The Forgotten Space

The Forgotten Space

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Premio Speciale della Giuria di Orizzonti di Venezia 2010, The Forgotten Space s’inerpica sull’impervia via del cinema saggistico, per di più applicandolo alla lettura della società contemporanea attraverso una delle discipline meno cinematografiche in assoluto: l’economia.

Nell’ignoto spazio profondo

Un documentario militante che si occupa del processo di globalizzazione dal punto di vista dell’economia, indagando gli enormi e nascosti mutamenti che stanno dietro i nuovi flussi del trasporto internazionale delle merci. Lo spazio dimenticato è il mare, che da crocevia d’avventurieri e mercanti è diventato nel giro di cinquant’anni un ordinata e affollata rete sulla quale scorrono i flussi dell’economia capitalistica mondiale, dai paesi produttori di beni verso quelli che li acquistano e li consumano. Ancor più sconvolgenti le trasformazioni richieste da questo sistema che abbraccia tutto il mondo: dalla desertificazione delle zone portuali all’invadenza delle infrastrutture sulla terra ferma, indispensabile prolungamento che s’irradia e diffonde fino al cuore dei continenti. Un film che attraverso l’impiego di stili e materiali diversi cerca di unire l’urgenza dell’inchiesta all’approfondimento del saggio… [sinossi]

In un festival assai meno politico (o politicizzato) delle edizioni più recenti, uno dei pochi, forse l’unico film politico in senso stretto a essersi guadagnato un riconoscimento – il Premio Speciale della Giuria della sezione Orizzonti – è il lungometraggio diretto a quattro mani da Allan Sekula e Nöel Burch e intitolato The Forgotten Space. Il progetto del duo di vegliardi s’inerpica sull’impervia via del cinema saggistico, per di più applicandolo alla lettura della società contemporanea attraverso una delle discipline meno cinematografiche in assoluto: l’economia.

Lo spazio dimenticato è il mare. I due registi e autori si mettono in testa di trovare le immagini che possano mostrare l’invisibile, la rivoluzione che, iniziata a ridosso della Seconda guerra mondiale, sconvolge ormai la geografia sociale ed economica del pianeta, sconvolgendo anche i ritmi biologici e i tempi vitali delle comunità come dei singoli cittadini. Tutto ha inizio dall’invenzione e adozione sempre più diffusa del container, modulo anonimo, standardizzante, duttile, potenzialmente universale. Prima cambia la forma e la gestione delle navi, poi la posizione e la conformazione dei porti, infine le infrastrutture sulla terra ferma necessarie alla distribuzione dei carichi non solo condizionano lo sviluppo del territorio, ma lo stravolgono, trasformando le differenze e le caratteristiche distintive in ostacoli da eliminare. Così anche la sostenibilità ecologica, il rispetto del sedimento storico e antropologico nelle diverse zone geografiche coinvolte, il riconoscimento del giusto prezzo per il lavoro e il sacrificio dell’individuo entrano in questo macrosistema come variabili da sopprimere, ridurre al minimo, controllare e, possibilmente, ricondurre dentro i ristretti parametri del profitto.

Sekula e Burch mescolano con accortezza tecniche e stili, l’osservazione all’interazione, l’immagine di repertorio all’intervista. Se da una parte sorprende ed entusiasma la sventagliata di materiali prodotti, di argomenti raccolti, di sguardi e di informazioni, dall’altra la durata di The Forgotten Space e ancor più il progredire lento e un po’ macchinoso del suo discorso impediscono la necessaria chiarezza, l’indispensabile fluidità. Troppo lungo per essere proponibile come film a tesi, troppo poco definito nella trasmissione d’informazioni per potersi considerare un buon reportage, e infine troppo eterogeneo e ondivago per riuscire a diventare un saggio d’autore dal tono autorevole e dalla forma convincente, il film rischia di patire gli effetti collaterali di uno dei suoi pregi più evidenti. L’ambizione dell’ipotesi di partenza, l’ampiezza dello spettro delle discipline coinvolte nella riflessione, la quantità delle regioni esplorate e dei volti interpellati sembrano a volte indebolire e disperdere, distrarre e frammentare un’esposizione teorica per altri versi esemplare. E forse neppure la sensazione che il momento della ricerca e della scrittura non sia affatto contenuto dentro i margini del film che resta così ricca dissertazione cinematografica contribuisce a rafforzare l’intero impianto della pellicola.

La coppia di registi che lo firmano però conduce a segno alcuni colpi fondamentali, non solo ricostruendo per l’immagine audiovisiva una sua dignità di documento testimoniale, ma, molto più in là, avendo il coraggio di ripristinare una vecchia forza ideale dell’immagine cinematografica: trattenendo l’apparato didascalico e il tono didattico, riuscendo soprattutto a impiegare l’immagine semplice, l’inquadratura fissa per fondare e far procedere l’impianto teorico dell’opera.

Info
Il sito di The Forgotten Space.

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