Scossa

A cento anni dal terrificante terremoto che distrusse in gran parte Messina e Reggio Calabria Ugo Gregoretti, Carlo Lizzani, Francesco Maselli, e Nino Russo firmano Scossa, opera collettanea che ragiona su quell’evento tragico, sull’Italia, e sul cinema.

La terra trema

Cent’anni fa un tremendo terremoto, e un successivo e altrettanto tremendo maremoto, devastarono e in gran parte distrussero Messina e Reggio Calabria. Le città dello Stretto. Centomila morti. Gli autori raccontano il tema dell’atrocità del dolore, dell’immigrazione, ma soprattutto il tema delle umane capacità di avventura, di paura e di rabbia, di predisposizione e di rinascita. Capacità che nessuno consoce di se stesso prima di una così violenta “scossa”. [sinossi]
Di grande non abbiamo che le sventure.
Dal film

La visione di un film come Scossa, annunciato da mesi e ospitato dalla Mostra del Cinema di Venezia nel Fuori Concorso, costringe a una serie di riflessioni sullo stato della produzione cinematografica italiana: nonostante l’età media dei quattro registi coinvolti, vicina se non superiore agli ottant’anni, il film propone intuizioni e libertà che la maggior parte dei colleghi più giovani non è neanche in grado di concepire in fase di ideazione. Il progetto di Scossa risale addirittura a quattro anni fa, e doveva essere portato a termine nel corso del 2008, per commemorare degnamente il centenario del terrificante terremoto dello Stretto di Messina, a seguito del quale persero la vita tra le 90.000 e le 120.000 persone, schiacciate dal crollo delle proprie abitazioni o annegate in seguito al violento terremoto che si abbattè sulle coste sicule e calabresi nei minuti seguenti al sisma. Un evento tragico, che in Italia non ha mai ricevuto la dovuta attenzione, probabilmente anche per celare sia il grave ritardo nei soccorsi che, ancor più, lo scandaloso piano di ricostruzione. Nel meritorio progetto sono stati coinvolti alcuni tra i nomi più rilevanti della stagione d’oro del cinema italiano, quella a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso: Ugo Gregoretti, Carlo Lizzani, Francesco “Citto” Maselli e Nino Russo (da principio uno dei segmenti avrebbe dovuto dirigerlo il compianto Mario Monicelli). Una scelta a suo modo anche coraggiosa, visto che Gregoretti non girava materiale cinematografico dai tempi di Maggio musicale (1990) e Nino Russo era al riposo da un decennio (Fondali notturni, 2000): eppure proprio a loro due si devono gli episodi più ispirati del quartetto.

Scossa si apre su Speranza di Carlo Lizzani, che racconta l’agonia della donna del titolo, rimasta intrappolata sotto le macerie: un’opera diligente, che tende alla lacrima facile e si concede un finale onirico e immateriale. Nel complesso un frammento poco significativo, per quanto messo in scena con una certa cura e affidato alle qualità attoriali di una brava Lucia Sardo. Il pezzo da novanta dell’intera operazione è invece Lungo le rive della morte di Ugo Gregoretti: studiato come un reportage televisivo in puro stile anni Sessanta – di cui fu maestro e precursore proprio Gregoretti – il segmento racconta il viaggio attraverso i paesi calabresi devastati dal terremoto di un giovane cronista piemontese (ottima l’interpretazione di Paolo Briguglia) che intende raccontare la verità in diretta. Esempio di cinema illuminato e incline all’insubordinazione agli schemi precostituiti, Lungo le rive della morte è dunque un mockumentary che testimonia accadimenti reali sfruttando per la ricostruzione scenica effetti digitali di ultima generazione (Gregoretti aveva sfruttato l’arma del chroma key nel 1968 in Cinque anni dopo, commissionatogli dal Partito Repubblicano, dimostrandosi anche in questo un antesignano per l’Italia): quasi un paradosso continuo, insomma, con elementi antitetici che si fondono gli uni con gli altri senza per questo smarrire per strada l’incedere dolente e a suo modo grottesco di una tragedia senza salvezza. A questo gioiello sulla breve distanza fa purtroppo seguito il peggiore dei quattro episodi, Sciacalli di Francesco Maselli: la storia di un galeotto che evade in seguito alla distruzione del carcere durante il sisma e cerca di ritrovare la moglie prima di essere scambiato per un saccheggiatore dalle truppe russe che presidiavano la zona – le navi russe furono le prime a giungere in aiuto della popolazione messinese – è dominata da un pathos fastidioso e pesantemente retorico, al quale si aggiunge una messa in scena piatta ai limiti della sciatteria e una scrittura involuta e meccanica. Una vera e propria debacle, per quello che si sarebbe voluto presentare come l’episodio in grado di spingere la provocazione alle estreme conseguenze (chi cerca di mantenere l’ordine non fa altro che commettere ingiustizie senza giustificazione). La provocazione, stavolta compiuta, arriva a centrare il bersaglio in Sembra un secolo di Nino Russo, il cortometraggio che chiude il film: la storia del pescatore Turi, sopravvissuto alla devastazione, che aspetta a tal punto la casa promessagli nel 1909 dal comune di Messina da attraversare l’intera storia italiana del Novecento fino a ritrovarsi a 145 anni, a perorare nuovamente la propria causa nell’ufficio comunale, appare quasi come un incrocio tra le deliberate follie anarcoidi di Luis Buñuel e la burocrazia grottesca narrata da Franz Kafka. Il tutto arricchito da un umorismo acre e da una lettura politica appassionata e agghiacciante (il segmento inizia con il ritrovamento in riva al mare di due corpi annegati in seguito al maremoto e si conclude con una scena analoga, con i cadaveri di due immigrati al posto delle vittime del sisma: la differenza sta solo nella reazione di chi li ritrova, angosciato nel 1908 e del tutto disinteressato cento anni dopo), che fanno perdonare una messa in scena non sempre particolarmente ispirata. Un episodio, come quello diretto da Gregoretti, che ha la forza di universalizzare il contenuto del proprio messaggio, rendendolo atemporale e svincolandolo dal mero obbligo memoriale.

Nel complesso un’opera coinvolgente, che meriterebbe un’attenzione adeguata e che invece corre il rischio di non trovare nemmeno una distribuzione nazionale. Tristi paradossi di un’Italia terremotata nella propria cultura, e devastata da maremoti continui nei quali si può solo sperare di restare a galla ancora un po’.

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