Arsa

Arsa

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Da sempre affascinati dalla natura più selvaggia, e in particolare da quella insulare, i Masbedo rivelano anche con Arsa la seduzione per le forme cangianti della natura, facendole riverberare in quelle della loro giovane attrice. Ma alla fine non riescono a trovare la profondità e il bello rimane tutto in superficie. In Freestyle al Roma Film Fest.

Non è bello ciò che è bello…

Arsa ha circa diciotto anni, è bella, chiusa e selvatica. Vive da sola in una capsula fatiscente che guarda sul mare, da qualche parte lungo il perimetro di un’isola. In questo paesaggio si muove sicura, è qui che ha costruito il suo mondo sospeso. Il canneto è la soglia tra il suo spazio di solitudine e la vita sociale dei turisti che osserva a distanza. Un giorno arrivano sull’isola tre ragazzi in vacanza che prendono una casetta in affitto. All’improvviso il mondo di Arsa viene invaso, Andrea, uno dei ragazzi, soggiogato dalla figura enigmatica di Arsa, tenta di migrare nel suo mondo e scopre il suo desiderio sconvolgente… [sinossi]

Arsa. Ars-a(mandi)? Colei che impara ad amare dopo aver vissuto per anni in solitudine. Oppure, più banalmente, arsa in quanto bruciata dal sole e dalla salsedine, spettinata dal vento. Selvatica. Il gruppetto di giovani turisti capitati sull’isola, venuti a contatto con questa ragazza selvaggia, solitaria e scostante, a loro volta giocano a scovare l’origine e il significato del suo nome cercandolo su internet. Arsa, che vive da sola in un’isola innominata (il film è girato a Stromboli), tra una baracca e una capsula che sembra la cabina di un piccolo aeroplano bimotore, è cresciuta da sola dopo la scomparsa del padre, scultore di statuine per turisti a catena di montaggio, fiaccato dalla ferocia gretta e meschina del suo capo (il solito luciferino Tommaso Ragno). Il quale gli fa notare senza mezzi termini che ci mette troppo impegno, che si distrae troppo, che sbaglia a cercare di creare qualcosa di bello, laddove il suo compito, la ragione per cui viene pagato, è solo quella di fabbricare oggetti che sembrino belli agli occhi degli acquirenti. La bellezza, dunque, per essere appetibile, per essere prezzabile, smerciabile, deve solo sembrare bella, non esserlo. Il secondo lungometraggio a soggetto dei video-artisti e documentaristi Masbedo (al secolo Nicolò Massazza, milanese, e Iacopo Bedogni, ligure) a dieci anni di distanza, sembra discendere direttamente dall’esordio The Lack (2014), e per la precisione da una di quelle sei attrici, Nour (interpretata da Gloria Bulgari), alla quale l’attrice che interpreta Arsa somiglia anche fisicamente. Da sempre affascinati dalla natura più selvaggia, e in particolare da quella insulare (hanno girato cortometraggi e documentari tra Islanda, Sicilia, Pantelleria, e Lanzarote), rivelano anche qui la seduzione per le forme cangianti della natura, del mare, dell’erba e del vento, facendole riverberare in quelle della loro giovane attrice, la romana e figlia d’arte Gala Zohar Martinucci, che appare a tratti nuda o seminuda, accarezzata dalla penombra e dal suo stesso desiderio di fanciulla in fiore. Arsa, fiore selvaggio.

Ora, però, come si rapporta il duo di registi – coadiuvati in sede di sceneggiatura dallo scrittore Giorgio Vasta, già collaboratore di Emma Dante – a questo delicato racconto di formazione, a questa educazione sentimentale incompiuta, da un punto di vista narrativo ed estetico? La trama è esile, le ellissi abbondano – soprattutto quelle relative a certi accadimenti del passato – l’intera figura di Arsa è costruita come per intaglio sulla natura circostante: un modo autonomo, come un circuito chiuso, nel quale irrompono questi tre amici che non possono che costituire una controparte prosaica e “rumorosa”: parlano troppo, dicono sciocchezze, non hanno il senso della natura e forse neanche di se stessi. Era in partenza uno scontro interessante, ma quello che alla fine ne emerge lo è assai di meno. I dialoghi tra i ragazzi, più che prosaici sono scialbi, irrisori, da fiction TV di prima fascia; oppure si fanno all’improvviso gravi, battute di una serietà stentorea che non riescono mai a dare spessore a chi le pronuncia. Ma a ben vedere, le stesse immagini della natura, che dovrebbero essere punta di diamante dell’armamentario artistico dei Masbedo, finiscono il più delle volte per apparecchiarsi come una sfilata di cartoline patinate, immagini che tracimano di poeticismo, di calligrafismo, che strizzano l’occhio a un bello “pubblicitario”, di superficie, con cui viziare e “accomodare” il pubblico: un bello, appunto, che sembri bello, ma che del bello non cattura la reale profondità, la tridimensionalità. Un bello che però non basta a lasciar traccia di sé, a incidersi nella retina e nella memoria. Sul piano delle immagini, in Arsa c’è la leggerezza magari anche un po’ malinconica dell’itinerario turistico organizzato, mentre manca lo splendore del viaggio e della scoperta, che invece riusciva a emergere, se non sempre, a tratti, in altri lavori del duo (ad esempio nel bel corto Il mondo non è un panorama, 2006, da Michel Houellebecq). Rimane all’attivo la bellezza schiva e un po’ timida di Gala Zohar Martinucci, la sua grazia al tempo stesso seducente e acerba, che ci auguriamo venga messa meglio a frutto in futuro.

Info
Arsa sul sito ufficiale di Masbedo.

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