12 Citizens

12 Citizens

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Remake cinese di La parola ai giurati di Sidney Lumet, 12 Citizens annacqua sia il discorso politico che quello stilistico dell’originale all’insegna della bonomia propagandistica post-confuciana. Nella sezione Cinema d’Oggi al Festival di Roma.

Tu vuò fa’ l’americano

Un giovane, adottato da una famiglia molto in vista, uccide selvaggiamente il padre biologico. Il caso sconvolge l’opinione pubblica cinese. Degli studenti di giurisprudenza decidono di organizzare un finto processo all’americana per discutere delle implicazioni del caso. Così, dodici persone di diversa estrazione sociale sono selezionate per far parte della giuria. [sinossi]

Se ci fossero ancora dubbi sull’opportunità per il cinema cinese di inseguire pedissequamente il modello hollywoodiano, ecco che con 12 Citizens, remake di La parola ai giurati di Sidney Lumet e presentato al Festival di Roma nella sezione Cinema d’Oggi, arriva una sorta di pietra tombale: non si può giocare a fare gli americani. Xu Ang, alla sua opera prima, si misura con un classico ‘liberal’ del periodo della Hollywood più innovativa e ne smussa gli angoli e lo anestetizza mettendosi a fare un esercizio di stile con – per giunta – una sferzata propagandistica nel finale.
Del resto, già dal titolo scelto da Xu Ang, l’intento sembra essere chiarissimo: i dodici personaggi del film di Lumet, a sua volta adattamento di un lavoro televisivo di Reginald Rose, erano dodici “uomini arrabbiati” (12 Angry Men è il titolo originale), qui sono semplicemente cittadini e il loro approdo sarà dunque quello di riconoscersi come tali e di accettarsi l’un l’altro, ricchi e poveri, pechinesi e immigrati dalle campagne. Se in Lumet i giurati finivano per rendersi conto di quanto sia facile e allo stesso criminale mandare a morte un ragazzo accusato di parricidio con troppa leggerezza, l’obiettivo dei giurati di Xu Ang è al contrario quello di usare la vicenda del giovane accusato di omicidio solo come strumento al servizio di una conclusiva e accomodante armonia collettiva dallo spirito post-confuciano. Lì dove c’era l’esercizio del dubbio, qui c’è l’esercizio fine a se stesso.

12 Citizens d’altronde opera un notevole spostamento concettuale: i protagonisti non sono davvero membri di una giuria popolare – anche perché l’ordinamento cinese non lo prevede – ma fingono di esserlo; il gioco viene presentato come un aiuto che questi personaggi danno ai rispettivi figli, studenti di giurisprudenza (anche se non si capisce bene che tipo di aiuto possano fornire, dato che i figli non assistono all’esercitazione). In questo modo, perciò, si perde ogni tipo di tensione e di rischio dell’ineluttabile: infatti, qualsiasi decisione venga presa in proposito alla colpevolezza o meno del ragazzo, non vi sarà alcuna conseguenza concreta. E con questo, di conseguenza, si perde la responsabilità civile e, dunque, se vogliamo, anche lo status di cittadini. Tanto che, malignamente, vien voglia di osservare che, così come Xu Ang si diverte a rifare Hollywood senza riuscirci, allo stesso modo i suoi personaggi si divertono ad usare la democrazia, senza poterla davvero esercitare.

Ma non finisce qui: in ossequio a un malinteso senso di chiarezza e di comprensibilità per lo spettatore disattento, 12 Citizens comincia, sia pur con qualche breve flash, mettendo in scena l’omicidio e dunque anticipando tutti gli elementi che poi saranno decisivi nella struttura drammaturgica e nella ricostruzione dei fatti: il passaggio del treno, l’anziano vicino di casa che sente il rumore dei passi, ecc. La forza della parola viene così annacquata e i dialoghi razionali e illuministi – il rigore della logica su cui era costruito La parola ai giurati – diventano mero strumento scenografico e/o canovaccio per la prova generale di un qualcosa che non si attuerà mai.

Negli anni vi sono stati altri adattamenti del film di Lumet, quello di Friedkin del ’97 e quello di Michalkov del 2007 intitolato semplicemente 12, ma il modello di Xu Ang è proprio la Hollywood del passato, nel vano tentativo di ambire a una nuova classicità. E se, infine, La parola ai gurati si chiudeva con una discesa dalla scalinata del palazzo di giustizia, attraverso la quale si testimoniava una presa di consapevolezza del sé come essere ‘civilizzato’, 12 Citizens si chiude invece con un carrello laterale in cui i personaggi si riuniscono ai rispettivi figli. Un movimento che, evitando la frontalità del discorso, ci dice come quei personaggi procedano passo passo, l’uno affianco all’altro, non più però verso il sol dell’avvenire, quanto in direzione di un neo-capitalismo anti-democratico in cui bisogna imparare a rispettarsi l’uno l’altro, sia i nuovi ricchi (quelli che all’inizio vengono condannati, perché il presunto omicida appartiene a questa categoria) sia i poveri, rimasti ai margini del boom economico della Cina post-maoista. La speranza, ipocrita, è che ‘marciando insieme’ ci si arricchisca tutti quanti prima o poi. Mao si starà rivoltando nella tomba…

Info
Il sito del Festival Internazionale del Film di Roma.
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