Qualcosa nell’aria

Qualcosa nell’aria

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Qualcosa nell’aria è un coming-of-age scritto in punta di penna, dove se Assayas non si sporca fino in fondo le mani come avvenuto in passato, lasciando che gli eventi si susseguano senza aprire squarci emozionali, è per una precisa scelta estetica.

The Politics of Time

Parigi, 1971. Gilles è un giovane liceale preso dall’effervescenza politica e creatrice del suo tempo. Come i suoi compagni, esita tra un impegno radicale e delle aspirazioni più personali. Passando da relazioni amorose a rivelazioni artistiche, in un viaggio che attraverserà l’Italia e finirà a Londra, Gilles e i suoi amici dovranno fare scelte decisive per trovare se stessi in un’epoca tumultuosa… [sinossi]
With a love a madness for Shelley
Chatterton Rimbaud
and the needy-yap of my youth
has gone from ear to ear:
I HATE OLD POETMEN!
Especially old poetmen who retract
who consult other old poetmen
who speak their youth in whispers,
saying:–I did those then
but that was then
that was then–
O I would quiet old men
say to them:–I am your friend
what you once were, thru me
you’ll be again–
Then at night in the confidence of their homes
rip out their apology-tongues
and steal their poems.
Gregory Corso, I am 25 (1958)
I really love you and I mean you
The star above you, crystal blue
Well oh baby, my hairs on end about you…
Syd Barrett, Terrapin (1970)
Le barricate in piazza le fai per conto della borghesia
che crea falsi miti di progresso.
Franco Battiato, Up Patriots to Arms (1980)

La proiezione stampa di Après mai (rititolato in italiano Qualcosa nell’aria), tredicesima regia per il cinema di Olivier Assayas inserita dal comitato di selezione della sessantanovesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel concorso, ha permesso di cogliere con esattezza alcune problematiche esistenti (ma finora sopite) tra l’universo critico e il cinema del cinquantasettenne regista francese. L’uscita dalla Sala Darsena, con i consueti scambi di battute a caldo, ha infatti reso evidente l’accoglienza fredda già in parte percepita dalla pressoché totale mancanza di applausi sui titoli di coda. Anche molti tra gli amanti del cinema di Assayas si sono dichiarati smarriti, delusi da una messa in scena artefatta e distaccata, non in grado (a loro dire) di rispecchiare la naturale umoralità della sua arte.

In realtà è fin troppo facile comprendere i motivi reconditi che hanno spinto buona parte della stampa a trattenere l’entusiasmo: in Après mai Assayas ha infatti l’ardire di affrontare una tematica, quella relativa agli anni caldi della contestazione studentesca e operaia, partendo da un punto di vista strettamente “borghese”. I liceali Gilles, Christine, Alain e Jean-Pierre sono figli di una classe media colta, intellettuale: molti dei loro genitori lavorano nello spettacolo o nello sviluppo e nella difesa della cultura. Gli interessi di questi ragazzi vanno dal cinema alla musica, con naturale propensione alla riflessione politica: Assayas mette in scena la propria adolescenza, con Gilles che ascolta i vinili con i quali lo stesso regista è cresciuto. Si tratta di un progetto intimo, personale, qualcosa di completamente staccato da necessità di pura e semplice contestualizzazione storica: questa non manca, a partire dalla celebre manifestazione del 9 febbraio 1971 che scatenò la dura repressione della polizia e sulle cui immagini inizia il film, ma si tratta poco più che di una patina, pellicola protettiva creata per preservare il resto della narrazione in un’area delimitata. Chiunque abbia letto Après mai come un film sul ’68 ha sbagliato clamorosamente per due motivi: innanzitutto il film è ambientato nel 1971, quando la spinta propulsiva del maggio parigino si era già in parte dissolta, lasciando un vuoto che la generazione successiva cercava di colmare a suo modo, tra reiterazione del modello contestatario e nuove forme di eversione dalla prassi consolidata; in secondo luogo la riflessione politica è volutamente ingenua, semplicistica come può essere quella di un gruppo di ragazzini con idee di trotzkismo e maoismo spesso radicate solo in superficie.

Una volta che si è consapevoli di tutto ciò è forse più facile apprezzare un coming-of-age scritto in punta di penna, lavorato con una levità che può essere purtroppo scambiata per distacco affettivo: se Assayas non si sporca fino in fondo le mani come avvenuto in passato, lasciando che gli eventi si susseguano sullo schermo senza aprire squarci emozionali nei personaggi quanto negli spettatori, è per una precisa scelta estetica. Après mai trattiene al proprio interno i germi che deflagrarono in altre pellicole di Assayas, a partire dai rimandi alla dispersione adolescenziale di Désordre, ma li muta in un quadro solo all’apparenza collettivo, come dimostra la splendida sequenza del falò che cita apertamente L’Eau froide, che nel 1994 toccò i vertici della poetica del cineasta e critico: laddove il gioco attorno al fuoco sottintendeva una comunione di amorosi sensi, in Après mai tutto si riduce a una riflessione personale, staccata da un contesto realmente comunitario. Per quanto di fatto Assayas giochi con il proprio cinema, riproponendo in scena la medesima coppia del film del 1994 (lì interpretata da Cyprien Fouquet e dalla splendida Virginie Ledoyen), Après mai ne ribalta il senso più intimo e profondo.

In questa direzione gioca un ruolo di primaria importanza la colonna sonora, da sempre elemento fondamentale all’interno delle geometrie espressive di Assayas: se L’Eau froide risuonava dell’apertura musicale di Leonard Cohen, Creedence Clearwater Revival, Roxy Music, Alice Cooper e Donovan, nel fermo immagine del 1971 a irrompere è il fragile intimismo (a volte paranoide) di Syd Barrett, Nick Drake, Incredible String Band e delle derive cosmiche e “canterburyane” di Tangerine Dream e Soft Machine. È l’utopia consapevole di non avere speranza al di là della propria immaginazione, la prima onda del riflusso che coinvolgerà l’intera Europa di lì a pochissimo tempo. Assayas descrive, partecipando solo a tratti, con sguardo intenerito e sognante, lasciando che a prendere spazio sullo schermo siano i volti dei giovanissimi Clément Metayer, Lola Créton, Hugo Conzelmann, Félix Armand, Léa Rougeron, Carole Combes, India Salvor Menuez, Mathias Renou. Protagonisti di un film a suo modo infinito, impossibilitato a una reale conclusione, perennemente in divenire: forse chi l’ha etichettato come una potenziale mini-serie televisiva sulla falsariga del monumentale Carlos (2010) non è poi andato molto lontano dalla verità.

Info
La pagina dedicata a Qualcosa nell’aria sul sito di Officine Ubu.
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