Monte-Cristo

Monte-Cristo

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Evento delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone anche quest’anno, dopo Les Misérables nel 2015, un film di Henri Fescourt, ancora un kolossal letterario tratto dal celebre romanzo di Alexandre Dumas padre. Monte-Cristo è un feuilleton con tutti i crismi, un cinema fatto di scenari immensi, tanto naturali quanto ricostruiti.

Cinema d’evasione

Edmond Dantès sbarca a Marsiglia con la sua nave mercantile Il faraone dopo averne preso il comando, essendo morto il vecchio capitano. Qui viene arrestato con l’accusa di bonapartismo, incastrato da una lettera, e incarcerato nel Castello d’If, un penitenziario su di un isolotto davanti alla costa marsigliese. In cella conosce un altro prigioniero, l’abate Faria che gli parla di un tesoro favoloso sepolto nell’isola di Montecristo. Quando l’abate muore, Edmond, sostituendosi al cadavere dell’amico, riesce ad evadere, raggiunge l’isola di Montecristo e rinviene gli scrigni ricolmi di preziosi. Nominato Conte di Montecristo, Edmond si fa accogliere dalla nobiltà parigina e prepara la vendetta… [sinossi]

Ancora uno degli eventi speciali delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone, dopo Les misérables l’anno scorso, porta la firma del regista francese Henri Fescourt: si tratta di Monte-Cristo, uno dei tanti adattamenti dal classico romanzo d’appendice di Alexandre Dumas padre, ridotto in un film di quasi quattro ore diviso in due parti, nella sceneggiatura firmata come sempre dallo stesso regista, con alcune semplificazioni e accorpamenti della contorta trama di base, nonché eliminando alcune sottotrame.

Monte-Cristo è un’opera cinematografica sontuosa, un feuilleton con tanti elementi di attrazione, un kolossal dell’epoca dalle scene madri immense, che si credeva perduto e che, solo nel 2006, si è riusciti a restituire nella sua originale concezione. Fescourt riesce a combinare una tendenza, non frequente nel muto, che aveva trovato il suo apice nel Nosferatu di Murnau, di girare in esterni, di esaltare la natura e la magnificenza dei paesaggi, e invece una tendenza opposta, potremmo dire alla Erich von Stroheim, alla ricostruzione in studio di immense e sfarzose scenografie.
L’arrivo nel porto di Marsiglia del veliero Il faraone, i paesaggi mediterranei, le pinete, le vedute marittime – spesso virate di color blu in montaggio alternato con interni, come la taverna, di colore ocra – le isole. La distesa marina è usata anche per esprimere il senso di isolamento e di segregazione quando, dopo il primo tentativo di fuga dalla prigione, Edmond si trova davanti alla distesa acquatica, la superficie marina occupa totalmente quella inquadratura, che gli impedisce ogni via di fuga. Fanno parte della seconda tendenza le immagini concentrate nella seconda parte parigina, quelle dei teatri dell’opera, della festa nella magniloquente villa, le vedute dalle geometrie piranesiane e gli orientalismi, le atmosfere da Le mille e una notte. E in questo contesto abbiamo anche una situazione che ricalca la madre di tutte le metanarrazioni, il teatrino nel teatro che Amleto allestisce per smascherare il patrigno. E così avviene in un siparietto teatrale nella villa di Montecristo, usato per preparare la sua vendetta. In un feuilleton dove abbondano i travestimenti e i cambi d’identità.

Fescourt in Monte-Cristo tira fuori tanti altri assi cinematografici dalla manica. Le inquadrature non più solo fisse, ma piuttosto i movimenti di macchina. La mdp che scruta carrellando sugli sguardi dei commensali al banchetto, della folla che assiste all’arresto, dei carcerati. Per arrivare all’apice dello svolazzamento, ardito per l’epoca quasi un Ophüls ante litteram, nel teatro dell’opera che parte dal palcoscenico seguendo una ballerina che esce di scena e proseguendo sui palchi laterali fino ad arrivare all’affascinante Jean Angelo. Ma il regista sa usare il montaggio: nel trasmettere il senso del passaggio degli anni in carcere facendo scorrere le immagini di Edmond con la barba sempre più lunga. E poi gli effetti flou, lampi, le moltiplicazioni d’immagine e le sovrapposizioni come quella brillante e grottesca di Edmond che nel sonno sente il coltello dell’abate Faria che scava, la cui immagine combacia proprio con quella della sua testa come se lo stesse pugnalando al capo. E nella sua ricercatezza estetica Fescourt costruisce anche una scena di sapore espressionista con delle scalinate di legno le cui ombre si proiettano ingrandite su un muro.

In tutta questa grandeur estetica, Fescourt in Monte-Cristo calca ancora, come già avevamo colto per Les misérables, sul sapore letterario, sulla consapevolezza esibita della parola scritta. Il cinema muto è già intrinsecamente un cinema che si legge, negli intertitoli, ma qui abbiamo un ulteriore profluvio di scrittura a carattere didascalico e didattico e non solo. Il regista inquadra ancora pagine stesse del romanzo, a volte per sintetizzare dei passaggi narrativi, e poi le lettere, anche in fase di scrittura con penna e calamaio, le missive anonime, le lettere bruciate, le sentenze, i registri del carcere, la mappa del tesoro, i documenti, la lettera preannunciata di Sinbad il marinaio che rappresenta uno snodo narrativo importante, il testamento, le pagine di giornale.
E Fescourt conclude il suo romanzo di appendice cinematografico con una serie di flashback, riprese di scene del lungo film, a volte concentrati e montati a ritmo frenetico, quasi a riepilogare la vicenda prima della sua conclusione.

Info
Il sito delle Giornate del Cinema Muto.
La pagina Wikipedia inglese di Monte-Cristo.
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