The Well

Con The Well Federico Zampaglione torna all’horror a un decennio di distanza da Tulpa – Perdizioni mortali, e si propone come immateriale essenza utopica di un’epoca che non sa più guardare l’orrore, né lo sa più davvero trattare. Un lavoro di resistenza contro la marea montante, senza poter contare su mezzi produttivi forti ma abbarbicandosi all’idea.

I segreti dei Foschi Malvisi

La protagonista è Lauren LaVera nei panni di Lisa Gray, una giovane restauratrice, figlia d’arte, che si reca in un piccolo villaggio italiano per portare al suo antico splendore un dipinto medievale. Lei non lo sa, ma metterà la sua vita in pericolo a causa di una maledizione legata al dipinto e di un mostro creato e nutrito dal dolore più estremo, imprigionato sul fondo di un pozzo. [sinossi]

Parte da uno dei τόπος del gotico, Federico Zampaglione, vale a dire la magione antica e dai fasti vetusti che nasconde segreti che solo l’occhio di chi restaura – e dunque ridona vita a ciò che fu – può ancora cogliere, anche se ovviamente sarebbe meglio lasciare tutto com’è, insabbiato, polveroso, dimenticato. Perché quando l’orrore risorge non c’è più luogo sicuro per niente e per nessuno. Era così ne La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati, cui in maniera quasi inevitabile Zampaglione guarda, ma era già così a ben vedere oltre due secoli prima, quando Horace Walpole diede alle stampe Il castello di Otranto, universalmente considerato il capostipite della letteratura gotica moderna. Ed è interessante che qui ritorni anche il cineasta romano, che si riappropria con The Well dell’immaginario del terrore oltre dieci anni dopo l’affascinante e ingiustamente bistrattato Tulpa – Perdizioni mortali (in mezzo aveva fatto la sua apparizione Morrison, incentrato sull’altra passione/occupazione di Zampaglione, vale a dire la musica); un regista che ha sempre visto nelle dinamiche del genere non un modo per affrontare questioni universali ma uno spazio di totale libertà in cui poter dar sfogo alle pulsioni, ma anche a ciò che è stato introiettato, e forse non completamente digerito. Anche per questo è un peccato che The Well riesca a trovare una propria collocazione in sala solo all’inizio di agosto, quando una parte non indifferente di esercenti ha deciso di abbassare le saracinesche e godersi qualche settimana di ferie, e le attenzioni del pubblico riescono a concentrarsi al massimo su uno o due titoli, in forma esclusiva d’oltreoceano. Non insegue l’horror di oggi, Zampaglione, e non è affatto casuale che il suo sesto lungometraggio in sedici anni di attività sia ambientato negli anni Novanta, un modo per ribadire l’estraneità al contemporaneo da parte del cineasta. Non insegue l’horror di oggi, e ancor meno sembra attratto dalle sirene statunitensi, The Well, che invece una volta di più rivendica un ancoraggio alla stagione d’oro della produzione nazionale, ai Freda, ai Bava, agli Argento, ai Fulci – e chi più ne ha più ne metta. Non una mera questione citazionista, per quanto sia facile per chi fosse un appassionato cultore di rimandi interni o di riprese del già fruito imbattersi in rievocazioni di opere del passato, ma un posizionamento poetico, e finanche politico (politica delle immagini, ça va sans dire).

Con i primi anni Novanta si chiuse in modo definitivo la stagione del cinema di genere, quella capacità di sopperire alle deficienze economiche con l’inventiva, grazie a un lavoro artigianale che ancora riusciva a coinvolgere il pubblico, a essere ritenuto “credibile”. Così il fatto che la trista avventura cui va incontro la giovane Lisa Gray si svolga proprio in quel periodo storico, prima dell’irruzione devastante e incontrollata del digitale, e del suo strapotere impossibile da mettere oramai in discussione, assume una valenza ben più stratificata di quello che può apparire a uno sguardo superficiale. E se è vero che non è intenzione di Zampaglione uscire mai dai binari del racconto per lanciarsi in metafore o altre figure retoriche, è altrettanto vero che ogni stilla di The Well urla al mondo la sua atemporalità, l’appartenenza a un non-luogo-non-tempo che non accetta i diktat espressivi dell’oggi. Anche per questo il profluvio di efferatezze cui si lancia il cineasta, coadiuvato in fase di scrittura da Stefano Masi, non può che essere accolto con soddisfazione, anche quando tracima, va oltre, esagera. Zampaglione non ha bisogno di sangue digitale, gli effetti li sa ancora maneggiare in modo tattile – come testimonia l’eccellente lavoro prostetico, che cede solo in alcuni momenti – e sa innalzare peana cinematografici all’essenza materica delle cose. Per il resto, in una narrazione che sa tenere desta l’attenzione del pubblico pur senza dirazzare mai da un canone espressivo cui sembra guardare con occhio fedele il regista, The Well si articola come un horror italiano di quarant’anni fa, con Zampaglione che sa far confluire nella naturalezza del racconto qualche sapida nota autobiografica che smuove al sorriso, ma che non appesantisce mai l’insieme.

Il mostruoso sarà pure un riflesso dell’animo oscuro degli esseri umani ma trova la sua glorificazione attraverso l’immagine, e la rappresentazione: questa la dichiarazione d’intenti di Zampaglione, che si muove nella più totale libertà espressiva senza mai perdersi in un caos anarchico. Certo, quel mondo dell’orrore è morto, e non basta ricreare creature infernali per riportarlo in vita: c’è anche questa cupa amarezza a filtrare dalle pieghe di The Well, opera mortuaria e pessimista ben più di Shadow o Tulpa, e che non crede più in una resurrezione di un genere che non appartiene più all’oggi italiano. Nessun giovane produttore lo sa affrontare con reale consapevolezza, nessuna pallida idea di industria sa trasformare l’episodio casuale in prassi. Il restauro può anche essere portato a termine, ma resta l’impotente vestigia di un’arte defunta, abbandonata, ricoperta di calcinacci. In questo senso, e con questa prospettiva, c’è persino modo di commuoversi durante la visione di The Well, perché tra segrete e laboratori dove si sviluppa il “male” (una intelligente rivisitazione frediana, a ben vedere) riemerge l’urlo disperato e violentissimo di un cinema che non ha più diritto d’essere in questa nazione – come dimostra il divieto ai minori di diciotto anni. Nella sua libertà costitutiva Federico Zampaglione è forse l’unico che oggi si permette ancora di credere a un cinema ideato e fatto come decenni or sono, annullando dunque il tempo, e negando il presente. Ed è questa una forza che non può essere sottostimata.

Info
Il trailer di The Well.

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