Intervista a Piero Colussi

Intervista a Piero Colussi

La storia del fortunoso ritrovamento di Too Much Johnson raccontata da Piero Colussi che si è ritrovato la copia del film nel magazzino di Cinemazero, associazione co-organizzatrice delle Giornate del Cinema Muto.

Data l’eccezionale importanza della scoperta di Too Much Johnson di Orson Welles, dopo aver intervistato, in occasione delle 32/esime Giornate del Cinema Muto di Pordenone, Paolo Cherchi Usai, promotore e curatore del restauro del film, abbiamo raccolto anche le dichiarazioni di Piero Colussi dell’Associazione Culturale Cinemazero, protagonista del ritrovamento e che, insieme alla Cineteca del Friuli, organizza proprio la rassegna friulana.

Quali sono state le dinamiche che hanno condotto al ritrovamento di Too Much Johnson?

Le cose sono andate in maniera abbastanza banale, in fin dei conti. C’è uno spedizioniere di Pordenone che si chiama Roiatti Traslochi che ha sedi d’agenzia un po’ in tutta Italia, è uno spedizioniere abbastanza grosso e, nel 2004, avendo delle casse di pellicole in magazzino da circa vent’anni e dovendo disfarsene – non sapendo cosa c’è dentro e avendo bisogno di spazio, chiama noi di Cinemazero dicendo “Bah, ho ‘sta roba, vi interessa?”. L’idea di chiamare Cinemazero gli viene suggerita da un suo amico di famiglia, un ragazzo, Mario Catto che collaborava con noi. Purtroppo Mario Catto non c’è più, è scomparso nel dicembre del 2012 a Milano dove si era trasferito per fare il regista e non ha mai potuto sapere che, grazie a lui, era avvenuta questa meravigliosa scoperta. Una storia quindi che ha anche un lato molto drammatico e che, anche per questo, vogliamo ricordare. Queste pellicole, quindi, nel 2004, vengono portate nel magazzino di Cinemazero, che è una associazione che esiste dal 1978 e che in tutti questi anni ha sempre tenuto tutto, dai manifesti, al nostro archivio cinematografico – abbiamo circa 500 film in pellicola come nostro patrimonio -, fino a tutto l’archivio cartaceo delle Giornate del Cinema Muto, ecc. Insomma, quello di Cinemazero è un magazzino che è una selva, quello che c’è dentro solo pochissimi lo sanno. Per cui queste casse vengono abbandonate in un angolo, chi le riceve non gli dà molta importanza, perché sono arrugginite, scassate, mangiate dai topi, sembra roba da discarica insomma. Però, siccome gli ordini sono: non si butta mai via niente, si tiene sempre tutto, prima o dopo vedremo cosa c’è, allora anche quelle casse restano lì. E ci rimangono per alcuni anni, prima che per cause di forza maggiore qualcuno si decida ad aprirle. La causa di forza maggiore è che, essendo state lasciate prima per lungo tempo all’aperto, una volta spostate in un ambiente chiuso come è questo magazzino, si sviluppa in queste vecchie pellicole la sindrome acetica e il tipico odore di aceto si spande in tutto l’ambiente.

Quindi, prima di arrivare nel magazzino di Cinemazero, erano state tenute all’aperto?

Sì, il proprietario di quella società di trasporti che io non avevo mai conosciuto e che sono andato a conoscere a gennaio di quest’anno mi ha detto che loro le avevano lasciate in cortile, sotto la pioggia, per cui potete immaginare cosa è successo. Comunque, questo forte odore in qualche misura ci obbliga ad andare a vedere cosa succede e nel novembre del 2008 il nostro proiezionista, Riccardo Burei, una sera apre le casse e filma questa operazione – un girato di circa 20 minuti – e verifica che dentro c’è del materiale di Orson Welles, perché sulle pizze c’è scritto il suo nome.

Cosa avete deciso di fare con il materiale rinvenuto?

Noi tutto questo materiale – che tra l’altro è di difficile recupero, molte scatole non si aprono, delle pizze sono già accartocciate, deteriorate, ecc. – lo affidiamo al DAMS di Gorizia che ha un laboratorio di restauro, però di formati minori, non 35mm. Lo affidiamo a loro per fare un inventario, per – con un passa-film – vedere di cosa si tratta. Per cui portiamo le casse al DAMS di Gorizia, che è presieduto da Leonardo Quaresima, mentre Simone Venturini è il responsabile del laboratorio. Portiamo lì le pellicole e lì restano un altro paio d’anni. Di Too Much Johnson ancora non c’era traccia perché nessuno poteva sospettare cosa contenessero quei rulli che, ci viene detto, sono in  nitrato, cioè altamente infiammabili. Poi, per una serie di motivi, il materiale rimane lì e non veniamo contattati, se non nel 2012, quando io vado a reclamare il materiale e mi viene detto che l’inventario in effetti è stato fatto. Considerate che nel frattempo le bobine si erano ulteriormente degradate, le loro condizioni erano peggiorate, perché questa sindrome acetica quando parte non la fermi più.

Quando è avvenuto il riconoscimento?

A Gorizia vedono queste immagini di un film mai visto, che non si riesce a identificare. Per cui digitalizzano e ne ricavano una copia in DVD e con questa sentono alcune persone esperte in Orson Welles. Una di queste è Ciro Giorgini del programma di Rai3 Fuori orario: lui fa uno più uno, riconosce la presenza di Joseph Cotten, vede questo cappello a paglietta che ha nel film, e dice che potrebbe essere solo Too Much Johnson. E così è. Per cui, siamo a fine 2012, il DAMS di Gorizia ci contatta e ci dice: “Avete trovato un tesoro, il tesoro è questo film di Welles considerato perduto”. All’inizio non ci crediamo, ci precipitiamo a Gorizia, ci viene consegnato materialmente il film, lo vediamo in moviola, e effettivamente è quello, anche se non ci sono i titoli di testa, perché si tratta di una copia-lavoro. Di dieci rulli ce n’è uno che è praticamente decomposto, indurito e di cui si occuperà Paolo Cerchi Usai, mentre gli altri sono in ottimo stato, le pizze sono state lavate, certo è un nitrato e quindi va comunque trasferito su un supporto non infiammabile. Comunque per prima cosa facciamo una verifica nella FIAF, International Federation of Film Archives, loro hanno un grande database delle cineteche e dunque gli chiediamo se da qualche parte c’è questo film. Risposta negativa, il film non ce l’ha nessuno. Ancora non sappiamo bene cos’è questa cosa di Orson Welles ma, andando a rivedere nelle storie del cinema, vien fuori che Welles – che l’aveva lasciato incompiuto – lo considerava bruciato nella sua casa di Madrid nel ’70. Per cui sostanzialmente non lo aveva visto nessuno. Risolto il problema del rulllo rovinato grazie alla Haghefilm Digital di Amsterdam, contattata da Cherchi Usai, abbiamo sempre il problema per gli altri nove rulli, bisogna fare un negativo, poi un positivo, trasferirli su supporto digitale. Insomma, c’è tutta la filiera del restauro, che ha un costo che viene preventivato intorno ai 30.000 euro. Cominciamo a chiedere un po’ in giro un finanziamento, ma non lo troviamo. Per cui poi, sempre Cherchi Usai, ci trova il contatto con la National Film Preservation Foundation che è questa fondazione del Congresso americano. La direttrice, Annette Melville, studia il problema, fa delle verifiche anche lei, perché anche loro sul momento non ci credono: un film di Welles ritrovato a Pordenone? Sembra impossibile. Dunque spediamo il film in America, loro lo restaurano e il film adesso è salvo e la copia originale in nitrato è depositata alla George Eastman House. Questa è un po’ la storia del ritrovamento.

Vi siete chiesti come queste pellicole siano arrivate a Pordenone?

Sì, certamente, il proprietario della ditta di trasporti Roiatti – che nel corso degli anni ha avuto un passaggio di consegne da Roiatti a Prosdocimo, l’attuale titolare – ci ha detto che queste casse erano arrivate da Roma, da un’altra agenzia di trasporti, la Interdean, che negli anni ’70 navigava in cattive acque e dunque chiese a Roiatti di prendere in consegna alcuni loro materiali abbandonati da tempo. Comprese queste casse di pellicola, che forse qualcuno di una casa di produzione aveva depositato e poi non era mai andato a riscattare. O forse era stato lo stesso Welles a effettuare il deposito e poi, dato che come sappiamo era un personaggio un po’ volatile che seguiva mille progetti simultaneamente, deve aver dimenticato lì il materiale.

A parte questo incredibile ritrovamento, quali sono le normali attività di Cinemazero?

Cinemazero nasce come associazione culturale e cineclub nel 1978 e dopo pochi anni incontra un’altra associazione, Cinepopolare, che poi diventerà la Cineteca del Friuli. Cinepopolare era un’iniziativa nata nella tendopoli di Gemona durante il terremoto, per proiettare i film agli sfollati dato che lì anche il cinema era andato distrutto. In maniera del tutto casuale proprio a Gemona avevano raccolto una serie di film di Max Linder, trovati da un collezionista di Buenos Aires, e dunque ne facemmo subito una retrospettiva di tre giorni. L’evento si svolse subito dopo il Festival di Venezia e vennero una serie di critici, tra cui Davide Turconi. La cosa ebbe un certo successo anche se tutto era fatto in modo molto amatoriale, c’era un nostro amico suonava il piano, le proiezioni erano in 16mm, siamo partiti così. Proprio Turconi, che poi è diventato uno dei fondatori delle Giornate, ci disse che questo progetto doveva andare avanti e ci propose già la nuova retrospettiva per l’anno successivo, dedicata a Mack Sennett. E così è iniziato tutto, poi l’anno successivo abbiamo fatto Rex Ingram, il principale artefice del western muto e abbiamo invitato Sergio Leone, il cui padre, Roberto Roberti, aveva fatto diversi western nell’epoca del muto e dunque poi abbiamo proiettato i film di Roberti, che tra l’altro Sergio Leone non aveva mai avuto occasione di vedere. E così il Festival è andato avanti, grazie a un gruppo di appassionati con un budget ridicolo. Poi dalla nostra piccola sala di Cinemazero ci siamo trasferiti nel Teatro Verdi, che non era quello che vedete oggi, era un bel cinema con oltre 1000 posti. Poi otto anni di sindaco leghista ci hanno regalato questo teatro qui che vedete oggi, che non è molto bello né adatto alle proiezioni e ha molti meno posti, circa 850. Negli anni in cui non avevamo più il teatro, perché quello attuale era in costruzione, ci siamo trasferiti a Sacile con un servizio navette. Comunque gli appassionati continuavano a venire, compreso, proprio in quegli anni, Aki Kaurismaki, che venne a presentare Juha e a Sacile ancora è ricordato perché venne con i suoi musicisti, una banda di scalmanati che tenne il paese sveglio per un’intera notte, suonando in giro. Nel 2006 siamo tornati a Pordenone in questo nuovo teatro. Visto che, come dicevo, non è molto grande, ci siamo messi ad organizzare delle proiezioni aggiuntive nella nostra sala di Cinemazero, proiezioni rivolte in particolare al pubblico di Pordenone. Il resto dell’anno nelle nostre tre sale c’è una programmazione rivolta in particolare al cinema d’autore ed è l’unico cinema cittadino. C’è anche una grande multisala, ma è fuori città.

Qualche anno fa Marco Müller, quando era in corso la polemica sulle date dei vari festival, ha detto che quello di Pordenone era il secondo festival più importante dopo Venezia. Però la sorpresa è che qui il pubblico è composto soprattutto da stranieri, come mai gli italiani non vengono?

È vero, qui l’80% degli accreditati – che sono in tutto tra i 1000 e 1100 – sono stranieri, non saprei perché gli italiani sono così pochi, certo, in Italia ci sono molti festival e poi c’è anche il Festival del Cinema Ritrovato di Bologna che ha una programmazione molto simile alla nostra. Ma, in generale, forse non c’è la cultura. Gli addetti ai lavori e i cinefili italiani forse non sono molto curiosi di vedere dei film muti, non sono abbastanza trendy evidentemente. Per cui ecco che abbiamo un direttore inglese, David Robinson, le presentazioni sono tutte in inglese e la cosa un po’ ci dispiace, ma è così. Evidentemente questa situazione è lo specchio dell’attività di ricerca sul cinema oggi in Italia che è molto concentrata sul contemporaneo e poco sul passato. D’altronde, tolta Bologna e tolta Torino, anche i nostri archivi non è che brillino per intraprendenza cinetecaria, manca proprio una cultura dello studio e della conservazione del cinema. Il catalogo della Cineteca Nazionale per i film in prestito ad esempio è poverissimo e se vuoi vedere qualcosa devi telefonare e poi magari ti rispondono che quel tale titolo non è disponibile. Insomma, da questo punto di vista siamo ancora un paese un po’ arretrato.

Vai allo Speciale Orson Welles.

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