tramite delle trasfusioni. Successivamente, la donna inizia a fare volontariato presso l’ospedale locale, nel reparto dei donatori, beninteso con l’unico scopo di sottrarne alcune sacche di sangue senza dare nell’occhio.

I genitori dunque cercano di applicare un metodo civile, in modo da tenere sotto controllo gli istinti più animaleschi di Philémon, perché sanno o immaginano cosa comporterebbe per lui nutrirsi tramite il morso (l’aggressione), come fece istintivamente, non appena nato, mordendo a sangue il seno della madre. L’ennesima conferma del fatto che la cultura non sia altro che una maschera, una museruola, un’auto-censura che l’essere umano si impone nel tentativo di superare la propria feralità (Feral è il cognome della famiglia di Philémon) e poter vivere in società senza nuocere agli altri. Creando però, al tempo stesso, una pericolosissima forma di auto-repressione. Ma è un sintomo, questo, che il film registra senza (ac)cogliere, un punto di vista che non sposa fino in fondo, altrimenti lo sguardo sarebbe stato beffardo e impietoso, anziché mesto e malinconico. Si limita a servirsene quasi con rammarico. Del resto i tempi di Marcuse e del suo Eros e civiltà sono ormai lontani e sono ben pochi i cineasti in grado di confrontarsi con una griglia interpretativa di questo tipo, in un’epoca come questa in cui il più delle volte latita qualsiasi lettura complessa del reale. Ad ogni modo, i momenti migliori del film rimangono proprio quelli in cui la madre, Laurence, si aggira furtiva nella sala dei donatori: in apparenza educata e gentile con tutti, in realtà nervosa e guardinga, un fascio di nervi e sotterfugi, come se la vera vita della donna si agitasse sottopelle, dans sa peau (perfetta in questo senso Élodie Bouchez). Una donna il cui unico scopo è procurarsi con ogni mezzo il nutrimento per il figlio, come farebbe in natura qualsiasi madre di qualsiasi altra specie. En attendant la nuit è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti, per poi approdare a Roma in occasione del Rome Film Fest, nella sezione autonoma e parallela Alice nella città.

Info
En attendant la nuit, il trailer.

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