Voice

Presentato al Far East Film Festival 26, Voice è il nuovo lavoro della regista Yukiko Mishima, un film a episodi dove la contemplazione dei paesaggi e della natura fa da sfondo a traumi del passato che hanno segnato la vita dei diversi personaggi. Non il miglior film della regista che restituisce reali storie di sofferenza, ma scadendo spesso nel didascalico e con scelte di regia a volte gratuite.

Nanni che visse due volte

Hokkaido: un’anziana donna, nata uomo, vive in riva a un lago dove molto tempo prima è stato ritrovato il corpo di sua figlia. Una riunione famigliare farà emergere i fantasmi del passato della famiglia. Prefettura di Tokyo: un uomo di mezza età vive su un’isola, guadagnandosi una vita come pastore di bestiame. Ha cresciuto da solo la sua unica figlia dopo aver perso la moglie in un incidente. Un giorno, la figlia torna a casa, apparentemente incinta ma non disposta a dare spiegazioni. Osaka: una donna che è stata violentata da bambina va a Osaka per la prima volta dopo molto tempo per partecipare al funerale del suo ex fidanzato, qui troverà uno strano gigolò cui racconterà del suo blocco sessuale conseguente all’abuso subito da bambina. [sinossi]

Un cinema di esistenze vissute, di donne, di famiglie, alle prese con una quotidianità spesso irta di sofferenze, quello di Yukiko Mishima che presenta la sua nuova opera, Voice, al Far East Film Festival 26. Si tratta di un film a episodi, tre più un epilogo, aventi in comune storie di traumi del passato, colpi durissimi dalla difficile rielaborazione, che accompanano i protagonisti per tutta la loro vita. Situazioni che la regista ha concepito basandosi sulla sua esperienza personale, di un abuso subito quando era bambina. In tutti e tre gli episodi abbiamo delle famiglie tronche secondo la tradizione classica del cinema nipponico, manca la figlia nel primo, la madre nel secondo mentre nel terzo si celebra il funerale di un uomo che è morto prima di diventare padre. Il film racconta le storie di Maki (interpretata dalla storica attrice transgender Carrousel Maki), anziana donna che era nata uomo e che ha fatto la transizione di sesso probabilmente per sfuggire a quel genere maschile responsabile dell’abuso e della morte della figlia; di Umi, che torna nell’isola della sua vita, incinta, affrontando il padre che l’ha allevata da solo a seguito della morte della madre; di Reiko che ha subito un terribile abuso sessuale da bambina, che le ha provocato un blocco della vita sessuale, come confessa al gigolò che ha incontrato dopo il funerale del suo ex-fidanzato di cui si dice essere morto prima di diventare padre. Yukiko Mishima empatizza per i suoi personaggi, ottimamente scritti, con uno spessore concreto, ben oltre la funzione narrativa. Sa centellinare la narrazione a gradi, per rivelare le oscurità che albergano nelle anime dei personaggi. Nel primo episodio, per esempio, si parte dal momento in cui la figlia chiama padre la madre, per sfida, rivelando così la sua condizione transgender. Il primo e il terzo episodio hanno in comune il tema degli abusi sessuali sui minori: lo stesso nome, Reiko, accomuna i due personaggi che sono state vittima, la figlia defunta nel primo e la protagonista del terzo.

Il Giappone che racconta la regista in Voice è ancora un Giappone dove sopravvive la tradizione, che spesso offre un rifugio alle pene umane, così come la natura, alle traversie dell’esistenza che funzionano secondo atti formali, i moduli di divorzio, il consenso a spegnere le macchine che tengono in vita una persona in coma. Maki vive in una casa bianca, sperduta nella campagna dell’Hokkaido, e passa il tempo a scrivere haiku, mentre in occasione della riunione famigliare, prepara uno spettacolare banchetto nella tradizione estetica nipponica, i piatti che piacevano a Reiko, i cui ingredienti, alga kombu, radice di loto, ricorrono nelle filastrocche, anche in un legame che vede il cibo come elemento della vita, come pure la morte, un tema sviluppato per esempio nel film cult Tampopo. Così come i tradizionali tamburi taiko hanno un ruolo nel secondo episodio. Nel terzo è il cinema italiano a subentrare come sottotesto culturale, Totò e Nanni Moretti, citato per La stanza del figlio, film incentrato sull’elaborazione del lutto.

Mare, laghi, isole e navi, paesaggi naturali sono protagonisti del film. Yukiko Mishima filma la natura imponente anche con i droni, mentre riserva la macchina a mano instabile per sottolineare le sofferenze e la precarietà umane. Sottrae il colore nel terzo episodio, il bianco e nero, giocando sul ruolo simbolico dei fiori di bocca di leone, richiamati per una loro appariscenza cromatica che viene negata nei gradi di grigio. Voice appare un film perfettamente inserito nel cinema giapponese contemporaneo, nonostante i debiti che vuole dichiarare con il cinema italiano. Il film a episodi segue il solco di Il gioco del destino e della fantasia, mentre i traumi del passato richiamano quelle tempeste della vita centrali nel cinema di Kore-eda. Il film, tuttavia, soffre di eccessi di didascalismo e di situazioni ‘telefonate’ e ridondanti, come l’insistenza del racconto dell’abuso da parte della Reiko del terzo segmento, di scelte di regia a volte facili semplicistiche, come lo stesso bianco e nero del terzo episodio. Indigeribile in tal senso la citazione morettiana, nella banalità poi di omaggiare un cinema citando a caso il regista romano insieme a Totò.

Info
Voice sul sito del Far East.

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