Main dans la main

Main dans la main

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Dopo La guerra è finita, Valérie Donzelli torna con Main dans la main, affresco sul coinvolgimento assoluto dell’amore. Alla settima edizione del Festival di Roma.

C’est la vie

Quando Helene Marchal e Joachim Fox si incontrano, le loro vite non potrebbero essere più diverse. Helene, un po’ snob, gestisce la prestigiosa scuola di ballo del Teatro dell’Opera di Parigi. Joachim lavora per un produttore di specchi, lontano dal trambusto di Parigi. Quando le loro strade si incrociano per caso, uno strano potere funziona improvvisamente come un incantesimo su di loro. Senza capire come o perché, non possono più stare separati. Diventa fisicamente impossibile. Se uno lascia una stanza, l’altro segue. E quando uno fa un passo di lato, l’altro si muove con lui… [sinossi]

«C’est la vie!»… Uno di quei modi di dire che con l'(ab)uso si è svuotato del suo significato: un giorno però, quando meno te l’aspetti, quella frase “fatta” inizia ad assumere spessore perché diventa la risposta di un amico nel suo scontro con l’inesorabile evoluzione della vita e della morte. Non si hanno parole quando è la seconda a vincere sulla prima eppure a diciott’anni un ragazzo, con disarmante serenità (di accettazione) risponde: «C’est la vie», mentre l’altro si arrampica a parole di vicinanza, quando è impossibile trovarle e ci si sente piccoli piccoli.
Questo esempio non appartiene allo sviluppo narrativo di Main dans la main di Valérie Donzelli, ma è uno di quei casi che si può verificare nella vita di ognuno di noi e che permette di dare il giusto valore a quel c’est la vie e la regista francese ne conosce bene il senso. Dopo l’incantevole e toccante La guerre est déclarée, in Main dans la main conferma questo sguardo consapevole di quel che sia la vita senza peccare di presunzione. La Donzelli sceglie di esplicitarlo tramite il personaggio che interpreta (Véro) e artisticamente attraverso le storie che intesse e mette in scena. La sua ultima pellicola, Main dans la main, presentata in concorso al 7° Festival Internazionale del Film di Roma, non delude pur toccando qualche sottotono rispetto alla forza dirompente del film precedente.

Si son viste e si continuano a vedere tante storie d’amore al cinema oltre che nella vita, ma quello che fa la differenza è il come e la Donzelli lo sa bene tanto da colpire per lo stile con cui mette in scena il sentimento più universale al mondo. «Un’esperienza che non si può raccontare», dice la voce narrante commentando l’incontro tra Hélène (Valérie Lemercier) e Joachim (Jérémie Elkaïm), non un vero coup de foudre, ma un incontro tra opposti (attenzione a non incappare nel cliché di leggerlo preventivamente come il solito film sugli opposti che si attraggono), che va al di là di una mera attrazione fisica o intellettuale.
Dopo un bacio romantico e inaspettato, Hélène e Joachim sono incollati come un francobollo, ogni gesto che fa lui, lei lo ripete simultaneamente e viceversa, solo a letto, mentre dormono, l’incantesimo si interrompe. Parallelamente alla storia paradossale, la Donzelli sottolinea l’inseparabilità che può sottendere ogni relazione umana nelle relazioni che circondano lui e lei – vedi quella tra un fratello e una sorella o quella tra la direttrice dell’Opéra Garnier e la sua amica Constance De La Porte (Béatrice De Staӫl).
Senza neanche accorgersi ci si ritrova a vivere l’uno in funzione dell’altro, imbrigliati in relazioni in cui non si riesce a essere totalmente liberi ed è la situazione assurda di Hélène e Joachim a illuminarli (e illuminarci) sulle note stonanti presenti nei rapporti umani di tutti i giorni.

In particolare, Main dans la main è un occhio di bue sull’aspetto dell’esclusività insita nei rapporti – meccanismo che spesso scatta inconsciamente – affrontando, appunto, le diverse declinazioni dell’amore (fraterno, amicale e di coppia). La Donzelli scrittrice e regista  utilizza così la danza per trasporre sul piano fisico l’inseparabilità creatasi tra Hélène e Joachim, oltre a farne un escamotage per esplicitare il suo amore per i corpi [1] – magnifico l’utilizzo della sovrimpressione di parti di corpi combinato con le voci off dei due protagonisti principali.

A una prima parte in cui prevalgono i toni da commedia surreale con punte che richiamano la commedia slapstick, seguono toni più intimi (senza scadere nell’intimismo) in grado di tratteggiare l’evoluzione dei personaggi – sembra quasi che il mutamento dei registri vada di pari passo alla presa di coscienza legata alla libertà dell’Amore. Questa è una delle qualità di Main dans la main: la scrittura che, messa in mano a un cast pienamente in parte, prende corpo sullo schermo proprio come farebbero dei passi di danza ben guidati, uno humour che ha il buon gusto francese. La tecnica stilistica della Donzelli fa poi il resto: tendine (in particolare nella prima parte) e effetto home-movie ottenuto col super 8 contribuiscono a restituire un sapore di gusto retrò, grande alleato nel comunicare quella “vie parisienne” [2] che si fa vita universale.
Main dans la main, fotogramma dopo fotogramma, trasmettendoci come tutto faccia parte del gioco – amori, incontri, scontri e perdite – diventa un inno all’Amore e ci insegna che per viverlo a pieno forse bisogna essere disposti a separarsi da qualcosa/qualcuno, a perdere qualche pezzo di noi per strada per crescere.

Note
1. Ricorda, in tal senso, l’uso dei dettagli anatomici che il canadese Xavier Dolan mette in opera nel suo cinema.
2. Una nota di merito va sicuramente all’ottima colonna sonora, ben calibrata e assolutamente giusta nella scelta dei brani, mai invasiva.
Info
Il trailer di Main dans la main.
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