Girl’s Blood

Girl’s Blood

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Amori saffici e lotta nel fango per un “fight club” al femminile dall’erotismo vistosamente kitsch, che scivola più volte nel ridicolo involontario: è Girl’s Blood di Sakamoto Koichi, presentato al Far East Film Festival 2014.

Why we fight

Un astuto organizzatore (Yamaguchi Yoshiyuki) gestisce un “fight club” femminile chiamato “Girl’s Blood“, dove le ragazze combattenti sono abbigliate con i costumi più diversi: infermiera, poliziotta, dominatrice, lolita. La più brava di tutte è Satsuki (Haga Yuria), un tipino intenso e senza fronzoli che si benda il seno prima degli incontri e indossa un ardito costume bianco. La sua vita cambierà per sempre quando si unirà al gruppo la misteriosa e seducente Chinatsu (Tada Asami). [sinossi]

Un fight club al femminile potrebbe essere il ring perfetto per l’elaborazione dei complessi processi intimi che caratterizzano l’ingresso di un gruppo di ragazze nell’età adulta, oppure l’occasione d’oro per soddisfare le fantasie erotiche voyeuristiche di un pubblico maschile. Resta sospeso tra questi due versanti, senza mai intraprendere una direzione, Girl’s Blood di Sakamoto Koichi, presentato al Far East Film Festival 2014.
Tratta dal romanzo di Sakuraba Kazuki, la pellicola nipponica sembra infatti volersi accostare in parte a quella vasta produzione di manga dedicati alle fanciulle, caratterizzati da sottotesti che spronano all’emancipazione così come all’accettazione di sé e della propria alterità. Ma le scelte stilistiche adottate da Sakamoto Koichi paiono piuttosto indirizzate ad un erotismo edulcorato e di matrice kitsch, facile a scivolare rovinosamente nel ridicolo involontario.

Come ben esemplificato dal titolo originale, Aka X Pinku, alle spalle di Girl’s Blood c’è la “nobile” tradizione del pinku eiga, genere erotico nipponico omaggiato proprio al FEFF da una retrospettiva nel 2011 e qui mescolato con il cinema di arti marziali (le nostre protagoniste se le danno di santa ragione) in salsa cosplay (hanno tutte dei travestimenti più o meno singolari).
Al centro della scena troviamo dunque un nutrito gruppo di ragazze in età scolare, ciascuna con il proprio costume di scena e le relative abilità, che vanno dalle doti infermieristiche, a quelle più repressive da poliziotta sadica, dalla passione per il sangue a quella per il bondage e il sadomaso. Ma dopo una rapida presentazione di stampo fumettistico delle varie combattenti, Girl’s Blood si concentra ben presto su soli quattro personaggi, lasciando in ombra le restanti lottatrici (peccato per l’infermiera e la poliziotta).

Regina incontrastata del gruppo e del ring è qui la misteriosa e poco loquace Satsuki (Haga Yuria), perennemente biancovestita e agghindata con un soprabito svolazzante da supereroe. La ragazza è però afflitta da un problema di identità sessuale: si sente più maschio che femmina e ha un esplicito rifiuto per il proprio corpo, che la porta a fasciarsi il seno e a cambiarsi in solitaria, evitando lo spogliatoio comune. La sua vita cambierà per sempre grazie all’arrivo della sensuale Chinatsu (Tada Asami), che non solo la metterà in seria difficoltà combattendo contro di lei con l’esotico epiteto di Shanghai Lily, ma catturerà le sue attenzioni e il suo cuore. La nuova arrivata ha però un rude e volgare maritino di cui liberarsi e così Satsuki, affiancata dalla dominatrice Miko (Misako Ayame) e dall’eterna bambina Mayu (Koike Rina) si ritroverà ad affrontare il manigoldo per salvare l’amata e al tempo stesso l’onore del suo fight club.

Piuttosto carente sul versante della coreografia dei combattimenti (troppi tagli di montaggio malcelano le scarse abilità acrobatiche delle ragazze), Girl’s Blood, a parte qualche spassosa incursione nel sadomaso e nella lotta nel fango, preferisce concentrarsi sul versante erotico-melò della vicenda, prodigandosi nell’esibizione dei corpi delle sue aitanti protagoniste, spesso intente a farsi la doccia o ad innaffiarsi l’un l’altra con una pompa da giardino, rituale comune assai frequente che con la scusa poco convincente di rafforzare lo spirito di gruppo, svolge piuttosto la mansione ben più utilitaristica di sollazzare quel versante del pubblico che gradisce i classici contest mirati ad eleggere “miss maglietta bagnata”. I cliché caratteristici dell’erotismo più patinato sfociano poi nel ridicolo proprio nella “romantica” scena di sesso tra Satsuki e Chinatsu, quando improvvisamente dei raggi di sole iniziano a scaturire dalle loro parti intime. Non va molto meglio sul versante melodrammatico delle vicende, specie quando è il momento, per le quattro protagoniste principali, di spiegare le ragioni che le hanno spinte a unirsi al “fight club”. La povera Satsuki, ad esempio, è stata banalmente colta in flagrante dalla madre mentre era intenta a masturbarsi, la dominatrice Miko intratteneva con fruste e accessori vari un patrigno perverso, mentre la tenera Mayu veniva tenuta rinchiusa ben oltre l’età infantile in un box per bambini (da qui l’attrazione irresistibile per la gabbia del ring), da una madre disturbata e da un padre indifferente, perennemente immerso nella lettura di un quotidiano. Piuttosto riuscita appare invece la caratterizzazione del villain incarnato dal marito della bella Chinatsu, laido e autoironico, come tanti personaggi malvagi tipici dei cartoon giapponesi degli anni ’80.

Insomma non tutto funziona alla perfezione in Girl’s Blood, oggetto strano e un po’ ibrido, come le sue protagoniste, troppo distante dalla loro intimità, inefficace sul versante action e in fin dei conti anche poco erotico, per via di scelte estetiche banali (le varie docce di cui sopra) quando non apertamente risibili.

INFO
La scheda di Girl’s Blood sul sito del FEFF 2014.
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