I sogni segreti di Walter Mitty

I sogni segreti di Walter Mitty

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Dopo il capolavoro Tropic Thunder, Ben Stiller torna alla regia con I sogni segreti di Walter Mitty, remake di Sogni proibiti di Norman Z. McLeod: un film tutt’altro che perfetto, un po’ confuso, ma comunque affascinante e profondamente teorico.

Penso che un sogno così non ritorni mai più

Walter Mitty, editor fotografico di Life, ha la stramba caratteristica di assentarsi dal mondo reale per compiere dei viaggi mentali lontano dalla sua noiosa esistenza, immaginando fantasie caratterizzate da grande eroismo e appassionate relazioni amorose. Ma quando Mitty e la sua collega, della quale è segretamente innamorato, rischiano di perdere il lavoro, Walter è costretto a passare veramente all’azione… [sinossi]

Era davvero difficile immaginare cosa avrebbe potuto dirigere Ben Stiller dopo un film straordinariamente sovversivo come Tropic Thunder (2008) – il cui straniante e post-farrelliano spirito comico era già stato anticipato in Zoolander (2001). Alla fine l’attore e regista americano ha optato, con nostra parziale delusione, per un rientro “nei ranghi”: infatti, I sogni segreti di Walter Mitty – la sua quinta regia –, pur ambendo a un’indocile visionarietà, appare piuttosto come il classico film di mezza età, in cui si fanno i conti con tutte le occasioni perse nella vita e si cerca di ritrovare un senso alle cose (ma con, in più, un tono da epitaffio, che è il vero nucleo concettuale dell’opera). Del resto, è il tema stesso del racconto omonimo cui è ispirato il film – scritto nel ’39 dal giornalista, scrittore e umorista James Thurber – a dare quella direzione: l’idea del tipico uomo medio americano che, tiranneggiato dalla moglie, sogna a occhi aperti mondi altri in cui dar sfoggio di un eroismo che non ha. Il contrasto tra grigia esistenza metropolitana e spirito pionieristico da frontiera, che l’America si era appena lasciata alle spalle, apparteneva d’altronde anche al primo film ispirato al racconto di Thurber: Sogni proibiti (1947) di Norman Z. McLeod con Danny Kaye (nell’82 è stato fatto anche un remake italiano, Sogni mostruosamente proibiti di Neri Parenti, con Paolo Villaggio; e l’incarnazione “fantozziana” di Mitty non fa altro che confermare la natura profondamente impiegatizia del personaggio).
In Sogni proibiti vi era una novità sostanziale, ovvero il lavoro del protagonista, correttore di bozze per una casa editrice specializzata in pubblicazioni di letteratura popolare dedicata al mistery, all’avventura e al thriller; materiale che serviva da nutrimento alle sfrenate fantasie di Walter Mitty/Danny Kaye. Da qui, dalla scissione cioé tra oscuro lavoro d’ufficio al servizio dell’editoria e i mondi fantastici che venivano proposti, nasce anche il centro nevralgico del quasi-remake di Ben Stiller. Il suo protagonista infatti, interpretato dallo stesso Stiller, è un modesto editor fotografico che sviluppa e stampa il materiale di eroici fotoreporter in giro per il mondo, a partire dal misterioso e affascinante Sean O’Connell (interpretato da un credibile Sean Penn).

Il passaggio dalla letteratura popolare al giornalismo fotografico permette anche un salto di grado che guarda direttamente ai destini della carta stampata e del cinema e che dà al film la già citata connotazione da epitaffio. Mitty e Sean O’Connell sono infatti le due facce – l’uomo medio e l’eroe – che contribuiscono al lustro di Life, il più importante magazine americano che, nella realtà, ha definitivamente cessato le sue pubblicazioni cartacee nel 2007. I due sono perciò residui di un mondo destinato a sparire: l’uno (Sean O’Connell) è l’ultimo fotografo che fa ancora foto in pellicola, l’altro (Walter Mitty) è l’unica persona affidabile cui si possa consegnare un negativo da sviluppare. Il digitale detterà in effetti a breve la sua legge definitiva e draconiana: da un lato, infatti, il film inizia con l’annuncio dato ai dipendenti che Life passerà a una versione online (uno sguardo più ottimista su come sono andate effettivamente le cose, visto che la rivista ha chiuso anche le pubblicazioni su internet dal gennaio del 2012); ma – ovviamente – d’altro canto non si può non pensare anche al fatto che, a breve, la pellicola non sarà più usata neppure al cinema, soppiantata per l’appunto dal digitale (in tal senso, è perfettamente coerente la scelta di Ben Stiller di girare in 35mm). Ecco che allora, rispetto al racconto e al film che lo hanno preceduto, il nuovo I sogni segreti di Walter Mitty porta con sé un’ottica lugubre, posata sulla fine di alcuni degli elementi che hanno caratterizzato la cultura urbana novecentesca e il suo immaginario: la carta stampata, la fotografia e il cinema su pellicola.

Di fronte a tutta questa articolata pratica, teoria (e poesia) di ciò che non c’è più, il film di Stiller si incaglia però in alcuni empasse narrativi e in un non sempre convincente slancio visionario. Sono proprio le visioni ad occhi aperti del protagonista ad apparire sostanzialmente i punti più deboli. Senza possedere la genuina portata immaginativa degli inserti di Sogni proibiti (in cui l’uso inventivo del Technicolor aveva a tratti quasi la stessa valenza epifanica dei lavori coevi di Powell e Pressburger, da Scala al Paradiso a Scarpette rosse), le fantasticherie del protagonista del film di Stiller sono più codificate e sembrano piuttosto figlie di una tendenza parodica verso certo cinema americano contemporaneo (Mitty si immagina per un momento di essere una sorta di super-eroe Marvel che combatte per le strade di New York, poi – in un momento successivo – addirittura fa il verso al Brad Pitt di Il curioso caso di Benjamin Button). Tutte trovate che, se avevano un senso in Tropic Thunder (basti ripensare al sarcasmo su Platoon), qui appaiono fuori luogo e troppo sopra le righe. Allo stesso tempo, Stiller esagera nel rendere patetico il suo personaggio all’inizio del film, così come, dopo, calca troppo la mano nel descriverlo come un eroe invitto e invincibile, insistendo eccessivamente nello schematismo della rivalsa dell’uomo di mezz’età.

Detto ciò, non si possono non tralasciare le traversie produttive del progetto, messo in cantiere già nel 1994 da Samuel Goldwyn jr., in omaggio al padre che aveva prodotto il film del ’47. Un progetto che, prima avrebbe dovuto essere interpretato d Jim Carrey, poi da Owen Wilson, e che Ben Stiller, giustamente, non si è lasciato sfuggire, riuscendo finalmente a portarlo al cinema e impadronendosi a pieno titolo di una precisa filiazione dell’umorismo statunitense: da Thurber, per l’appunto, a Norman Z. McLeod, allo stesso Danny Kaye, la cui comicità, come quella di Stiller, viene dalla sempre feconda tradizione yiddish. Certo, si poteva fare di più e meglio ma, viste le innumerevoli riflessioni che il film suscita, bisogna anche sapersi accontentare.

Info
La pagina facebook de I sogni segreti di Walter Mitty.
Il trailer italiano de I sogni segreti di Walter Mitty.
I sogni segreti di Walter Mitty sul canale YouTubeMovies.
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