Dracula 3D

Dracula 3D

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Con il suo Dracula 3D Dario Argento sperimenta la stereoscopia, immergendo il romanzo di Bram Stoker in un universo fascinoso e retrò, senza preoccuparsi di sfiorare il ridicolo.

Argento vivo

Ritorna sul grande schermo la storia del più noto vampiro della letteratura, dal viaggio di Jonathan Harker nei Carpazi fino all’arrivo di Dracula a Londra e al suo incontro con la fidanzata di Harker, la bellissima Mina. Dal romanzo di Bram Stoker… [sinossi]

Nel Grand Théâtre Lumiére, che ha atteso il cuore della notte per applaudire l’ingresso in sala di Dario Argento e della sua troupe, si spengono le luci e partono i titoli di testa di Dracula 3D. Ma si verifica un inconveniente tecnico: il segnale stereoscopico non viene decodificato dagli occhiali distribuiti a stampa e pubblico, per cui le immagini sullo schermo appaiono come tante macchie di Rorschach. Mugolii di disapprovazione, e Thierry Frémaux che si scusa dal palco assicurando che tutto verrà risolto negli indispensabili tempi tecnici; nelle file prese d’assalto dagli accrediti stampa si inizia a ridacchiare, scambiandosi motti di spirito sulla qualità intrinseca della nuova opera di Dario Argento. Dubbi ben più che legittimi, a giudicare dalla devastante deriva artistica di quello che può essere definito a ragione come uno dei maestri del cinema dell’orrore mondiale degli ultimi quarant’anni: da Opera, suo ultimo fiammeggiante (e in gran parte incompreso) colpo all’immaginario visionario del cinema contemporaneo, sono passati venticinque anni. Cinque lustri in cui Argento ha alternato episodi quantomeno interessanti (il suo segmento del poeano Due occhi diabolici, Trauma) a clamorose cadute nei vortici della mediocrità e della comicità involontaria: titoli come Il cartaio, La terza madre e Giallo affosserebbero la carriera anche del più svogliato dei carneadi della Settima Arte.
Anche per questo, quando nei titoli di testa di Dracula 3D (ripartiti dopo il già citato disguido tecnico) si intravvedono i retaggi di un immaginario da pornhorror anni Ottanta, con i caratteri gotici (quasi illeggibili) di un rosso acceso su sfondo nero, il timore di doversi arrendere una volta di più alla decadenza sfrenata di Argento si impossessa anche dell’animo più fiducioso. Ma non bisognerebbe mai arrendersi alla prima impressione…

In questi giorni si è scritto di tutto e di più sull’ultima fatica artistica di Argento, la diciannovesima in quarantuno anni di carriera, e spesso chi si è lanciato in invettive e prese di distanza non si è preso neanche la briga di vedere il film, incorrendo in un errore professionale di gigantesca portata. Prima che si possano creare ulteriori incomprensioni, converrà specificare come Dracula in versione argentiana non sia certo privo di difetti: la recitazione di alcuni dei protagonisti è davvero raffazzonata, partendo da Unax Ugalde decisamente goffo e privo di intensità nella parte di Jonathan Harker; allo stesso tempo la scrittura, spesso tallone di Achille delle opere di Argento, si rivela a corto di spessore, strutturata in una sequela pressoché infinita di situazioni quasi completamente staccate tra loro. I personaggi entrano ed escono di campo senza che si riesca a creare un reale continuum narrativo, spezzato a favore di reiterati climax orrorifici. Ma non è nella sceneggiatura che si deve rintracciare l’anima intima dell’operazione portata a termine da Argento. Pur nella limitatezza di un budget del tutto inadeguato alla bisogna, Dracula si distingue per una ricerca dell’immagine/horror finalmente staccato dal rabberciato pauperismo volontario (?) delle ultime sortite autoriali di Argento: i colori completamente fuori contesto, che ricordano gli esperimenti del Mario Bava di Sei donne per l’assassino con i blu e i viola carichi, gli sfondi innaturali e via discorrendo, travolgono la messa in scena e asserviscono quel che succede davanti alla macchina da presa al proprio volere, grazie anche alla splendida fotografia di Luciano Tovoli. Anche la fissità di alcune situazioni a due – i dialoghi, come già evidenziato, non aggiungono un granché al senso del film – si tramuta in pura macchina dell’immaginario, ribollente e a tratti anche confusionaria, ma mai banale.

È questa la sorpresa più gradita di questa ennesima versione del romanzo di Bram Stoker (mai alcuna realmente fedele, nonostante i continui raffronti che si stanno moltiplicando tra il film di Argento e quello di Francis Ford Coppola del 1992), che il cineasta romano prende di petto spogliandolo di qualsiasi riflessione che esuli dal genere duro e puro. Se prima Murnau e poi Herzog avevano interpretato la figura del nosferatu come la metafora materiale del discorso sull’umanesimo e sul rapporto tra illuminismo filosofico e irrazionale bestialità della natura, e Coppola si era lanciato in un continuo gioco sul cinema delle origini, Argento approccia il personaggio del conte transilvano dai denti aguzzi con lo stesso spirito che animava le produzione di serie b degli anni Sessanta, collocandosi su un piano diverso sia dalle già citate riduzioni autoriali sia dalla fortunata saga popolare prodotta dalla Hammer. Da entrambe le derive Argento riprende squarci di immaginario, salvo poi ricondurli alla propria idea di cinema: un mix a tratti inesatto ma sempre e comunque godibile di sequenze gore e splatter, con l’aggiunta di un continuo ricorso all’erotismo (il personaggio di Tanja/Miriam Giovannelli, nonostante l’esagerata insistenza con cui Argento la sveste, rappresenta una carnalità mediterranea e solare del tutto distante dal pallore efebico che delinea i tratti essenziali della donna vampiro). In molti si lanceranno nell’elencare i difetti, strutturali e tecnici, della pellicola, sottolineando la gratuità della sequenza di nudo con protagonista Asia Argento o il ricorso non sempre convincente all’effetto digitale, ma chiuderanno gli occhi su pregi che sono altrettanto difficili da mettere in discussione: sequenze come quello dell’arrivo del treno in stazione, dell’irruzione di Dracula nel consiglio cittadino o del deliquio onirico di Mina, sintetizzano la vitalità espressiva di un regista che sembrava definitivamente perso e che invece ha ancora qualcosa da dire dal punto di vista formale, soprattutto quando ha tra le mani materiale privo di particolare ambizione, come un testo tradotto migliaia di volte sullo schermo.

Perché Dracula 3D (la tecnica stereoscopica, pur non indispensabile, è utilizzata con estrema intelligenza, tesa a sottolineare il discorso sul campo e sul rapporto tra personaggio e sfondo che caratterizza l’intera pellicola) è un giocattolo vivo, pulsante, e come tale va preso. Allo stesso modo con il quale tramuta il suo conte in ogni tipo di animale – gufo, topo, scarafaggio, mosca, lupo, mantide religiosa – Argento gioca con la messa in scena, tornando finalmente a modellare il suo cinema a propria immagine e somiglianza. Se poi la pretesa è quella di trovarsi di fronte a un nuovo Profondo rosso, un nuovo Suspiria o un nuovo L’uccello dalle piume di cristallo, allora non si potrà mai possedere la serenità di giudizio per analizzare Dracula 3D. Ma questa è un’altra storia…

Info
Il trailer di Dracula 3D.
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