Omen – L’origine del presagio

Omen – L’origine del presagio

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Omen – L’origine del presagio, prequel del capostipite della saga con protagonista l’anticristo Damien, segna l’esordio alla regia cinematografica per Arkasha Stevenson, che dimostra di saper gestire l’orrore pur dovendosi destreggiare all’interno di una sceneggiatura per lo più beota, dove la ricostruzione del passato ha un mero significato illustrativo.

La mamma di Damien è sempre incinta

Quando una giovane donna americana viene mandata a Roma per iniziare una vita al servizio della Chiesa, incontra un’oscurità che la porta a mettere in discussione la sua stessa fede e a scoprire una terrificante cospirazione che spera di far nascere il male incarnato. [sinossi]

Al termine della visione di Omen – L’origine del presagio la mente corre rapida al nome della regista, Arkasha Stevenson, che qui per la prima volta si confronta con un lungometraggio pensato per il cinema dopo un po’ di gavetta per il piccolo schermo. Non c’è dubbio infatti che sia nelle qualità di messa in scena di Stevenson che si possono rintracciare gli elementi più interessanti di questo ritorno sul luogo del delitto, vale a dire il concepimento e la nascita di quel Damien che si paleserà fin dal celeberrimo Il presagio di Richard Donner (“vecchio” oramai di quarantotto anni) come l’Anticristo. Stevenson affronta la pugna con indomito coraggio, una buona dose di deliquio visionario, e una lucida crudeltà che fa deflagrare sullo schermo fin dalla primissima sequenza, l’incipit che permetterà alla storia di prendere l’abbrivio, e nella quale un cranio di prelato viene orribilmente sfigurato, sfondato, ridotto a ghigno terrificante e sanguinolento. A fronte di una pletora di cineasti dediti all’horror che potrebbero senza alcun problema dirigere una commediola senza arte né parte, visto e considerato quanta poca dimestichezza abbiano con il genere, viene naturale applaudire l’esordio di Stevenson, che con mano sicura affronta i demoni, non solo quelli che giacciono nelle tenebre pronti a ghermire e corrompere la purezza dell’umano, ma anche e soprattutto quelli che erompono da una sceneggiatura a dir poco prevedibile e anche un po’ sciatta. Nella visione Omen – L’origine del presagio riesce almeno in parte a trovare quel riscatto che altrimenti latita, giustificando in pieno i dubbi pregiudiziali di chi non avvertiva alcun tipo di necessità nella realizzazione di un horror che spiegasse per filo e per segno chi effettivamente diede alla luce Damien, scambiato poi nella culla con il figlioletto nato morto di Robert Thorn, diplomatico statunitense a Roma e futuro ambasciatore degli Stati Uniti in Gran Bretagna.

Il “problema” più evidente della sceneggiatura scritta dalla stessa regista insieme a Tim Smith e Keith Thomas – che con il contesto demoniaco si era già confrontato all’epoca del suo debutto come regista con The Vigil – Non ti lascerà andare – risiede nella pretesa di un mistero e di una sorpresa che chiunque abbia un minimo di confidenza con il genere ha già risolto all’apparizione in scena della protagonista, la statunitense Margaret Daino (Nell Tiger Free) che raggiunge Roma per prendere i voti all’orfanotrofio Vizzardeli. Non c’è neanche bisogno di aver visto il film di Donner per capire esattamente a chi accadrà cosa, e quali tumulti tale evento andrà a provocare. Proprio per la meccanicità di una scrittura che sembra troppo interessata al marchingegno per rendersi conto che i suoi personaggi dovrebbero possedere almeno un minimo di vita, visto che il senso logico latita, risulta determinante la già citata capacità della regista di maneggiare con cura un materiale in ogni caso rischioso. Sequenze come quella in cui un personaggio viene letteralmente spiaccicato contro un muro fino a spaccarsi a metà colpiscono lo sguardo, e non sono affatto usuali di una produzione mainstream che negli anni si è fatta sempre più edulcorata, priva di asperità perfino nel genere che sulle efferatezze basa la propria essenza. Peccato che invece il milieu culturale che Omen – L’origine del presagio vorrebbe andare a indagare, quello di una Chiesa in rinnovamento che non sa più trovare nel caos politico-sociale post-sessantottino un proprio ruolo sensato – al punto da desiderare l’esistenza della figura antinomica per eccellenza a Gesù Cristo – si riduca a un’illustrazione sbiadita e semplicistica di quegli anni.

La rappresentazione delle manifestazioni dell’epoca è all’acqua di rose, così come al limitar del ridicolo è la sequenza in discoteca – da cui tutto il male principierà davvero. La Hollywood di oggi, al di là dei soliti nomi noti, non sa confrontarsi con il passato senza piegarlo con forza alle necessità dell’oggi, del contemporaneo, e questa pretesa temporalità in un film che dovrebbe tendere alla messa in scena del sovrannaturale eterno (la luce di Dio contro quella delle tenebre, almeno sulla carta) suona in modo sinistramente stridente. In questo senso l’apoteosi la si raggiunge nella scelta finale, che qui si evita di raccontare nel dettaglio, che àncora con forza Omen – L’origine del presagio alle discussioni odierne, e alle necessità di una narrazione che sappia dimostrarsi attuale. Così mentre un tracciato narrativo conduce diritti diritti dalle parti del film del 1976, l’altro sembra correre al 2024, e alle temperie dell’oggi. Infine sarebbe stato più interessante che il film scavasse nelle profondità dell’accettazione/negazione del desiderio sessuale, elemento che emerge in più punti del racconto ma resta in qualche modo sempre in superficie, senza che l’Anticristo trovi una sua naturale opposizione non nel divino, ma nel carnale, come invece Stevenson in più punti sembra suggerire.

Info
Omen – L’origine del presagio, il trailer.

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