Non-dit

Non-dit

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Le dinamiche psicologiche della coppia raccontata da Non-dit sono oramai ampiamente conosciute, ma nella prima parte del lungometraggio, la più convincente, la regista belga riesce a darne una lettura abbastanza personale, nonché interessante. In concorso al 26° Torino Film Festival.

Incomunicabilità

La quattordicenne Lisa è scomparsa senza alcuna ragione plausibile. Per i suoi genitori, Lukas e Grace, le speranze di rivederla, a cinque anni dall’accaduto, sono ormai ridotte al minimo e il silenzio che li divide evita loro di dover affrontare il dolore del passato e del presente. Ma improvvisamente Lisa sembra riapparire nelle loro vite. Grace non parla a Lukas della ragazza che vede spesso in metropolitana e Lukas tace sulle strane telefonate che riceve, ma, che lo vogliano o no, Lisa si è nuovamente insinuata nelle loro menti… [sinossi]

La giovane regista belga Fien Troch, classe 1978, si era già fatta notare nel 2005 con il suo primo lungometraggio, Someone Else’s Happiness, premiato in vari festival: l’opera seconda Non-dit, in concorso al 26° Festival di Torino, ci consegna una cineasta dalle eleganti scelte visive, palesemente tesa verso un cinema fortemente minimalista, costruito secondo il principio della sottrazione, con le classiche suggestioni di molto cinema francofono. Tra silenzi e intime sofferenze, Fien Troch cerca di indagare quel doloroso periodo dell’esistenza in cui, dopo una grave perdita, le ferite dell’animo iniziano giorno dopo giorno a cicatrizzarsi: un processo lungo, tragico e inevitabile che comporta un duro e onesto confronto con se stessi e con gli altri.
Non-dit gira attorno ai processi psicologici della rimozione e dell’elaborazione del lutto, nelle sue varie forme: Lukas e Grace, genitori che non hanno più notizie da anni della loro figlia quattordicenne (rapita? fuggita? morta?), sono due anime in pena che si stanno lentamente consumando e che non hanno più la forza e la capacità di parlarsi e ascoltarsi. Due vite separate sotto lo stesso tetto, due vite che fingono di incrociarsi solamente negli eventi mondani. Lukas e Grace, come molte altre coppie cinematografiche colpite da un evento tanto traumatico, cercano disperatamente di restare aggrappati alla speranza, al ricordo e, allo stesso tempo, tentano di andare avanti tra mille sensi di colpa.

Le dinamiche psicologiche della coppia raccontata da Non-dit sono oramai ampiamente conosciute, ma nella prima parte del lungometraggio, la più convincente, la regista belga riesce a darne una lettura abbastanza personale, nonché interessante. Insistendo sui primi piani, con una fotografia a tratti molto fredda (opera di Frank Van den Eeden), Troch esalta i volti dei due interpreti, Emmanuelle Devos e Bruno Todeschini, tratteggiando due differenti modi di affrontare il dolore, entrambi realistici. Non-dit si focalizza sui due personaggi, come se fossero rinchiusi in un guscio. Una solitudine destinata a creare un corto circuito, un crollo improvviso.

L’opera seconda della Troch, impreziosita da alcune scelte registiche (il movimento in ralenti da destra a sinista e ritorno della macchina da presa sui volti della Devos e di Todeschini sul “no” di lei alla domanda “avete figli” è una soluzione assai elegante), non riesce purtroppo a reggere tutti i novantacinque minuti, rimarcando inutilmente concetti già espressi e smarrendosi in sequenze forzate (ad esempio, il confronto con il predicatore). Nonostante la solita magistrale prova attoriale della Devos, il film gira su se stesso nella seconda parte, avendo oramai esaurito la sua ragion d’essere. Non-dit, film del non detto e della sottrazione, finisce per ripetersi e quindi paradossalmente dire troppo, accumulando materiale inutile.

Info
La scheda di Non-dit sul sito del TFF.
  • Non-dit-2008-Unspoken-Fien-Troch-01.jpg
  • Non-dit-2008-Unspoken-Fien-Troch-02.jpg

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