Estranei

Estranei

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Secondo adattamento per il grande schermo del romanzo omonimo di Taichi Yamada, Estranei di Andrew Haigh unisce dramma, fantastico e film sentimentale in un pastiche che abbraccia la materia narrata con trasporto, senza il timore di esporre al pubblico i nervi scoperti, dell’autore e dei personaggi messi in scena. Presentato a Roma in Alice nella città 2023 come film a sorpresa a manifestazione già ampiamente in corso dopo i passaggi festivalieri a Telluride, New York e Londra.

La solitudine è una terra straniera

Durante un allarme antincendio nel nuovo condominio londinese in cui abita, lo sceneggiatore Adam incontra il vicino Harry, un giovane misterioso con cui inizia un’appassionata relazione. La storia con Harry lo spinge a ripensare alla propria infanzia e a visitare la sua vecchia casa dove, con sua grande sorpresa, ritrova i genitori, fermi nel tempo come l’ultima volta in cui li aveva visti trent’anni prima, prima che morissero in un incidente d’auto. [sinossi]

Subito trasposto al cinema già l’anno successivo alla sua uscita editoriale dal cineasta nipponico Nobuhiko Obayashi, il romanzo Estranei di Taichi Yamada narrava, nel 1987, lo spaesamento al sopraggiungere della mezza età di un borghese trovatosi improvvisamente solo, con il rifugio della nostalgia e del rimpianto come unico approdo rimastogli. Trentasei anni dopo, tocca ad Andrew Haigh aggiornare e adattare la storia (All of Us Strangers il titolo originale della versione del cineasta inglese) alla sua sensibilità e alle problematiche contemporanee. Invece del vuoto pneumatico dell’esistenza nella nuova borghesia giapponese degli anni Ottanta, assistiamo all’atomizzazione e allo spaesamento fuori dal tempo di uno sceneggiatore londinese, che osserva la capitale britannica dalla finestra senza raggiungerla o afferrarla mai davvero. L’identità sessuale del protagonista Adam è la variazione sul tema che porta Haigh ad impossessarsi di storia e soggetto, al fine di adattare l’opera originale nel modo più funzionale possibile, ovvero abbracciandone gli spunti per poi tradirla completamente. Tornato in sella ad un progetto importante a sei anni da Charley Thompson, presentato in Concorso a Venezia ma poco recepito da pubblico e critica e che aveva un po’ bloccato una carriera in grande ascesa dopo Weekend e 45 anni, questa volta sfrutta l’occasione mollando le briglie e abbracciando senza remore un romanticismo appassionato e lacrimoso senza essere stucchevole. Ci vuole coraggio, un po’ alla maniera di Xavier Dolan, per affidare, nel 2023, al sottofondo di The Power of Love dei Frankie Goes to Hollywood un momento culmine del film.

Adam (Andrew Scott, da ricordare il suo Moriarty televisivo per lo Sherlock di Steven Moffat e poco altro, qui molto bravo) sta scrivendo un soggetto ma è bloccato sull’attacco “Esterno, villetta di periferia, 1987”: da queste poche parole un intero mondo si spalanca davanti ai suoi e ai nostri occhi. Il 1987 è, come abbiamo già visto, l’anno di realizzazione del romanzo alla base dell’opera e, probabilmente, una data importante anche nella vita di Adam. Non vive più in quella villetta di periferia, perché un tragico evento lo ha reso precocemente orfano, ma in un gigantesco condominio di fresca realizzazione di cui è uno dei pochi abitanti già trasferitisi, l’inverso del decadente palazzo in cui vive in solitudine J.F. Sebastian in Blade Runner ma avente la stessa funzione narrativa. Unico altro condomino, conosciuto durante un test antincendio, è Harry (Paul Mescal), un ragazzo più giovane di lui dall’aria tormentata. Non vogliamo anticiparvi nulla relativamente alla sequenza di sorprese narrative che si succedono nel terzo atto relativamente alla loro relazione, dapprima di timida e diffidente amicizia, poi sempre più spostata verso un’accoglienza reciproca al contempo tenera e disperata. Parallelamente, Adam torna a trovare periodicamente i suoi genitori defunti, appunto, nella “villetta di periferia”: questi ultimi, interpretati da Claire Foy e Jamie Bell, hanno ormai suppergiù la stessa età anagrafica di loro figlio. Dei genitori, quindi, giovani adulti in eterno, congelati nelle conoscenze e nei modi di fare e dire alla società di qualche decennio fa, nella testa di Adam finalmente pronti ad accettare il suo coming-out e la sua omosessualità. Mentre si perde sempre più nel passato, Adam perde di vista un presente dove la spaventosa solitudine in cui è sempre vissuto ha finalmente trovato uno spiraglio attraverso il quale far passare un raggio di luce.

Haigh, anche sceneggiatore, organizza la complessa materia narrativa senza concentrarsi sullo spiegare l’inspiegabile ma sul mostrare l’immostrabile: grazie al girato in pellicola 35mm (di gran pregio il lavoro del direttore della fotografia Jamie D. Ramsay) tutta la vicenda è avvolta in una grana che acuisce la sensazione di un tempo fuori dal tempo, di spazi abitati solo dalla mente. La comfort zone dell’abbandono alla nostalgia e al rimpianto tiene letteralmente Adam prigioniero del passato e incapace di vivere il presente, persino quando quest’ultimo sembra foriero di nuove promesse; il film è anche un inno al carpe diem, al non aspettare nemmeno un minuto per aprirsi all’alterità, anche flirtando con il rischio di rimanere delusi ma provando a riempire il condominio della nostra anima. In questa via originale all’espressionismo, con la psiche totalmente estroflessa a contaminare l’esterno e il ponte tra realtà e immaginazione vicino al crollo, si configura una declinazione fantastica del film romantico interessante e perseguibile. Il voto che si vede qui sopra è la conseguenza della reiterazione a volte estenuante di sequenze e concetti, lo spettatore per cui questo non rappresenti un problema può tranquillamente aggiungere un punto ulteriore.

Info
Estranei, il trailer.

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