Furiosa: A Mad Max Saga

Furiosa: A Mad Max Saga

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Le rocambolesche avventure dalla giovane protagonista si offrono come metafora di un mondo infiammato dalla guerra, oggi come domani, in Furiosa: A Mad Max Saga quinto capitolo del franchise ideato e diretto da George Miller. In sala e in anteprima a Cannes 2024.

Ci sarà sempre una guerra

Mentre il mondo va in rovina, la giovane Furiosa viene strappata dal Luogo Verde delle Molte Madri, e cade nelle mani di una grande Orda di Motociclisti guidata dal Signore della Guerra Dementus. Attraversando le Terre Desolate, si imbattono nella Cittadella presieduta da Immortan Joe. Mentre i due tiranni si battono per il predominio, Furiosa deve sopravvivere a molte prove e mettere insieme i mezzi per trovare la strada di casa. [sinossi]

Guerra e speranza. È intorno a questi due cardini, così ineludibilmente umani, che oscillano il racconto e al tempo stesso il senso e il monito – semplici, essenziali e sempre attuali – di Furiosa: A Mad Max Saga, quinto episodio del franchise ideato e diretto da George Miller. Prequel dell’ottimo Fury Road (2015), questo nuovo capitolo della saga, come il precedente presentato fuori concorso a Cannes, mira a ricostruire il passato del personaggio che lì era emerso come centrale, nella sua tragica e crepuscolare essenza: quello di Furiosa (Charlize Theron). L’incipit del film ci trasporta subito, e senza far ricorso a verbosi resoconti, in un mondo post atomico ridotto a una vasta e desertificata wasteland, dove però sussiste ancora, protetta e celata ai più, un’oasi edenica. È proprio qui che troviamo Furiosa bambina (Alyla Browne), intenta a cogliere da un albero una pesca, ed è solo pochi istanti dopo che la piccola viene rapita da una gang di motociclisti e poi condotta al cospetto di colui che diventerà il suo padre putativo, o almeno tale lui si ritiene, il perfido, ma altrettanto ridicolo Dementus (un irresistibile Chris Hemsworth, con naso posticcio e orsacchiotto di peluche alla cintura). 

Non c’è niente di peggio di un leader demente, questo è il primo monito che Miller e il suo co-sceneggiatore Nick Lathouris vogliono trasmettere, insieme al concetto che con ogni probabilità ogni leader folle, determinato e guerrafondaio è portatore insano di un germe di demenza. Ogni riferimento all’attualità o al passato dell’uomo non è affatto casuale, in questo racconto che dal rapimento della protagonista innesca il suo rocambolesco percorso di formazione. Furiosa viene infatti poi ceduta, sempre in schiavitù, al pallido sovrano della Cittadella Immortan Joe (Lachy Hulme) – il villain di Fury Road – in cambio, Dementus diventa sovrano in un altro ambito avamposto: Gastown, una preziosa riserva e raffineria di carburante. Destinata a diventare moglie e procreatrice per la dinastia di Immortan Joe, la piccola Furiosa fugge dall’harem e si traveste da maschio, diventa esperta meccanica e poi (ora incarnata da Anya Taylor-Joy) si nasconde sulla lucente cisterna che è destinata a fare la spola tra la Cittadella e Gastown, trasportando alternativamente cibo e benzina. È proprio durante il primo viaggio di questo lucente e rumoroso veicolo che Furiosa: A Mad Max Saga offre allo spettatore una sequenza d’azione memorabile, orchestrata e coreografata con una inventiva che appare quasi inesauribile. Non tutto il film, va detto, serba gemme come questa, e il fatto che la sequenza arrivi dopo un’ora e mezza è sintomatico di una grandeur narrativa – la ricostruzione fin troppo dettagliata delle avventure di Furiosa bambina – non sempre e non così perfettamente funzionale (qualche ellissi lascia a desiderare) allo spettacolo audiovisivo. Già perché l’audiovisione è proprio il fulcro irrorante piacere spettatoriale nella saga tutta e in questo film, dove polvere, cigolii metallici, rombi di motore, ingranaggi e costumi dall’estetica steampunk fanno da corollario a un’umanità degenerata moralmente e geneticamente, dove tra l’altro, all’eden matriarcale si oppone la gustosa satira di una virilità degradata. Oltre al pericoloso e difettoso Dementus, che è parimenti crudele e ridicolo, si segnalano infatti anche i problemi respiratori di Immortan Joe, gli strani tic del suo calvo ciambellano, un simil-Churchill sempre intento a titillarsi i capezzoli, e infine, la progenie di Joe non sembra tanto brillante, intellettualmente parlando, anche se i due rampolli portano i nomi altisonanti di Scrotus e Rictus Erectus.

D’altronde qui l’eroina è femmina, femminile è il suo eden perduto, e anche la sua missione futura, quella di portare in salvo le concubine dell’harem di Immortan Joe. Ma al di là dei futuri sviluppi della storia, cui abilmente il finale di Furiosa: A Mad Max Saga si riconnette, la novità di questo capitolo della saga milleriana risiede forse in un più netto monito contro la guerra, ogni guerra, passata o futura. La toponomastica dei luoghi dopotutto è abbastanza chiara: c’è un eden perduto e poi ci sono una Cittadella abitata da sudditi pronti al sacrificio, dei pericolosi kamikaze dunque, c’è una Gastown dove si estrae e raffina il carburante, infine un luogo chiamato Bullet Farm, dove si fabbricano le armi. Tre luoghi che ben simboleggiano ragioni e dinamiche di tanti conflitti, cui sola si oppone la speranza di un ritorno al paradiso terrestre. È che va avanti da sempre l’umanità, sembra volerci ricordare Miller, perché due sono i poli opposti eppure necessari nella storia dell’uomo: l’eden e la devastazione, senza la quale la speranza non ha ragione di sussistere, e nemmeno gli eroi ne hanno. E il mondo, si sa, ha sempre bisogno di eroi.

Info
Furiosa: A Mad Max Saga, il trailer.

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