Valérie – Diario di una ninfomane

Valérie – Diario di una ninfomane

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Al di là dell’argomento trattato che può risultare ricco di spunti di riflessione, Valérie – Diario di una ninfomane mal sfrutta la materia disponibile e si incarta in una sequenza apparentemente infinita di luoghi comuni e di stereotipi: contesto alto-borghese fatto di loft dai panorami mozzafiato, auto di lusso e cocaina. La sceneggiatura è fragilissima, pressoché inesistente.

1, 2, 3, 4…

C’è chi l’amore lo fa per noia,
chi se lo sceglie per professione,
Bocca di Rosa nè l’uno, né l’altro,
lei lo faceva per passione.
Ma la passione spesso conduce
a soddisfare le proprie voglie
senza indagare se il concupito
ha il cuore libero oppure ha moglie.
Bocca di Rosa, Fabrizio De Andrè (1967)

Grande clamore e scandalo ruotano attorno all’uscita di Valérie – Diario di una ninfomane di Christian Molina, ispirato al romanzo autobiografico di Valérie Tasso, già caso editoriale tradotto in 15 Paesi. La storia è quella di Valérie, ventottenne ossessionata dal sesso: sin dal giorno della perdita della sua verginità Valérie insegue l’orgasmo ricercando la promiscuità con ogni uomo che incontra. L’impatto con l’amore violento condurrà la giovane donna prima all’annientamento e all’autodistruzione, e poi la coinvolgerà in un percorso di conoscenza degli uomini attraverso la prostituzione. Il film racconta la discesa negli inferi di una donna che vive nell’inquietudine della propria diversità («Sono consapevole che la mia vita sessuale mi sta rovinando e non posso andare avanti così» confessa la protagonista alle pagine del suo diario). In effetti Valérie, più che dare voce alla libertà sessuale e alla capacità di combinare la responsabilità e la spensieratezza nel sesso, sembra essere un manifesto dell’inquietudine, dell’ansia e della disperazione. La ricerca della felicità e dell’appagamento si snoda lungo un sentiero tortuoso, in un contesto caratterizzato da una fitta incomunicabilità: nella società contemporanea fredda e categorica nel dare giudizi, la protagonista – che vive la difficoltà di non riconoscersi nel modello di sessualità femminile imperante- sceglie di affidarsi al linguaggio del corpo e di conoscere il mondo che la circonda attraverso l’istintività del sesso.

In una specie di orgasmo-terapia Valérie conduce la propria indagine sugli uomini cercando il contatto fisico e finendo addirittura per esercitare volontariamente la prostituzione. Così Christian Molina racconta l’epopea di una donna fondamentalmente fragile e insicura, che dopo la  delusione della sua prima volta si è lanciata in una irrefrenabile corsa all’appagamento. Non a caso l’autrice del romanzo non ha gradito eccessivamente la rappresentazione vittimistica del suo alter-ego cinematografico e anzi ha più volte sottolineato come la sua provocazione cerchi di scardinare i cliché maschilisti sulla ninfomania ancora vivi a 40 anni dalla nascita del movimento femminista.

Etimologicamente il termine ninfomane significa ‘furore uterino’ e nel corso dei secoli ha finito per assumere un’accezione negativa: non a caso in sede di conferenza stampa l’autrice del romanzo ha ricordato come nel XIX secolo fossero definite isteriche le donne che soffrivano di un forte desiderio sessuale. Alla satiriasi, corrispettivo maschile della ninfomania, al contrario non è mai stato attribuito un significato marcatamente negativo e non a caso la disparità di trattamento nelle accezioni sessuali maschili e femminili è un altro dei pilastri concettuali sui quali si appoggia l’intera struttura del film. Al di là dell’argomento trattato che può risultare ricco di spunti di riflessione, il film mal sfrutta la materia disponibile e si incarta in una sequenza apparentemente infinita di luoghi comuni e di stereotipi: contesto alto-borghese fatto di loft dai panorami mozzafiato, auto di lusso e cocaina. La sceneggiatura è fragilissima, pressoché inesistente: cercando di mantenere intatta la struttura del romanzo (che si avvale della forma di un diario), la narrazione perde  fluidità e sembra deliberatamente frazionata in diversi episodi. I dialoghi patinati contribuiscono a rendere ancora meno convincente il risultato del film, che sembra rimanere ancorato a una serie di luoghi comuni: si perdono così in un magma ricco di prevedibili cliché importanti richiami alla violenza sulle donne, alla difficoltà di rapportarsi con autostima alla propria sessualità. Dopo aver raccontato con falsa lucidità le innumerevoli avventure di Valérie, il finale vira bruscamente verso il buonismo: con una svolta secca gestita frettolosamente sopraggiunge la redenzione della protagonista, che cambia repentinamente il proprio rapporto con il sesso imparando ad apprezzare e a convivere con la sua fame di uomini («ho trovato la mia strada… essere me stessa»).
Valérie – Diario di una ninfomane, che nasce per stessa ammissione dei suoi creatori come una provocazione, non riesce a gestire la linea più dissacrante e trasforma tutti i personaggi in caricature: più che il racconto dell’esperienza di una donna che ha scelto il sesso come strumento di conoscenza, il film delinea i tratti di un’odissea nella ricerca più o meno goffa dell’amplesso. A tutti i costi.

Info
Il trailer di Valérie – Diario di una ninfomane.
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