La signora del venerdì

La signora del venerdì

di

Seconda delle tre trasposizioni della commedia di Ben Hecht e Charles MacArthur, His Girl Friday (La signora del venerdì) è forse la migliore per costruzione dei personaggi e gioco attoriale (Rosalind Russell e Cary Grant, affiatatissimi), per quelle sventagliate di parole che non danno respiro e, non ultimo, per il cinismo che promana da ogni singolo fotogramma. Cinismo che Howard Hawks non fa nulla per addolcire e che ha degli obiettivi precisi: i giornali e la politica.

In principio fu il verbo

Walter Burns, direttore di un giornale, usa tutti i trucchi che conosce (e ne conosce parecchi…) per impedire alla sua ex moglie, Hildy, talentuosa reporter, di licenziarsi e di risposarsi con il provinciale Bruce Baldwin. A tale scopo, le affida come ultimo lavoro un’intervista esclusiva al condannato a morte Earl Williams sperando di stuzzicare la sua ambizione e di convincerla a tornare con lui. [sinossi]

Pare che Billy Wilder non amasse affatto il suo terzultimo film, quel Prima pagina (The Front Page, 1974) che era poi la terza trasposizione del testo teatrale scritto nel 1928 da Ben Hecht e Charles MacArthur. Si potrebbe tutt’al più rimproverare al film di essere uscito fuori tempo massimo, in piena New Hollywood, tuttavia, oggi come oggi non può che svettare, a fronte del miserando stato di salute in cui versa la commedia hollywoodiana, grazie anche a una delle più grandi accoppiate attoriali di tutti i tempi: Jack Lemmon e Walter Matthau. C’è da dire, comunque, che i battibecchi fra Cary Grant e Rosalind Russell nella versione precedente, La signora del venerdì, di cui qui ci occupiamo, non sono da meno, sicuramente più memorabili di quelli fra Adolphe Menjou e Pat O’Brien nella prima trasposizione della commedia ad opera di Lewis Milestone (The Front Page, 1931). Rispetto alle altre due versioni, il film di Hawks apporta due importanti cambiamenti: il primo è il titolo, che si discosta da quello del testo di partenza (ci torneremo su a breve); il secondo risiede nel fatto che il personaggio di Hildy Johnson diventa una donna, resa immortale dalle fattezze e dal brio di una Rosalind Russell all’ennesima potenza (memorabile, fra le altre cose, anche per gli abiti disegnati per lei da Kalloch), in perfetto affiatamento con il Walter Burns di Cary Grant.

Ma com’è venuto in mente a Hawks di fare questo decisivo cambiamento? Fu lui stesso a raccontarlo a Peter Bogdanovich: “Una sera volevo dimostrare a qualcuno che The Front Page contenesse il miglior dialogo moderno mai scritto, ho chiesto a una ragazza di leggere il ruolo di Hildy e io ho letto quello dell’editore, poi mi sono fermato e ho detto: «Diavolo! È meglio tra una donna e un uomo che fra due uomini», così ho telefonato a Ben Hecht e gli ho chiesto: «Cosa ne penseresti di cambiare il testo facendo in modo che Hildy Johnson fosse donna?». Mi ha risposto: «È un’idea formidabile». E così realizzammo il film”. Dunque Hawks fa di Hildy l’ex moglie di Burns, riproponendo una situazione simile a quella fra Carole Lombard e John Barrymore che battibeccavano per tutto il tempo sul treno di Ventesimo secolo (Twentieth Century, 1934). Altra variazione importante è il ruolo affidata a Cary Grant (qui al terzo dei suoi cinque film con Hawks), rispetto a quello del timido dottor David “Bone” Huxley di Susanna (Bringing up Baby, 1938): Walter Burns, l’editore capo, è un uomo cinico e sbrigativo, interessato solo al suo giornale. Infatti nelle altre versioni di The Front Page non c’è dubbio che le macchinazioni di Burns siano concepite con l’unico scopo di riavere indietro il suo valente redattore Hildy (diminutivo di Hildebrand), qui Hawks gioca sull’ambivalenza creata dal doppio legame che c’è tra la sua Hildy (diminutivo di Hildegard) e l’editore. Ciononostante neanche il finale romantico riesce a dissipare il dubbio che Burns rivoglia indietro più la sua redattrice che non sua moglie. A questo dubbio contribuisce non poco il titolo originale, tradotto malamente dai titolisti italiani, che rifacendosi al Robinson Crusoe di Dafoe e al servo indigeno del protagonista, Venerdì, fa di Hildy la “sua serva fedele”, cioè di Burns. Più che un dubbio, una certezza!

Ma oltre alla questione del titolo, è un diffuso cinismo a dominare tutto il film. Pensiamo soltanto alla disparità di peso fra i due fili principali della trama: la situazione ingarbugliata fra i due ex coniugi ed ex colleghi, che esige ovviamente una soluzione, e quella del fuggitivo Earl Williams, un poveraccio infermo di mente, manovrato come una pedina tanto dai cronisti quanto dai politicanti. Come fece notare Robin Wood nella sua monografia (1968) sul regista nativo dell’Indiana, nell’ultima parte del film, mentre assistiamo alle lunghe schermaglie più o meno amorose tra i due protagonisti nella sala stampa del penitenziario, il povero Williams se ne sta sdraiato, chiuso dentro l’anta ribaltabile di una scrivania: la macchina da presa non la perde mai di vista, proprio come la cassapanca di Hitchcock in Nodo alla gola (Rope, 1948). Come spettatori, pur consapevoli, ridiamo ugualmente di gusto alle fulminee e scoppiettanti battute che si susseguono senza sosta, ma non senza un retrogusto di disagio, come se non fosse poi così lecito ridere, dal momento che un uomo rischia di morire in un modo o nell’altro (soffocato, ucciso a colpi d’arma da fuoco o giustiziato). Wood non sarebbe d’accordo, ma è proprio nell’adesione incondizionata del regista all’immoralità dei suoi tempi (che ricordano tanto anche i nostri), nella sua prospettiva mimetica, “dal di dentro”, che risiede la sua posizione morale: anziché un pistolotto moralistico, uno specchio in cui riflettersi.

Questa adesione hawksiana al cinismo e all’immoralità del contemporaneo passa attraverso l’impero della parola. Il dialogo, qui, è il vero protagonista, dall’inizio alla fine. Un dialogo talmente fitto e inestricabile, dominato dall’overlapping, come una inarrestabile serie di raffiche di mitragliatrice che, come notarono i critici dei Cahiers, quasi prescindono dal contenuto, per farsi puro suono, puro ritmo, pura espressività, esigendo dagli attori un tour de force fisico davvero impressionante. Ma non va dimenticato che questo dialogo-mitragliata viene usato dai personaggi come una vera e propria arma per disorientare gli interlocutori, per stordirli e circuirli, proprio come farà poi la supercazzola del conte Mascetti nella serie di Amici miei (Mario Monicelli, 1975). Un’arma della quale sia Burns che Hildy sono perfettamente padroni. I loro colleghi non sono all’altezza, pur essendo ben allenati. Risulta assai crudele e niente affatto comica la scena in cui Molly Malloy (Helen Mack), la ragazza del fuggitivo Earl Williams, si reca disperata nella sede del giornale per protestare contro alcuni cronisti per il modo sensazionalistico con cui stanno trattando il caso. Questi, del tutto indifferenti (almeno all’inizio), continuano a giocare a carte, senza degnarla di uno sguardo, facendola anzi oggetto di un sarcasmo ingiurioso. Più tardi, nella sala stampa, la donna si getterà dalla finestra, rimanendo fortunatamente illesa: ma non per questo il suo gesto giunge meno inaspettato e drammatico, nell’economia di una commedia. Questo cinismo dilagante si allarga ovviamente alla politica, qui rappresentata dal personaggio abietto del sindaco, pronto a tutto pur di essere rieletto, anche a far uccidere Williams prima che venga resa nota la grazia concessagli dal governatore.

A spiccare per innocenza, oltre a Williams, è invece il malcapitato Bruce Baldwin (Ralph Bellamy): un uomo di provincia, umile e modesto ma sincero, che altro non vuole che sposare Hildy, ma che, dopo essersi scontrato ad armi impari con l’astuzia di Burns e l’ambizione di Hildy, se ne tornerà ad Albany con un pugno di mosche. Mentre la promessa di ben due settimane di luna di miele, fatta a Hildy da Burns sul limitare dell’happy end, sta per essere di nuovo infranta all’insorgere di un nuovo possibile scoop…

La signora del venerdì (sceneggiato da Charles Lederer), tra i risultati più alti e compiuti della screwball comedy degli anni d’oro, si pone al tempo stesso come un atto di accusa solo apparentemente faceto, nondimeno feroce, nei confronti del quarto potere, quello della stampa sul quale un anno dopo Orson Welles poserà la lapide definitiva, subito seguito, sebbene con meno incisività (ma anche con altre ambizioni e intenti), dal Frank Capra di Arriva John Doe (Meet John Doe, 1941).

Info
La signora del venerdì sul sito della Biennale.

  • la-signora-del-venerdi-his-girl-friday-1940-howard-hawks-04.jpg
  • la-signora-del-venerdi-his-girl-friday-1940-howard-hawks-03.jpg
  • la-signora-del-venerdi-his-girl-friday-1940-howard-hawks-02.jpg
  • la-signora-del-venerdi-his-girl-friday-1940-howard-hawks-01.jpg

Articoli correlati

Array
  • Venezia 2024

    Venezia 2012Venezia 2024 – Minuto per minuto

    Venezia 2024 festeggia le ottantuno edizioni della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, muovendosi nel solco delle idee di festival del direttore Alberto Barbera, per il tredicesimo anno consecutivo (e il sedicesimo in totale) alla guida della kermesse lagunare.
  • Venezia 2024

    Venezia 2024

    Con Venezia 2024, ottantunesima edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, nonostante il cambio di direzione alla Biennale Alberto Barbera conferma la sua idea di festival, e di ricerca cinematografica.
  • Festival

    Venezia 2024 – Presentazione

    È stata presentata con una conferenza stampa in streaming la programmazione di Venezia 2024, ottantunesima edizione della Mostra. La kermesse lagunare saldamente nella mani di Alberto Barbera da tredici anni prosegue nell'idea festivaliera già espressa.
  • Festival

    Venezia Classici 2024, il programma

    È stato presentato il programma di Venezia Classici 2024, la sezione della Mostra di Venezia dedicata ai restauri in digitale di capolavori del passato più o meno recente: da Michelangelo Antonioni a Frederick Wiseman un tuffo nella storia del cinema.
  • Classici

    susanna! recensioneSusanna!

    di La più svitata delle screwball comedy degli anni Trenta, nel fondamentale apporto al genere dato da Howard Hawks, e grande successo della RKO: Susanna! è un film dal ritmo scoppiettante, dalla grande rapidità dei dialoghi brillanti, dal susseguirsi di equivoci e situazioni comiche.
  • Buone feste!

    un dollaro d'onore recensioneUn dollaro d’onore

    di Tra i western più acclamati, omaggiati e plagiati di ogni tempo, Un dollaro d'onore può essere letto come una risposta polemica a Mezzogiorno di fuoco. Al di là di questo Howard Hawks firma uno dei suoi capolavori.